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Dino

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JURASSIC PORK

l'editoriale di Marco Travaglio

09 aprile 2024

Con quel che emerge dall’inchiesta sui voti mafiosi e/o comprati nel Pd torinese, vien da chiedersi perché il governo di destra non pensi neppure a sciogliere il Comune di Torino, anziché quello di Bari. Dove di infiltrazioni mafiose se ne vedono poche (Decaro ed Emiliano peccano di trasformismo, ma la mafia la combattono). A Torino, parecchie. Ma Torino è come Pompei: una città pietrificata non dalla lava, ma da un sistema di potere trasversale e consociativo che si autoperpetua da 50 anni con gli stessi uomini (o, se proprio muoiono, coi loro figli e figliocci). Non c’è bisogno di passare da destra a sinistra, o viceversa, perché governano tutti insieme a maggior gloria di chi comanda davvero: casa Agnelli, fondazioni bancarie, logge “progressiste”, collegio costruttori con tentacoli tecnocratici e politecnici, concessionari e appaltatori. “Quella che a Palermo si chiama omertà – diceva il procuratore Marcello Maddalena – qui si chiama riservatezza”. Lo scontro politico disturba gli affari. Infatti – a parte il miracolo Appendino – destra e sinistra si sono sempre spartite Comune e Regione d’amore e d’accordo. La Lega non attecchì neppure negli anni d’oro (l’ex “governatore” Cota è un democristiano). E nessuno avvertì mai la minima discontinuità fra i pidini Chiamparino (due volte sindaco, poi presidente della Compagnia di San Paolo, infine in Regione), Fassino (una volta sindaco) e Lo Russo, e i forzisti Ghigo e Cirio (in Regione).

Roberto Fantini, ex dirigente Sitaf (autostrada Torino-Bardonecchia), è del Pd, ma Cirio l’ha nominato all’Osservatorio sulla legalità degli appalti: ora è agli arresti per concorso esterno in mafia per aver aiutato imprese ’ndranghetiste a fare man bassa di lavori autostradali. La Sitaf, fin dal ras socialista Franco Froio, chiedeva e faceva favori a tutti, ma elargiva incarichi e stipendi anche ai big della sinistra Calce & Martello: Quagliotti, Revelli, Ardito, Virano (poi regista del Tav), giù giù fino a Fantini e “Sasà” Gallo. Quest’ultimo ha ereditato i livelli più bassi del sistema Froio, è passato da Craxi a Fassino e, a furia di favori e voti scambiati, controlla a 85 anni una bella fetta del Pd, piazzando figli e amici dappertutto. Ma dall’inchiesta affiorano, senza profili penali, altri revenant del Jurassic Park subalpino, dove la Prima Repubblica non è mai morta: il solito Quagliotti (già condannato con Greganti per mazzette Fiat, ma sempre al fianco di Fassino), Antonio Esposito (citato nei processi Froio e Moggi), Beppe Garesio (ex Psi condannato nella Tangentopoli Fiat) e Ignazio Moncada (ex agente dei servizi, ex Psi legatissimo ad Amato e al giro Finmeccanica). Età media: 80-90 anni. Ma tutti in formissima, grazie a un elisir di eterna vita chiamato Torino.

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CI VORREBBE UN VAFFA

l'editoriale di Marco Travaglio

10 aprile 2024

“Vuoi rifare il partito del ‘vaffa’?”, domanda Bersani a Conte. Magari. Ma è il Pd che dovrebbe iniziare a dire qualche vaffa. Il partito del vaffa, peraltro, non è mai esistito: nel 2007, due anni prima di fondare i 5Stelle, Grillo e Casaleggio padre organizzarono a Bologna e in decine di piazze collegate il V-Day (dal film cult V per vendetta), dove il comico leggeva i nomi dei 21 condannati in via definitiva serenamente seduti in Parlamento a destra e a sinistra e decine di migliaia di manifestanti li mandavano affanc**o. Ma lo scopo era raccogliere le firme per tre leggi di iniziativa popolare: ineleggibilità dei pregiudicati per reati non colposi puniti con pene superiori a 10 mesi e 20 giorni; limite di due legislature per i parlamentari; legge elettorale con la preferenza al posto del Porcellum. La prima proposta fu raccolta dalla Severino nel 2012 prima ancora che i 5S entrassero in Parlamento. La seconda è tuttora una loro regola. La terza non ha mai visto la luce. Mille volte meglio quelle dell’ennesimo Codice etico del Pd, che fa firmare ai candidati l’impegno a “denunciare alle forze dell’ordine tentativi di condizionamento del voto, voto di scambio, intimidazione, corruzione o di concussione”. Così la gente ora pensa che finora i candidati Pd fossero tenuti a praticare e occultare quelle prassi criminali (inclusa l’omessa denuncia, già punita non dal Codice etico, ma penale).

Inutile anche rinfacciare a Conte la condanna di Marcello De Vito per fare pari e patta coi voti comprati e/o mafiosi da Torino a Bari: Conte (all’epoca neppure iscritto al M5S) non ha mai sostenuto che chiunque si candidi con lui ha l’onestà infusa. Il guaio non sono i grillini, o i pidini, o i destri presi con le mani nel sacco. Ma ciò che fanno i partiti a chi viene beccato: De Vito, appena arrestato per corruzione, fu messo alla porta da Di Maio e, appena imputato, fu accolto in FI. Invece dall’inchiesta torinese fotografa al fianco di Fassino non solo l’indagato Gallo, ma persino Quagliotti, condannato 30 anni fa con Greganti per una mazzetta Fiat. Il problema è chi dice vaffa ai pregiudicati o chi se li tiene in casa? Se poi si vogliono “estirpare capibastone e cacicchi”, come promise la neosegretaria Schlein, non c’è altra soluzione che quella del V Day: un limite severo e inderogabile alle cariche. Forse il tetto di due mandati è troppo basso per quelli elettivi e collegiali in Parlamento, consigli regionali, provinciali e comunali (Fassino però è al decimo). Ma per quelli elettivi esecutivi monocratici tipo sindaco e presidente di Regione è sacrosanto. Se infine si vuol fermare il trasformismo, tocca copiare ancora i famigerati Grillo e Casaleggio: porte chiuse a chi è stato eletto in altri partiti. Al Pd un bel V Day non potrebbe fare che bene.

