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Dino

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LES CORNUS

Editoriale di Marco Travaglio

07 ottobre 2025

Eniente, dopo soli 836 minuti anche Lecornu è venuto prematuramente a mancare, anche se lo tengono attaccato alle macchine per altri due giorni. Strano, perché per fare un’ottima riuscita aveva proprio tutto: è un “moderato riformista” e, com’è noto, “si vince al centro”; l’ha scelto Macron, il liderino amato dalla la gente che piace (soprattutto in Italia) e odiato dal suo popolo (notoriamente “populista”); non lo voterebbero manco i parenti stretti e questo fa curriculum nell’Occidente che, a furia di esportare la democrazia, l’ha quasi finita; pretendeva, come i predecessori, di governare la Francia contro i 9/10 dei francesi con un governo quasi uguale a quello appena sfiduciato, per salvare la poltrona al mini-Napoleone dell’Eliseo, il genio incompreso che programma il futuro di Russia, Ucraina, Ue e Nato senza sapere se arriva a Natale. Cosa poteva mai andargli storto? Purtroppo quegli estremisti, populisti, sovranisti e ovviamente putiniani della destra e della sinistra che fanno sempre il pieno di voti non lo hanno capito e, anziché perdere milioni di elettori per portargli l’acqua con le orecchie, l’han bocciato. Ma non disperiamo. Prima di ammettere che forse il problema è lui e tornarsene a casa da Brigitte a suon di sberle, Micron ha ancora parecchie frecce al suo arco: gli basterà attingere al vasto catalogo di opzioni della democrazia 2.0 regnante da 15 anni in Europa.

Modello Italia. Si prende un banchiere o un prof che lavora per qualche banca d’affari, lo si promuove “tecnico super partes” per un “governo dei migliori” che trasformi l’esigua minoranza delle élite in maggioranza oceanica.

Modello Romania. Si va alle Presidenziali e, se vince il candidato sbagliato, si annulla tutto e si arresta il vincitore perché “ha stato Putin”. Poi si rivota a oltranza finché non vince quello giusto.

Modello Georgia. Se vince quello sbagliato grazie al solito Putin, si foraggiano cortei “spontanei” della minoranza democratica contro la maggioranza anti-democratica che pretende di governare solo perché ha vinto.

Modello Moldova. Si mettono fuorilegge i partiti sbagliati, dunque antidemocratici perché telecomandati dalla guerra ibrida russa, così vincono i democratici.

Modello Ucraina. Se vince il candidato sbagliato tipo Yanukovich nel 2004 e nel ‘10, si finanzia una “rivoluzione arancione” per cacciarlo. E, se rivince, si assoldano cecchini per una “rivoluzione rossa” (di sangue) che lo ri-cacci.

Modello baltico-polacco-tedesco-danese-israeliano. Si nomina primo ministro un altro Carneade, tipo Bayrou o Lecornu. Poi si fa volteggiare qualche drone non identificabile su un paio di aeroporti e si dichiara guerra alla Russia fingendo che sia stata la Russia a dichiarare guerra alla Francia.

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Dino

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DEMOCRAZIA CONTRO POPOLO

Editoriale di Marco Travaglio

08 ottobre 2025

La sapete l’ultima? Ce la rivela Repubblica: se Macron è più impopolare di Landru, se consuma più premier che mutande (Borne, Attal, Barnier, Bayrou e Lecornu in due anni scarsi) e se la sua Francia è messa peggio dell’Italia, non è colpa di Macron. Anzi, lui non c’entra: il fatto che continui a nominare primi ministri centristi, tutti noti frequentatori di se stessi per governare contro il popolo che si ostina a votare la sinistra e la destra, è solo un dettaglio. La colpa è di una misteriosa “crisi di governo che lo stringe in un angolo” a sua insaputa. Misteriosa, poi, mica tanto: “È la più importante vittoria di Putin negli ultimi mesi”. Ecco: ha stato Putin. “Non a caso a innescarla è stata l’azione convergente di estrema destra ed estrema sinistra, unite solo dalla fede putiniana in una sciagurata riedizione dell’alleanza giallo-verde tra Conte e Salvini che portò l’Italia sull’orlo della bancarotta”. Quindi ha stato anche un po’ Conte, sul cui primo governo Rep racconta balle. Non solo non portò l’Italia sull’orlo del crac, malgrado le profezie di sventura di Rep e dell’Ue. Ma anzi varò Reddito di cittadinanza e Quota 100 tenendo in ordine i conti: deficit del 2019 all’1,6% del Pil (il più basso dal 2007, contro il previsto 2,2), avanzo primario all’1,7% del Pil (il più alto dal 2013) e spread in calo rispetto a Gentiloni. Chi ha portato il suo Paese sull’orlo della bancarotta è Macron, che sgoverna da ben sette anni.