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CHE BEL CAMBIAMENTO

l'editoriale di Marco Travaglio

11 aprile 2024

Aparte il Codice etico che raccomanda ai candidati di fare i bravi, il Pd ha pronta un’altra infallibile soluzione contro gli scandali tipo Bari e Torino: ripristinare il finanziamento pubblico ai partiti. Cosa c’entri coi capibastone beccati a comprar voti mafiosi e non, non è dato sapere. Ma ormai non passa giorno senza che il “nuovo” Pd faccia qualcosa per apparire uguale o peggiore di quello “vecchio” sul tema cruciale della legalità. Ieri, per dire, il Senato votava la schiforma Bongiorno-Zanettin che rende ancor più difficili i sequestri di smartphone, pc e tablet nelle indagini: oggi il pm può acquisirli all’istante per estrarne documenti che provano il reato; domani serviranno ben due autorizzazioni del gip, una per il sequestro e un’altra per l’estrazione, entrambe impugnabili al Riesame e in Cassazione, con in mezzo un’udienza con avvocati e consulenti (intanto l’indagato cancellerà tutto da un altro device). Le destre (quindi anche Renzi e Azione) han votato sì, il M5S no e il Pd ha pensato bene di astenersi. Intanto salvava Renzi, Boschi&C. dai giudici su chat e mail del processo Open (i 5S unici contrari). Probabilmente non pagherà pegno nelle urne, per la tecnicità del tema. Ma il ritorno al finanziamento pubblico lo capiscono tutti.

L’idea del finanziamento pubblico per evitare le mazzette poteva reggere quando nacque, nel 1974, dopo lo scandalo petroli (tutti i partiti, maggioranza e opposizione, a libro paga dell’Unione petrolifera in cambio di sconti fiscali). Poi i partiti iniziarono a incassare soldi dallo Stato e continuarono a prendere mazzette dai privati. Tante Tangentopoli locali fino a quella nazionale del ’92. Perciò nel ’93 gl’italiani corsero al referendum per abolire il finanziamento pubblico. Questo però rientrò dalla finestra come “rimborso elettorale”. Che, calcolato a forfait e senza ricevute, copriva 4-5 volte le spese. E saliva di anno in anno con voti bipartisan, fino a diventare una tassa-monstre di 10 euro l’anno per ogni elettore (contro 1,1 del ’93). Nel 2009 i partiti avevano già rapinato le nostre tasche per 2,2 miliardi. Senza rinunciare alle mazzette. E piangevano pure miseria. Nel 2013, per frenare l’avanzata dei 5Stelle e di Renzi (ancora in versione grillina di “rottamatore”), il governo Letta introdusse il finanziamento pubblico indiretto e volontario col 2xmille delle tasse. Ma, siccome la credibilità dei partiti è rimasta sottozero, devolvono in pochi: 16 milioni di euro in tutto all’anno. Di qui l’ideona di rimetterci le mani in tasca senza che ce ne accorgiamo. Con un’altra scusa: “Senza finanziamento pubblico fanno politica solo i ricchi”. Infatti, appena fu ripristinato sotto mentite spoglie, arrivò il miliardario B.. E, appena fu abolito, vinse il M5S senza un soldo.

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LA DRÔLE DE GUERRE

l'editoriale di Marco Travaglio

12 aprile 2024

Due notizie fresche fresche trasformano anni di narrazione atlantista – buoni contro cattivi, democrazie contro autocrazie, Occidente contro Oriente – in puro avanspettacolo. 1) Il Wall Street Journal rivela che i droni forniti dagli Usa all’esercito ucraino per combattere quello russo (che li compra dall’Iran) sono troppo costosi, fragili, mal funzionanti, difficili da riparare e incapaci di resistere ai sistemi di disturbo elettronico dei russi. Così, udite udite, Kiev acquista droni cinesi meno cari e tecnologicamente più avanzati. Avete capito bene: li compra con i nostri soldi dalla Cina di Xi Jinping, il cattivone amico di Putin e nemico dell’Occidente, che va tenuto a distanza revocando a spron battuto le Vie della Seta perché forse arma sottobanco i russi e minaccia noi buoni democratici. E ora il buono e democratico Zelensky, che combatte con le nostre armi per difendere l’Europa dall’invasione militare di Putin e dall’invasione commerciale di Xi Jinping, che fa? Bussa alla porta dell’amico del nemico per combattere il nemico con l’aiuto dell’altro nemico. Non è un amore? Il paradosso fa il paio con quello dell’Ucraina che ci ordina di sanzionare sempre più duramente la Russia e seguita a incassare da Mosca i diritti di transito del gas russo sul suo territorio, visto che l’Ue si guarda bene dal disdire l’accordo trilaterale con Mosca e Kiev (l’unica via di transito del gas russo che rifornisce Slovacchia, Austria, Ungheria, Italia e altri paesi Ue dopo la distruzione dei Nord Stream è proprio l’Ucraina).

2) Lloyd Austin, segretario americano alla Difesa, intima al regime ucraino di “concentrare gli attacchi su obiettivi militari russi”, cioè a piantarla di bombardare le raffinerie petrolifere di Mosca. Altrimenti i prezzi dei carburanti, già alle stelle, impazziscono e l’inflazione galoppante danneggia la già pericolante campagna elettorale di Biden. Così però il governo Usa ammette che anche l’Ucraina è uno Stato terrorista che attacca obiettivi civili, cosa che peraltro già si sapeva – anche se non si poteva dire – dopo la distruzione dei gasdotti russo-tedeschi Nord Stream 1 e 2 (con complicità della Cia), l’autobomba ucraina che uccise a Mosca Darya Dugina, rea di essere figlia di un filosofo amico di Putin, e gli omicidi di giornalisti sgraditi a Kiev rivendicati dai servizi ucraini. E la cosa sarà ancor più evidente quando si arriverà a un cessate il fuoco e bisognerà disarmare tutte le milizie irregolari e mercenarie che infestano l’Ucraina con le armi regalate dall’Occidente in questi 10 anni. Sempreché nel frattempo non se le siano prese i russi per spararci contro, come sempre avviene quando armiamo i buoni contro i cattivi, poi scopriamo che i buoni scarseggiano e finiamo sempre per spararci nei c*gli**i.

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PIEDONE LO SBIRRO

l'editoriale di Marco Travaglio

13 aprile 2024

Conte non ha conosciuto Casaleggio, morto nel 2016, poco prima che Raggi e Appendino conquistassero Roma e Torino, due anni prima che Di Maio sfiorasse il 33% e lui, da professore e avvocato, diventasse premier. Ma dovrebbe deporre un fiore sulla sua tomba per avergli lasciato in eredità tre regole d’oro. Regole che preservano il M5S non dagl’inevitabili casi di malaffare, ma dai tre virus mortali che infettano i partiti: affarismo, poltronismo e trasformismo. 1) Il rifiuto di soldi diretti dallo Stato e di finanziamenti privati (solo micro-donazioni): spendere poco o nulla e darsi strutture leggerissime per non dipendere dai soldi di tizio o caio. 2) Il tetto di due mandati, sacrosanto almeno per i ruoli monocratici di governo locale. 3) Il divieto di iscrivere e candidare gli ex di altri partiti. Dovrebbe farci un pensierino anche la Schlein, che si ritrova un partito in gran parte infetto. Lo disse l’ex segretario Zingaretti andandosene: “Mi vergogno del Pd che parla solo di poltrone”. E lo ripeté lei: “Basta tesseramenti irregolari, estirpiamo il male, via i capibastone e i cacicchi”.

Ora si dice “irritata” perché Conte, dopo tre retate in 20 giorni, fugge dalla giunta Emiliano, dopo quattro anni di buona collaborazione al welfare e alla cultura. E “irritata” con Emiliano perché l’ha costretta a inseguire Conte sul repulisti. Ma Emiliano non è il leader del Pd pugliese. Che si teneva come capogruppo regionale tal Caracciolo, rinviato a giudizio per corruzione e turbativa d’asta, e come consigliere e presidente in commissione Ambiente tal Mazzarano, addirittura un condannato definitivo per corruzione. Ora è bastato che Conte annunciasse la conferenza stampa a Bari perché il Pd cacciasse entrambi. Troppo tardi, tantopiù che chi li ha lasciati lì (il vertice regionale del Pd) resta al suo posto. La Schlein ha avuto un anno per procurarsi la lista dei pregiudicati e imputati e liberarsi almeno dei primi (ma pure dei secondi, per fatti gravi e accertati): non l’ha fatto. Poi ci sono le colpe di Emiliano: non mafiosità o corruzioni nell’attività di giunta (per ora non ne risultano). Ma il bulimico delirio di onnipotenza da Piedone lo Sbirro, che deriva da 10 anni al Comune e 9 alla Regione. Stando dalla parte dei “buoni”, Piedone imbarca chiunque pur di vincere e chiude un occhio sui “cattivi” che gli paiono redenti per il sol fatto di stare con lui. Ma è la sindrome di tutti i politici che mettono radici pluridecennali: incluso il sindaco Decaro, anche lui reo di trasformismo (non di mafiosità o tangenti), che insiste perché a succedergli sia il suo capo di gabinetto, cioè perchè i cassetti e le finestre del Comune restino chiusi. Prima di irritarsi con gli altri, Elly dovrebbe aprire almeno quelle finestre. Oppure irritarsi con se stessa.

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I GOLPISTI BUONI

l'editoriale di Marco Travaglio

14 aprile 2024

Appassionati di western come siamo, seguiamo sempre con entusiasmo la guerra fra buoni e cattivi. L’altroieri, per dire, il petto ci s’è gonfiato di orgoglio patriottico nell’apprendere che il generalissimo Francesco Paolo Figliuolo, già esperto di vaccini per Draghi e di alluvioni per la Meloni, fa la spola fra l’Italia e il Niger per ricominciare ad addestrare i parà golpisti che l’estate scorsa rovesciarono e arrestarono il presidente filo-occidentale regolarmente eletto Bazoum e issato al suo posto la giunta militare filorussa del generale Tchiani. Avete capito bene: quelli fanno il golpe e noi li addestriamo. Quelli espellono i 1500 militari francesi e i 1100 americani, cacciano le missioni dell’Ue e noi restiamo lì – unici in tutto l’Occidente – coi nostri 250 soldati, pronti a raddoppiarli. Il perché lo spiega l’intrepido Figliuolo, pancia in dentro e nastrini infuori, inviato sul posto dal sagace Crosetto: “Le autorità nigerine (i golpisti, ndr) ci hanno promesso il ritorno alla democrazia e all’ordine costituzionale”. Lui li ha guardati negli occhi e ci ha creduto. O gli hanno detto di crederci: “L’Italia è l’interlocutore privilegiato del Paese, crocevia di tutti i flussi migratori dal Sahel e dal Corno d’Africa”, ergo nostro “prioritario interesse nazionale”. E, se ce ne andassimo anche noi, lasceremmo “spazi di manovra a influenze malevole, ad esempio russe e cinesi”. Ecco: o noi, o loro. E poi, sennò, con chi lo facciamo il Piano Mattei? “I nostri rapporti proficui col Niger contribuiscono sinergicamente all’implementazione del Piano Mattei con strategie di cooperazione paritetiche e innovative”, mica pizza e fichi. Quindi mica si può sottilizzare troppo su quali mani si stringono e di quanto sangue grondano: “Da quelle parti lì il confine tra buoni e cattivi non è così netto”. Ma non mi dire: “da quelle parti lì” (e solo lì) ci facciamo andar bene anche i cattivi, sennò arrivano i cattivoni Cina, Iran e Russia.

Purtroppo Figliuolo e i suoi geniali mandanti non si sono accorti che la Cina è arrivata da mo’: prima del golpe era il secondo investitore dopo Parigi (2,7 miliardi di dollari fino al 2020 in ricerche petrolifere e giacimenti d’amianto) e ora, cacciati i francesi, sarà il primo. L’Iran sta per fornire al regime nigerino droni in cambio di uranio. E, appena Figliuolo ha finito di parlare, sono arrivati pure i russi. Due notti fa i quadrimotore Ilyiushin hanno sbarcato a Niamey i primi 100 militari dell’Afrika Corp, con tanto di missili e troupe televisive per immortale lo storico evento: l’ingresso dell’esercito di Putin, già presente in sei Paesi del Sahel, nell’ultimo ex presidio occidentale della regione. A prendere sul serio le promesse dei golpisti al generalissimo Figliuolo, vuoi vedere che niente niente ora è la Russia a esportare la democrazia?

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

15 aprile 2024

Chi non muore si rivede. “Piuttosto imprevedibilmente, Giorgio Pietrostefani è vivo, sia pure a modo suo, e si è messo a scrivere. O, più probabilmente, si è messo a pubblicare” (Adriano Sofri, Foglio, 13.4). Purtroppo non si può dire lo stesso del commissario Luigi Calabresi.