Ma torniamo a Putin che se la sta prendendo per interposti Le Pen e Mélenchon. I due putribondi figuri si candidano da anni alle elezioni legislative e ogni volta si permettono di prendere molti più voti di Macron. Ma questa, malgrado le apparenze, per Rep non è democrazia: è “anomalia democratica”. Infatti il democratico Macron è riuscito finora a far governare non chi ha i voti, ma chi non li ha: e questa sì che è democrazia. Lo fa “in nome e per conto di 450 milioni di europei” e di “miliardi di esseri umani” che “credono nella democrazia”, vedono nell’Europa “l’unico bastione contro le derive autoritarie e imperiali” e trepidano per “la sopravvivenza stessa dell’Occidente e dei suoi valori”. Come farà Rep a saperlo? O sente le voci come Giovanna d’Arco, o quei miliardi di esseri umani chiamano i centralini di Rep e lasciano detto. Poi, grazie agli hacker russi, sbagliano sempre a votare. Non solo in Francia. In Germania “i neonazisti filo-putiniani di Afd, sostenuti da Trump, aspirano a diventare primo partito” e “in Gran Bretagna la destra anti-europea di Farage nutre le stesse ambizioni”. Strano: da che mondo è mondo, tutti i partiti aspirano ad arrivare ultimi. Invece quelli putiniani sono così antidemocratici che vogliono arrivare primi. Poi dicono che la guerra ibrida non esiste.

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CERCANSI SOVRANISTI

Editoriale di Marco Travaglio

09 ottobre 2025

Sottraendo Ilaria Salis al suo processo per un voto (quello dell’interessata, si suppone), il Parlamento europeo ha certificato che l’Ungheria non è uno Stato di diritto. Quindi, per coerenza, dovrebbe espellerla dall’Ue e chi la fece entrare nel 2004 (commissione Prodi) dovrebbe ammettere l’errore. Non solo per l’Ungheria, ma anche per altri Paesi dei nove spensieratamente imbarcati nella stessa infornata: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Cekia, Slovacchia, Slovenia. Il principio circense “Più gente entra, più bestie si vedono” ha prodotto disastri e altri ne produrrà. Tipo la guerra mondiale in cui tentano di trascinarci non l’Ungheria (che anzi è il primo freno), ma i tre Baltici e la Polonia. Estonia, Lettonia e Lituania hanno poco più degli abitanti di Roma, ma controllano in Ue l’Economia (Dombrovskis), gli Esteri (Kallas) e la Difesa (Kubilius); la Polonia il Bilancio (Serafin). E non passa giorno senza che inventino, spesso in combutta con Zelensky, un attacco russo per giustificare il riarmo e l’escalation e regolare vecchi conti. La Merkel ha appena ricordato le responsabilità di baltici e polacchi nel troncare il dialogo Ue-Mosca fino all’agognata guerra in Ucraina. Gli stessi baltici, polacchi e ucraini si opposero ai gasdotti Nord Stream che rifornivano mezza Europa di metano russo a poco prezzo, contribuendo alla nostra prosperità. Quando un commando di terroristi li fece saltare, il primo a esultare fu l’attuale ministro degli Esteri polacco Sikorski: “Thank you Usa!”. Ma si scordò di coordinarsi con Kiev, che tentava di attribuire l’attentato a Putin.