Sallusti 110%. “Prima manovra finanziaria targata Mario Draghi… solo un po’ meno tasse e qualche beffa. Tipo quella sul superbonus del 110 per cento per ristrutturare casa, una delle poche buone cose fatte dal governo precedente per rimettere in moto la filiera dell’edilizia che è motore dell’economia… Tagliare fuori dall’agevolazione milioni di italiani che fuori dai grandi centri urbani abitano casette modeste o vecchie dimore ereditate solo perché non sono poveri (una Isee di 25 mila euro si avvicina a tale definizione) è ingiusto e controproducente per loro e per l’economia. Anche perché se una famiglia – diciamo padre, madre e due figli – pur lavorando vive con duemila euro mese non penso che il suo primo pensiero sia quello dell’efficientamento energetico e neppure quello della sicurezza sismica della propria casa” (Alessandro Sallusti, Libero, 29.10.2021). “Conte è l’artefice del più grande scandalo della nostra storia recente… roba che in confronto i magheggi pugliesi del Pd sono bazzecole e i mafiosi dei dilettanti nel drenare soldi pubblici: il superbonus… ha azzerato qualsiasi possibilità di crescita del Paese… Il superbonus di Conte ha fatto in tre anni più danni allo Stato e agli italiani di quanti tutte le mafie messe insieme ne abbiano fatti negli ultimi 20 anni” (Sallusti, Giornale, 13.4.2024). Ma il superbonus di Conte o il superbonus di Sallusti?

Ma non mi dire/1. “Conte punta a fare il premier” (Alfredo D’Attorre, Pd, Unità, 13.4). Che facciamo: lo arrestiamo subito o aspettiamo?

Ma non mi dire/2. “Prima di entrare in politica Conte collaborò senza fare un plissé con pregiudicati condannati in via definitiva” (Emiliano Fittipaldi, Domani, 13.4). Un avvocato che assiste condannati (se non si chiamano De Benedetti) è peggio di un medico che assiste malati.

Gens Tarquinia. “Personalmente sono molto favorevole alla candidatura di Andrea Tarquinio” (D’Attorre, ibidem). Si pensava che il Pd volesse candidare Marco Tarquinio, ex direttore di Avvenire. Ma un Tarquinio vale l’altro: già sondati anche Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo.

Gens Salia. “Consiglio a Schlein: candidi Salis. Non Ilaria, il papà” (Francesco Merlo, Repubblica, 8.4). O una zia.

Le parole per dirlo. “Falso in bilancio e truffa aggravata, Santanchè verso 2 processi” (Ansa, 12.4). “Santanché, tramonta l’accusa di bancarotta” (Giornale, 13.4). “Cade per la Santanché l’accusa di bancarotta” (Libero, 13.4). Sono soddisfazioni.

L’esperto. “Ci sono politici che ogni volta che aprono bocca perdono consenso per la quantità di fesserie che riescono a dire” (Sallusti, Giornale, 10.4). Parla per esperienza.

I veri partigiani. “25 aprile, gli ucraini danno buca all’Anpi” (Libero, 10.4). Loro la Resistenza la fanno già coi nazisti del battaglione Azov.

Quartapalle. “I casi di Bari e Torino? Meglio non cedere all’auto-giustizialismo, avrei preferito una risposta più politica” (Lia Quartapelle, deputata Pd, Riformista, 10.4). Tipo portare le arance ai tuoi.

Un pesce di nome Zanda. “Conte vuole battere il Pd e sogna di tornare a fare il presidente del Consiglio, cosa impossibile dopo il suo primo governo con la Lega… Le successive piroette politiche gli rendono la strada verso Palazzo Chigi impraticabile” (Luigi Zanda, Pd, Stampa, 11.4). Non l’hanno avvisato che le successive piroette politiche Conte le fece col Pd e che anche il Pd governò con la Lega nei 18 mesi di Draghi.

Papa Merlo I. “Francesco sta faticando a diventare il Papa dei giusti” (Freancesco Merlo, Repubblica, 12.4). Per forza: si ostina a non leggere Merlo, anzi a non sapere proprio chi diavolo sia.

Furbi, loro. “Il problema di Zaporizhzhia sono i russi” (Foglio, 10.4). Per forza, sono due anni che si bombardano da soli.

Il titolo della settimana/1. “L’eredità del Cavaliere si chiama libertà” (Daniele Capezzone, Libero, 8.4). Provvisoria.

Il titolo della settimana/2. “Tajani strappa a Israele l’ok per gli aiuti a Gaza” (Giornale, 8.4). Da quando ci ha parlato, Netanyahu dorme con la luce accesa.

Il titolo della settimana/3. “Cambio di sesso, l’ira delle madri” (Repubblica, 8.4). Padri, si dice padri, sennò s’incazzano.

Il titolo della settimana/4. “La nostra libertà passa da Kharkiv” (Paola Peduzzi, Foglio, 12.4). Buono a sapersi, mo’ me lo segno.

Il titolo della settimana/5. “Conte, il Savonarola che fa il gioco della destra” (Nadia Urbinati, Domani, 9.4). Per fare il gioco della sinistra bisogna rubare e comprare voti.

Il titolo della settimana/6. “Il ritorno dell’onestà: la strategia di Conte per logorare Schlein” (Domani, 10.4). Torna l’onestà: panico fra i debenedettisti.

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OPPOSTI CRETINISMI

l'editoriale di Marco Travaglio

16 aprile 2024

Gli opposti estremisti, quelli che “Israele è sempre stato così criminale” e quelli che “dobbiamo allearci con Israele e i sunniti per sconfiggere l’Iran sciita”, dovrebbero studiare la storia e possibilmente capirla. Il 2 agosto 1990 l’Iraq di Saddam Hussein invade e annette il Kuwait, minacciando l’Arabia Saudita. Il 17 gennaio 1991 una coalizione fra gli Usa di George Bush senior e 34 Paesi (Nato e arabi) ottiene l’avallo Onu e scatena il Desert Storm, che in poco tempo libererà il Kuwait senza toccare Saddam. La sera stessa gli Scud iracheni iniziano a bombardare Tel Aviv e Haifa. Per cinque settimane Israele, che non fa parte della coalizione, rivive l’incubo del 1948. I cittadini barricati nelle case o nei bunker, con le maschere antigas e le finestre sigillate col nastro adesivo, mentre l’esercito distribuisce fiale di atropina nel timore di testate biologiche o chimiche. Il leader Olp Yasser Arafat si schiera con “il mio fratello Saddam”. Ma il suo appello alla mobilitazione del mondo arabo cade nel vuoto. Il premier israeliano Yitzhak Shamir, leader del Likud (il partito ora guidato da Netanyahu), si lascia convincere da Bush ad annullare il blitz già pronto contro l’Iraq. Per la prima volta nella storia, Israele non risponde a un attacco. È chiaro che Saddam tenta di avvolgere nella bandiera palestinese la sua mossa imperialista in Kuwait, trascinare Israele in guerra e sfasciare la coalizione arabo-occidentale. Missione fallita. Alla fine il bilancio delle vittime è molto più contenuto dello choc: due israeliani morti per gli Scud e alcuni per infarto. Arafat, screditato e isolato per aver puntato sul cavallo sbagliato, sarà presto costretto alla pace con Israele. Che fa tesoro del dramma dotandosi dello scudo anti-missili che l’altra notte ha neutralizzato 99 droni e razzi iraniani su 100. Si può vincere anche senza muovere un dito: lo statista Shamir lo capì; al macellaio Netanyahu non importa nulla del futuro del suo popolo. Lui bada solo della sua poltrona: anche a costo di scatenare una guerra nucleare e intanto di far apparire ragionevoli persino gli ayatollah.

Ora qualche demente invoca una coalizione occidental-sunnita per aiutare Israele a sconfiggere l’Iran, tanto è alleato solo di Cina e Russia: robetta. All’improvviso i sunniti, per i nostri atlantisti da fumetto, diventano buoni solo perché Arabia Saudita e Giordania stanno con gli Usa e Israele contro gli sciiti cattivi dell’Iran. Peccato che siano sunniti anche Hamas (e il Qatar che lo finanzia e ospita), al Qaeda, l’Isis, i Fratelli musulmani, le madrasse foraggiate da Riad che indottrinano islamisti in mezzo mondo. Quando la finiremo di fare o attizzare guerre giocando a dadi su amici e nemici del momento, forse smetteremo di spararci sui piedi.

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UNO SMEMORATO NATO

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17 aprile 2024

Dopo giorni di tregenda e notti insonni per la dipartita di Amadeus dalla Rai, stavamo quasi per perderci le clamorose rivelazioni di Sergio Mattarella nel 75° compleanno della Nato. Che “non ha mai tradito l’impegno di garanzia per i 32 Paesi che ne fanno parte: uniti nella difesa della libertà e della democrazia”. Possono ben testimoniarlo i giornalisti e gli oppositori arrestati, i manifestanti repressi e i curdi bombardati nella Turchia dell’alleato Erdogan. Il Presidente, in vena di scoop, ha aggiunto che la Nato “non è mai venuta meno” alla “funzione deterrente di garanzia della pace in Europa” e a “regole e principi che trovano ancoraggio nella Carta dell’Onu” per “il diritto di tutti gli Stati all’autodifesa”, “a dispetto della retorica bellicista russa tesa ad attribuirle inesistenti logiche aggressive ed espansionistiche”. Certo, come no: la Nato è un’alleanza difensiva che attacca solo chi aggredisce un suo membro. Infatti nel 1999, senz’alcun mandato Onu, attaccò la Serbia di Milosevic che non aveva attaccato nessun membro Nato: oltre 2 mila morti, quasi tutti civili. Nel 2001, senza mandati specifici dell’Onu, invase l’Afghanistan dei talebani, che non avevano attaccato nessun membro Nato: oltre 200 mila morti, più 80 mila in Pakistan. Nel 2003, sempre senza avallo preventivo dell’Onu, Usa, Uk, Italia e Spagna invasero l’Iraq di Saddam Hussein, che non aveva attaccato nessun membro Nato: dagli 800 mila al milione di morti. Nel 2011, aggirando ancora l’Onu, la Nato bombardò la Libia di Gheddafi, che non aveva attaccato nessun membro Nato, ma fu messo in fuga dalle bombe e brutalmente trucidato.

Milosevic, Saddam e Gheddafi erano i migliori alleati della Russia in Europa, Golfo Persico e Nordafrica: infatti quei bellicisti dei russi si fecero l’idea che la Nato fosse un’alleanza offensiva contro di loro, che avevano sciolto il Patto di Varsavia nel 1991. Nel 1990 la Nato aveva pure promesso a Gorbaciov di non allargarsi di un palmo oltre il confine tedesco dopo la riunificazione delle Germanie. Poi purtroppo passò da 16 a 32 membri e nel 2008 annunciò l’ingresso di altri due vicini di casa della Russia: Ucraina e Georgia. Forse, mentre tutto ciò accadeva, Mattarella risiedeva su un altro pianeta o si occupava di giardinaggio? Macché: dal 1983 al 2008 fu deputato, poi giudice costituzionale e infine, dal 2015, capo dello Stato. Nel 1999, quando l’Italia partecipò ai 78 giorni di bombardamenti su Belgrado e il Kosovo, con 1.200-2.500 morti (quasi tutti civili) e fiumane di profughi, e chiamò la prima guerra in Europa dal 1945 “ingerenza umanitaria”, un certo Sergio Mattarella era vicepremier e subito dopo divenne ministro della Difesa. Ma magari era un omonimo.

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EURODENTIERE

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18 aprile 2024

La colonna sonora della nuova Europa che uscirà dalle elezioni di giugno è uno sferragliare di cateteri, dentiere, pappagalli, girelli, carrozzelle, fleboclisi, cinti erniari. A guidare il futuro dell’Ue si candida il suo peggiore passato: un cronicario di revenant e vecchie glorie che non ne hanno mai azzeccata una facendo carriera sui propri fallimenti e ora minacciano di concedere il bis. Si spacciano per nuovi (o addirittura si credono tali), annunciano “cambiamenti radicali”, parlano come nerd ventenni alla prima start-up mentre facevano danni già ai tempi di Andreotti, o han passato la vita a tentare di imitarlo. Gli elettori non hanno ancora votato, nessuno sa quale maggioranza sbucherà dalle urne, ma le newsletter di Villa Arzilla che chiamiamo massmedia stanno già decidendo chi presiederà la Commissione, chi ne farà parte e con che programma. Tra i favoriti c’è quella catastrofe ambulante di Ursula von der Leyen, insidiata però dal suo omologo (nel ramo disastri) italiano: Mario Draghi. Uno che è riuscito a governare l’Italia 18 mesi senza far nulla, a parte la schiforma Cartabia, il bellicismo beota che ha condannato a morte l’Ucraina e la trionfale autocandidatura al Quirinale (5 voti su 983), per poi darsela a gambe un attimo prima che gl’italiani lo sgamassero, ma in tempo per far vincere l’unico partito che si opponeva al suo governo.