Poi i giudici tedeschi scoprirono che il più grave attacco a un’infrastruttura europea dal 1945 era opera di terroristi di Stato ucraini, con complicità polacche: uno fu individuato in Polonia, ma fuggì in Ucraina su un’auto blu dell’ambasciata di Kiev; un altro è in carcere in Italia in attesa di estradizione; un terzo, Volodymyr Z. (tutto vero), l’hanno arrestato l’altro giorno in Polonia. Ma ora il premier polacco Tusk dichiara che “il problema del Nord Stream non è che sia stato fatto saltare, ma che sia stato costruito”. Chissà se quel fantoccio di Merz gli risponderà, visto che la Germania è in ginocchio anche per quell’attentato. Tusk aggiunge che “non è nell’interesse della Polonia consegnare questo cittadino a un altro Stato”: cioè eseguire l’ordine di cattura internazionale. Che però spetta ai giudici, non al governo: bell’esempio di Stato di diritto. Però Tusk è un noto “liberale”, quindi può fare impunemente come e peggio del “sovranista” Orbán: anche esaltare e proteggere i terroristi. Ma dove sono i nostri “sovranisti”? Che aspettano a fuggire a gambe levate da un’Europa dominata da questi manigoldi?

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GAZA FOR TAJANI

Editoriale di Marco Travaglio

11 ottobre 2025

Le immagini dei gazawi in festa tra le macerie per la fine della mattanza e financo per Trump e quelle dei parenti degli ostaggi israeliani che si abbracciano a Tel Aviv straziano il cuore. E dovrebbero far vergognare i leader europei che non hanno fatto nulla perché accadesse prima: tutti premi Nobel per il miglior attore non protagonista. Ma dovrebbero anche inorgoglire chi in Europa s’è battuto in parlamenti, piazze, scuole, atenei, media e flottiglie per smuovere le coscienze e salvare l’onore dei nostri Paesi: è anche grazie a loro che Trump s’è deciso a costringere Netanyahu ad accordarsi con Hamas, cioè ad ammettere il totale fallimento. Invece chi dovrebbe vergognarsi esulta e chi dovrebbe esultare si vergogna. La Meloni s’imbroda per il “contributo silenzioso” al piano Trump: così silenzioso che nessuno se n’è accorto. Tajani riposta il video, forse fake, di due giovani gazawi che sventolano il tricolore in “segno di riconoscenza e gratitudine nei confronti di quello che ha fatto e farà l’Italia”. Purtroppo il filmato è di un account X pro Pal che dice “grazie italiani per essere insorti contro il vostro governo” in piazza. Tajani, vicepremier del governo che ha trattato quei manifestanti da terroristi e ha continuato ad armare Israele, crede che a Gaza festeggino lui. Anzi, popolare com’è anche là, si aspetta che ora sventolino pure i suoi poster.

In compenso molti pro Pal hanno accolto la notizia che riempie di gioia Gaza e Israele con un misto di fastidio e cordoglio. I talk sembrano veglie funebri: luci semispente, ospiti in gramaglie per la fine della cosiddetta guerra, volti luttuosi, pessimismo obbligatorio. Mancano solo le bandiere a mezz’asta e i De Profundis. Chi vaticinava che Trump avrebbe riempito il mondo di guerre non può ammettere che ne ha fermata almeno una. E se qualcuno pensava di trasformare la denuncia del genocidio in un mestiere fino alla pensione, dovrà trovarsene un altro. È la versione farsesca della sindrome di Rambo, tipica di ogni reducismo: torni dalla guerra, spesso combattuta nel salotto di casa, nessuno ti si fila. Si stava meglio quando si stava peggio, anche perché a stare peggio erano i palestinesi, che ora grazie a Trump non muoiono più e forse ricevono pure qualcosa da mangiare. Se il piano portasse la firma di Biden o della Harris o di qualche altro “buono”, quello sì sarebbe un fatto storico da Nobel. Come per Obama, Al Gore e persino l’Ue. Invece l’ha firmato il puzzone cattivo: quindi è finto, non dura, domani si torna a sparare. Così buoni e cattivi tornano ciascuno nel posto assegnato. E gli orfani e le vedove di guerra ritrovano una ragion d’essere. Possibilmente prima che Trump ci prenda gusto e si faccia tornare strane idee di pace pure fra Russia e Ucraina.