La Commissione Ue morente gli ha affidato un report sulla competitività dell’economia europea, che è proprio il suo forte: il 31.5.2022 il grande economista aveva previsto che “il massimo impatto delle sanzioni alla Russia sarà in estate”, ma non aveva specificato in quale anno e su quale Paese. Infatti il Pil russo, in attesa dell’estate del default, nel 2023 è cresciuto sei volte quello europeo. L’altroieri ha anticipato le sue idee rivoluzionarie, cioè il solito vecchiume (leggete Fabrizio Barca sul Fatto di oggi), mandando in orgasmo i giornaloni italiani (i siti che contano, tipo Politico, Bloomberg e Financial Times, non hanno scritto una riga). Un altro che ci capisce è Enrico Letta che, avendo fallito tutto il fallibile in Italia e avendo previsto “la Russia in default entro qualche giorno” 771 giorni fa (9.3.’22), è stato incaricato dall’Ue di scrivere dei pensierini sul Mercato Unico. Più flop fanno in patria, più chenace hanno in Ue. Sembra di vivere ne L’audace colpo dei soliti ignoti, sequel del capolavoro di Monicelli, con la banda del buco che torna a colpire con gli stessi catastrofici risultati. Vogliono convincerci che il nostro voto non conta nulla e l’8-9 giugno è meglio andare al mare. Motivo in più per votare, ma solo per chi giurerà di non avallare mai più il riarmo a spese del sociale e del green. Cioè di stare alla larga dalle Ursule, dai Draghi e da tutto il gerontocomio.

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LE PAROLE PER DIRLO

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19 aprile 2024

Ci è voluto un po’, ma alla fine le quattro retate in un mese a casa Pd fra Puglia e Piemonte sono finalmente diventate il “caso Conte”. Il merito è dell’infaticabile Maria Teresa Meli (Corriere: “L’ira di Schlein sul ‘caso Conte’. E lui evoca anche Mani Pulite”), un tempo ventriloqua di Renzi e ora di Elly, di cui riporta col consueto distacco ciò che “spiega ai fedelissimi”, “racconta lei stessa”, “dice ai suoi senza girarci intorno”. E che dice Elly? “Basta parlare di Conte”. Poi però parla solo di lui, che si ostina a non subire retate, quindi è un “caso”. Il putribondo grillino mira financo a “conquistare voti”, diversamente dagli altri leader che mirano a perderli. Ma, osserva amara Mely Schlein, “anche gli altri attuali o futuribili alleati puntano a togliere voti al Pd”. Cioè: il Pd è proprietario di milioni di elettori (come peraltro emerge dalle retate sui voti comprati) e gli alleati attuali o futuribili vogliono scipparglieli. Come? Presentando candidati senza il permesso di Elly. Avs, per dire, “candida Ignazio Marino” (che il Pd cacciò da sindaco nello studio di un notaio) “nonostante i dem avessero tentato di convincere Bonelli a lasciar perdere” (decidono anche le candidature altrui). E, non contenta, “cerca di convincere Ilaria Salis”, dopo che il Pd s’è beccato il no secco dall’interessata e del padre. E Renzi? Brutta aria anche lì. Ma non perché quello appoggia quasi sempre le destre, quelle sono quisquilie: bensì perché “Schlein continua a non comunicare” con lui, anche se si vocifera di “un loro scambio frequente di messaggi”. E Calenda? “Pure lui punta a quel bacino elettorale, benché lui sì che comunichi (sic, ndr) ogni tanto con la segretaria”. E comunque, sul “caso Conte, “più di tanto il Pd non si spinge” (ri-sic).

È una fortuna avere a disposizione giornali così: se dovessero mai chiamare le cose col loro nome, tipo le retate nel Pd “caso Pd”, toccherebbe fare qualcosa di più serio che appiccicare la foto di Berlinguer sulla tessera. Per esempio copiare quelli del “caso Conte” almeno sul divieto di imbarcare trasformisti. Già, perché senza quell’esercito di ex-centrodestri, ora il Pd sarebbe intonso. A Bari le sue indagate Lorusso e Maurodinoia sono accusate di aver trafficato voti quando stavano a destra, ma a pagare pegno è il Pd, ultimo domicilio conosciuto. A Torino Sasà Gallo, attempato capobastone inquisito, era craxiano, poi Fassino l’ha accolto come fosse a casa sua. E Luca Sammartino, il vicepresidente siciliano indagato l’altroieri, era nato Udc, poi era passato ad Articolo 4, e dì lì al Pd renziano, infine aveva traslocato in Iv e infine nella Lega. Ma è accusato di aver comprato voti nel 2019 per il Pd. Che così si sp*****a anche quando le retate riguardano le destre. Ma forse anche questo è un “caso Conte”.

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CUM GRANA SALIS

l'editoriale di Marco Travaglio

20 aprile 2024

Siccome Bonelli&Fratoianni la candidano, si presume che desiderino l’elezione di Ilaria Salis a eurodeputata. Quindi spiegheranno cos’abbia in comune Avs con l’insegnante antagonista milanese, a parte la giusta indignazione per i trattamenti da lei subiti a Budapest. Che però è un po’ poco per issarla al Parlamento europeo. Dopo le quattro condanne definitive in Italia a 1 anno e 9 mesi per “accensioni ed esplosioni pericolose”, resistenza a pubblico ufficiale, invasione di edifici e denunciata 29 volte per reati simili (tipici dell’attivismo politico), la Salis deve rispondere in Ungheria di accuse più gravi: associazione per delinquere e lesioni ai danni di due neonazisti, per cui è in custodia cautelare da 14 mesi. Sui media si sprecano i paralleli con Enzo Tortora e Toni Negri, arrestati per camorra e terrorismo, candidati da Pannella nei Radicali e scarcerati appena eletti grazie all’immunità con epiloghi opposti: Tortora chiese a Strasburgo di concedere l’autorizzazione a procedere, fu condannato in primo grado e assolto in appello; Negri fuggì in Francia per 14 anni mentre la Cassazione lo condannava a 12 anni per associazione sovversiva e concorso in rapina col morto. Ma entrambi erano in mano ai giudici italiani: la Salis a quelli ungheresi. Da cui dipende in esclusiva il suo futuro.

Sicuri che politicizzare il suo caso fino a candidarla per darle l’immunità indurrà i giudici di Budapest a trattarla coi guanti anziché a condannarla al massimo della pena, cioè a 24 anni? Si dirà: appena eletta dovranno scarcerarla per forza e l’Ungheria non la vedrà più. Magari. Intanto non è certo che sia eletta: se Avs non raggiunge il 4% (cosa possibile, visti i sondaggi e la concorrenza di Santoro) o se lei non riceve abbastanza preferenze, rimane tr*****a e per i giudici diventa un’imputata che ha tentato di sottrarsi alla giustizia, per giunta scaricata dai suoi stessi concittadini. Un pessimo viatico per la sentenza. Se invece viene eletta, non è affatto detto che i giudici la liberino: in casi analoghi, alcuni sono usciti e hanno raggiunto l’Europarlamento, altri no (nella democraticissima Spagna l’indipendentista catalano Junqueras fu lasciato in cella dalla Corte suprema e sostituito in sei mesi dal primo dei non eletti). Se invece i giudici la scarcerano, possono chiedere all’aula di levarle l’immunità e autorizzarne un nuovo arresto. O condannarla e reclamarne la consegna per farle espiare la pena che, se definitiva, non ammette immunità. Animati dalle migliori intenzioni, Bonelli&Fratoianni rischiano di farle danni devastanti. Come la donna Prassede del Manzoni, “molto inclinata a far del bene: mestiere certamente il più degno che l’uomo possa esercitare; ma che purtroppo può anche guastare”.

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OSCURATI

l'editoriale di Marco Travaglio

21 aprile 2024

In una democrazia normale, con un servizio pubblico vero, un bravo scrittore come Antonio Scurati andrebbe serenamente in onda sulla Rai con un monologo che non è una lezione sul 25 aprile, ma un’invettiva contro la premier Giorgia Meloni, accusata di non dichiararsi ciò che non è (antifascista), e dunque di continuare a “infestare la casa della democrazia italiana” con “lo spettro del fascismo”. Nel servizio pubblico vero di una democrazia normale, altri bravi scrittori di diverso orientamento andrebbero serenamente in onda a dire peste e corna di Schlein, Renzi, Calenda (di Conte lo fanno da sempre le reti di destra e di sinistra). Gli interessati magari si lamenterebbero, ma poi si rassegnerebbero come faceva la Thatcher con la Bbc: “Non mi piace, ma non posso farci nulla”. Purtroppo non siamo una democrazia normale anche perché la Rai è di proprietà del governo grazie alle leggi Gasparri (centrodestra) e Renzi (Pd). Ergo le reti, i tg e i talk sono in gran parte in mano al governo (non tutti, come nei fulgidi anni di Renzi e Draghi, ma quasi). Quindi è sempre uno scandalo che un bravo scrittore venga censurato e pure vilipeso con l’accusa di “volere i soldi” (come se un professionista dovesse lavorare gratis). Ed è anche un capolavoro di stupidità, perché ora quel monologo è infinitamente più noto di quel che sarebbe stato se fosse andato in onda in un programma dagli ascolti bassini (quando B. censurava a suon di editti, non c’erano i social per ripostare i contenuti silenziati né tv concorrenti per ospitare le sue vittime).

Ma è un déja vu: due anni fa il prof. Alessandro Orsini si vide stracciare il contratto Rai già firmato per Cartabianca su ordine dei vertici draghiani con l’accusa di leso atlantismo: purtroppo i compagnucci che ora si stracciano giustamente le vesti per la censura a Scurati tacquero o solidarizzarono con i censori (tentarono persino di trascinare Orsini al Copasir, gli sguinzagliarono i Servizi, proscrissero altri spiriti liberi come “putiniani” e vietarono alla Rai di invitare giornalisti russi a parlare di Russia). Sono gli stessi che ai tempi di Renzi, mentre la sua Rai cacciava Gabanelli, Giannini, Giletti e Porro e destituiva la Berlinguer dal Tg3 per lesa renzità&boschità, parlavano d’altro o applaudivano. Solo l’altro giorno il Pd ha protestato, minacciando l’Aventino per un paio d’ore, perché il Tg1 racconta le retate di Bari e Torino. Cioè, eccezionalmente, fa il suo dovere. Figurarsi che avrebbe fatto se uno scrittore di destra fosse andato in Rai a dipingere Elly Schlein come la nipotina di Stalin. Gli unici che hanno diritto di protestare contro l’ennesima censura sono i cittadini che pagano il canone. Ma i politici ripongano le facce da Ventotene: l’antifascismo e pure il fascismo sono cose troppo serie per loro.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

l'editoriale di Marco Travaglio

22 aprile 2024

The Genius. “D’Alema premier? Per fare la guerra serviva un postcomunista” (Fausto Bertinotti a proposito dei bombardamenti Nato su Belgrado nel 1999, Corriere della sera, 21.4). E serviva un genio per rovesciare Prodi e spianargli la strada.

Pompe funebri. “Nella fantastica versione di Netflix del Cav. Giovane c’è tutto il mistero gaudioso dell’eccesso che è successo. A’ l’homme fatal la patrie reconnaissante” (Giuliano Ferrara, Foglio, 17.4). Ma va’ a ciapà i ratt.

La Repubblica di Silvio. “Piaccia o no, Berlusconi sta diventando un padre della patria. E del resto anche i suoi più grandi avversari politici e giornalistici in questi mesi hanno ammesso più volte che, rispetto ai nuovi potenti di oggi, la sua figura giganteggia” (Claudia Morgoglione, Repubblica, 21.4). Ma questi quando si vergognano?

Smemoranda. “Meloni fa scappare Amadeus, Berlusconi rispetto a lei era liberale” (Sandro Ruotolo, Pd, Foglio, 16.4). Vuoi mettere Amadeus con Biagi, Santoro e Luttazzi?

Vedovi inconsolabili. “La Rai ha perso il suo Pibe de Oro. Come faremo senza Amadeus” (Alice Valeri Oliveri, Domani, 19.4). Io stavo giusto pensando al suicidio.

Sempre Chiara. “‘Del’ stabilisce una proprietà, e la proprietà è per sua natura transitiva, oggi questa è casa mia e domani sarà della banca che me la pignorerà, oggi la sovranità è del popolo e domani magari del partito unico. Ma se è ‘nel’, allora è nella natura stessa di popolo, inalienabile perché, privo della sua sovranità, il popolo cessa di essere… Nella Costituzione italiana c’è ‘al’, la sovranità appartiene al popolo… Una comunità si consustanzia in regole assolute e transeunti… mentre l’ostensione cambia ambito semantico e dalla religione passa alla vita politica e al quotidiano di tutti per via dei social…”. “Appartengo a una generazione dove ancora qualcuna pensava si potesse rimanere incinte leccando gli adesivi di Cioè precedentemente leccati dai maschi – del perché poi leccassimo gli adesivi non so, forse per la colla – ma confido che la situazione sia migliorata” (Chiara Valerio, Repubblica, 16 e 20.4). La portano via.