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CHI FERMA CHI

Editoriale di Marco Travaglio

12 ottobre 2025

“Se hai fermato la guerra a Gaza, puoi fermare anche Mosca”. L’ha detto ieri, che Dio lo perdoni, Zelensky a Trump. Come se la guerra in Ucraina si potesse arrestare fermando chi la sta vincendo. E come se le due situazioni fossero paragonabili. A Gaza, in due anni di vani tentativi di annientare Hamas, Netanyahu ha sterminato 67 mila palestinesi. E Trump l’ha fermato (per il momento) per salvare la faccia agli Usa e gli affari con gli Stati del Golfo, oltreché per la sua benedetta ossessione di pacificare il mondo con la paura (la Teoria del Matto). In Ucraina, dal febbraio 2022, c’è una guerra tradizionale fra due eserciti armati fino ai denti e da tre anni esatti (dopo l’invasione russa e l’unica vera controffensiva di Kiev) Mosca non fa che avanzare e Kiev arretrare. Putin controlla quasi il 20% dell’Ucraina (115 mila kmq) e nei primi nove mesi del 2025 ha conquistato 4-5 mila kmq su tutto il fronte lungo 1.350 km, a un ritmo di circa 500 al mese (superiore a quello del 2024). Il che significa che non solo la Russia non si è indebolita per le sanzioni e le armi Nato all’Ucraina, ma si è rafforzata e continuerà ad avanzare. Chi rischia il tracollo sono gli ucraini, falcidiati da perdite impossibili da compensare. Mentre Putin recluta 30 mila volontari al mese e arruola altri 135 mila soldati di leva, la commissione Bilancio del Parlamento di Kiev comunica di aver finito i fondi per gli stipendi dei militari; 1,5 milioni di ucraini si nascondono dai reclutatori per non andare al fronte e almeno 150 mila sono sotto inchiesta per aver disertato; per la corruzione dilagante e i bombardamenti sulle fabbriche, il 60% dei droni prodotti in loco sono difettosi.

Questo è l’unico punto di contatto fra Gaza e l’Ucraina: la presenza di due leader che hanno perso la guerra, ma continuano a raccontare e a raccontarsi di poterla vincere, condannando a morte decine di migliaia di persone e danneggiando il proprio Paese. Uno è Netanyahu. Ma l’altro non è Putin, come racconta e si racconta Zelensky: è lui. Non sappiamo cosa gli abbia risposto Trump quando gli ha chiesto di fermare Mosca (magari fornendo a Kiev i missili Tomahawk da sparare su Mosca e San Pietroburgo nell’illusione che Putin si arrenderà anziché rispondere con ancor più durezza). Ma la realtà è identica da tre anni: è l’Ucraina che deve accettare un compromesso sui territori che lo stesso Zelensky 10 mesi fa ammise di non poter recuperare e su quelli che perderà nei prossimi mesi se costringerà il suo esercito in rotta a combattere ancora. A Gaza la guerra è finita perché Trump ha fermato l’alleato dell’Occidente che la stava perdendo. In Ucraina serve un disegnino per spiegare a Zelensky chi è l’alleato dell’Occidente che sta perdendo?

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MA MI FACCIA IL PIACERE

Editoriale di Marco Travaglio

13 ottobre 2025

I grandi perché. “Perché Francesca Albanese non può dire a Liliana Segre di stare zitta” (Antonio Polito, Corriere della sera, 7.10). Forse perché non gliel’ha mai detto.

Il vero oppositore. “Matteo Renzi a Realpolitik si conferma l’unico oppositore della ducetta” (Dagospia, 9.10). “Voto su Almasri, negata l’autorizzazione a procedere. Niente processo ai ministri, rispuntano i franchi tiratori. In favore del ministro Piantedosi aveva annunciato voto favorevole Italia Viva” (Ansa, 9.10). Il famoso oppositore consenziente.

La vera alternativa. “C’è ancora molto da fare per costruire un’alternativa credibile. Serve un chiarimento con il M5S. Il discrimine sta nella difesa europea e nell’Ucraina” (Paolo Gentiloni, Pd, 11.10). Per essere alternativi alla Meloni bisogna diventare identici alla Meloni.

Figli di NN. “Doppio standard: i droni sull’Europa potrebbero non essere russi, ma i droni sulla Flottilla (sic, nda) sono sicuramente israeliani” (Antonio Polito, X, 24.9). “L’attacco con droni contro le navi della Flotilla in Tunisia è stato ordinato da Netanyahu” (Cbs, 6.10). Pazienza dài, è andata così.

Beati loro. “Trump: ‘La Spagna dovrebbe uscire dalla Nato’” (Corriere della sera, 9.10). Certe botte di c**o càpitano sempre agli altri.