Brrr. “Le agende Draghi quella della politica e quella dei contatti internazionali, ora fanno paura” (Francesco Damato, Dubbio, 20.4). Soprattutto agli archeologi: ne stavano cercando una e scoprono che sono due.

Cum grana Salis. “Roberto Salis: ‘Ilaria con Avs, ma avrei preferito i dem’” (Repubblica, 20.4). Per Bonelli e Fratoianni sono soddisfazioni.

L’esperto/1. “Pomicino: ‘La politica non è gratis. Ha bisogno di finanziamenti pubblici’” (Stampa, 16.4). Per arrotondare le tangenti.

L’esperto/2. “La fabbrica del falso è sempre all’opera” (Mario Sechi, Libero, 19.4). Sennò lui che ci sta a fare.

L’esperto/3. “Pd, guarda a Sànchez e dimentica Conte” (Massimo L. Salvadori, Unità, 19.4). Magari vinci in Spagna.

Ha stato Putin. “Profili fake e articolo mai scritti: le reti filo Putin usano Repubblica per fare propaganda contro Kiev” (Repubblica, 14.4). Che idioti: anziché inventare fake, potrebbero riportare gli articoli veri dall’inserto mensile filoputiniano Russia Today che uscì su Repubblica dal 2010 al 2016.

Il condannato assolto. “Assoluzione netta per Lucano” (Riformista, 17.4). A proposito della condanna in appello di Lucano a 1 anno e 6 mesi per falso in atto pubblico.

Eventi epocali. “L’intensità delle cose irripetibili”, “Trentasette giorni sono un’inezia. Ma il tempo si misura sotto pelle. Già sento che questo spicchio di vita risalirà lungo la mia memoria fino alla testa, con l’intensità delle cose irripetibili” (Alessandro Barbano, lasciando la direzione del Riformista dopo 37 giorni, 17.4). Sempre ad avercela, una testa.

Lo Turco/1. “Auto, si acceleri sugli incentivi” (Stefano Lo Russo, sindaco Pd di Torino, Stampa, 14.4). Massì, diamo qualche altro miliardo a Stellantis per scappare in Francia con la cassa.

Lo Turco/2. “Le inchieste? Basta sciacallaggi. Appendino attacca però sarebbe più utile se da Roma desse una mano alla sua città” (Lo Russo, ibidem). Compri qualche voto per il Pd anche lei.

Il titolo della settimana/1. “Famiglie reali nel mondo, le ultime news. Da Felipe e Letizia a Carlo e Martha” (Repubblica, 13.4). Da oggi Repubblica si chiama Monarchia.

Il titolo della settimana/2. “Sanzionare l’Iran non basta più” (Foglio, 18.4). Giusto: bombardiamogli qualche altra ambasciata.

Il titolo della settimana/3. “‘Killer appostati e poi fuggiti dai tetti’. La strage di Erba secondo Rosa e Olindo” (Repubblica, 17.4). Sempre più solida la pista degli Ufo.

Il titolo della settimana/4. “Il paragone tra il Conte pirandelliano e la visione politica di Craxi non regge” (Damato, Dubbio, 16.4). Giusto: Craxi rubava.

Il titolo della settimana/5. “Festeggiare il 25 aprile con la Nato” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 21.4). E poi scoprire che il 25 aprile fu nel 1945, la Nato nacque nel 1949 e il nazifascismo fu sconfitto anche dall’Unione Sovietica.

Il titolo della settimana/6. “Mattarella: Nato vuol dire pace” (Riformista, 16.4). Uhahahahah.

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ANDATE AL MARE

l'editoriale di Marco Travaglio

23 aprile 2024

Ieri e domenica in Basilicata ha votato il 49,8% degli elettori: -3,7% sul 2019, quando si votò solo un giorno. Ma l’astensionismo è ancora troppo basso: per favorirlo si può fare molto di più. Il Pd si porta avanti in otto mosse.

1. Dopo aver massacrato giustamente B. perché si candidava alle Europee in ogni circoscrizione per poi rinunciare al seggio, Elly Schlein si candida alle Europee in due circoscrizioni per poi rinunciare al seggio. Così gli elettori si sentono allodole.

2. Dopo aver lapidato giustamente B., Salvini, Meloni per i loro cognomi sui simboli dei loro partiti personali che trasformano surrettiziamente la Repubblica parlamentare in semipresidenziale, la Schlein tenta di infilare il suo cognome al logo Pd (poi, visto il putiferio, rinuncia ringraziando “chi l’ha proposto”, cioè se stessa). Il tutto mentre contesta il premierato di Meloni&C. Così gli elettori si rassegnano: cambiare il Pd vuol dire cambiargli ogni tanto il nome e il segretario.

3. Dopo aver votato in Italia tutti i decreti per le armi a Kiev e in Europa tutte le risoluzioni per il riarmo anche con i soldi del Pnrr, il Pd candida i pacifisti Strada, Tarquinio e Cristallo da sempre contrari a tutto ciò che il Pd approva sul tema. Così gli elettori si sentono carne da cannone.

4. Mentre denuncia trasformisti e voltagabbana, ma solo dopo le indagini di Bari, Torino e Catania, la Schlein candida Eleonora Evi, che in due anni ha cambiato tre partiti: M5S, Avs e Pd. Tanto gli elettori mica se ne accorgono.

5. Mentre si dice “irritata” da Michele Emiliano e gli chiede di azzerare la giunta pugliese intonsa da inchieste giudiziarie, la Schlein candida alle Europee il sindaco barese Antonio Decaro che ha appena avuto l’assessore al Bilancio indagato per truffa e la municipalizzata dei trasporti commissariata per mafia, per sostituirlo col suo capo di gabinetto. Tanto gli elettori mica ci badano.

6. Mentre Draghi e Letta programmano per l’Europa un radioso futuro di economia di guerra prim’ancora che votino gli elettori europei, gli unici commenti del Pd (Gentiloni e Fassino) sono eccitatissimi. Così gli elettori capiscono che votare è inutile.

7. Mentre strilla contro TeleMeloni, anche con appositi sit-in in viale Mazzini, Elly candida Lucia Annunziata, che sette mesi fa lasciò la Rai giurando “Non mi candiderò mai e poi mai alle Europee né col Pd né con nessun altro partito”. Così gli elettori pensano: toh, prima c’era TelePd e le bugie fanno curriculum.

8. Mentre difende giustamente la libertà di parola di Antonio Scurati che voleva attaccare la Meloni a Che sarà, il Pd chiede di cacciare la vicedirettrice del Tg1 Incoronata Boccia che ha attaccato l’aborto a Che sarà. Così agli elettori viene la labirintite.

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