Ascolta, si fa Pera. “Marcello Pera: ‘Quanti danni da Bergoglio. Papa Francesco pauperista estraneo all’Europa’” (Giornale, 8.10). Strano, credevamo che l’Argentina fosse in Europa.

Senza bunker. “Allarme sicurezza sulle alte cariche: non c’è un bunker per Mattarella. In caso di attacco esterno il presidente della Repubblica sarebbe provvisto di adeguate misure di sicurezza. Ma non di un bunker” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 11.10). Tutti i milioni di italiani che ne hanno uno sono pregati di prestarglielo.

Vergogna l’è morta. “Dopo le figuracce in tv su Gaza alla Albanese resta la parrucchiera… In caso si consolerà col bigodino d’oro” (Alessandro Gonzato, Libero, 11.10). “Arringhe e presunzione. Il ‘metodo’ Albanese, nostra signora pro Pal… Una smorfia che sembra un sorriso, i capelli argentati, gli occhiali modaioli, una studiata eleganza radical chic sui toni pastello… eccola esibirsi nelle sue faccette, alza gli occhi al cielo, arriccia il naso… Ma aveva quel non so che nello sguardo. Capito cosa?” (Fabrizio Roncone, Corriere della sera, 11.10). Sì, che dovreste vergognarvi.

Pina Fantozzi. “La solitudine del riformista è ormai un genere letterario, una posizione scomoda in questo momento. È scomodo dover spiegare che fare politica non è sventolare bandiere identitarie, non è assecondare la radicalizzazione se si vuole costruire un’alternativa possibile” (Pina Picierno, eurodeputata Pd, 11.10). Oh, povera riformista scomoda, l’hanno rimasta sola: e adesso come facciamo?

La compagna camerata. “La nostra è una lotta globale e voi siete i nostri alleati. Quelle che avvengono in Europa, come quelle che combattiamo in Venezuela, hanno gli stessi obiettivi, valori e nemici” (Maria Corina Machado alla convention a Madrid dell’estrema destra Vox insieme a Salvini, Le Pen, Wilders, Orbán e Milei, dopo aver sostenuto due tentati golpe a Caracas e prima di chiedere l’intervento militare di Usa e Israele contro il suo Paese, 9.2). “Maria, la dama de hierrro: una pasionaria moderata e centrista” (Repubblica, 11.10). “Machado, la voce della libertà” (Stampa, 11.10). “Il Nobel a Machado è un Nobel alla resistenza democratica” (Roberto Saviano, YouTube, 11.10). “Congratulazioni a Maria Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana, a cui è stato conferito il premio Nobel per la Pace. Un riconoscimento per il suo impegno per la democrazia in Venezuela” (Laura Boldrini, deputata Pd, X, 10.10). Ammazza quante volpi.

Ballusti. “Il Superbonus 110% è una cosa buona fatta dal governo Conte per rimettere in piedi la filiera dell’edilizia che è motore dell’economia” (Alessandro Sallusti, Libero, 8.10.21). “Lo sciagurato bonus del 110 per cento: un buco di quasi 200 miliardi” (Sallusti, Giornale, 11.10.25). Più che altro un buco di memoria.

Il titolo della settimana/1. “Che cosa ci stanno insegnando l’Ucraina e Israele sulle guerre che si possono vincere” (rag. Claudio, Cerasa, Foglio, 11.10). Ci stanno insegnando che sono entrambe perse.

Il titolo della settimana/2. “Lo scenario calabrese e l’ipotesi renziana” (Stefano Folli, Repubblica, 7.10). Quella di non presentarsi proprio.

Il titolo della settimana/3. “Il paradosso di Macron: leader nel mondo, debole a Parigi” (Repubblica, 7.10). Leader nel mondo della fantasia.

Il titolo della settimana/4. “Renzi: ‘Riformisti al 10% o Meloni va al Quirinale’” (Messaggero, 6.10). O lui si ritira dalla politica.

Il titolo della settimana/5. “L’orgoglio di Palazzo Chigi: ‘Così abbiamo costruito la pace’” (Giornale, 10.10). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/6. “Putin e la corsa all’immortalità” (Corriere della sera, 10.10). Da Putin moribondo a Putin immortale, è un attimo.

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