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Dino

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O LA FACCIA O LA VITA

Editoriale di Marco Travaglio

08 novembre 2025

Tutti sanno come finirà l’assedio russo a Pokrovsk: con la resa o con lo sterminio degli ucraini circondati e minoritari (uno contro otto). Come le battaglie di Mariupol, Bakhmut, Avdiivka e il blitz della regione russa di Kursk. Tutti conoscono pure il finale della guerra: la Russia si terrà i territori che voleva (quelli filorussi di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson, più un cuscinetto di confine tra Sumy e Kharkiv) in cambio di quelli occupati in sovrappiù. Che Kiev non avrebbe riavuto i territori perduti lo disse il generale Usa Milley nel novembre 2022, dopo la prima e unica vera controffensiva ucraina. Lo ammisero gli 007 ucraini due anni fa, dopo il tragico flop della seconda. Lo confessò Zelensky 11 mesi fa. Ma nessuno, a Kiev come nell’Ue nella Nato, voleva perdere la faccia: quindi si continuò ad armare e finanziare l’Ucraina senza spiegare ai poveri soldati rimasti vivi che non erano fuggiti dal fronte e dalla leva perché dovessero ancora combattere e morire. La panzana di Putin che vuole l’intera Ucraina è incompatibile con gli appena 180 mila soldati inviati nel 2022 contro un esercito grande il triplo, con le aperture fatte un mese dopo ai negoziati di Istanbul e con la logica (il centro-ovest russofobo, anche se lo avesse occupato, avrebbe faticato a mantenerlo, pieni com’è di armi, mercenari e terroristi neonazisti). Ma fa comodo a chi ha perso la guerra per fingere di averla vinta e giustificare le centinaia di migliaia di vite e di miliardi sacrificati per difendere una causa persa, anziché negoziare e salvare il salvabile.

La propaganda occidentale, come le sanzioni, danneggia chi la fa e crede alle balle che racconta. Tanto a morire sono solo gli ucraini. L’unico a dire la verità (“Zelensky non ha più carte”) è Trump, il più grande bugiardo del mondo che però è l’unico in Occidente a non rischiare la faccia: la guerra non l’ha mica voluta lui. Tutti gli altri fischiettano, raccontando coi loro trombettieri che Pokrovsk resiste (come Mariupol, Bakhmut, Avdiivka). Ma già si preparano a minimizzarne la caduta come la volpe con l’uva: “Tanto è solo un cumulo di macerie”. Fingono di non sapere che i russi non assediano Pokrovsk da 14 mesi perché attratti dalle bellezze del luogo: ma perché la città è l’ultimo avamposto della Maginot a ferro di cavallo che la Nato dal 2014 ha creato in Donbass per evitare che gli indipendentisti e poi i russi dilagassero nelle grandi steppe indifese dell’Ucraina centrale. Oltre quella linea non ci sono più ostacoli verso Dnipro e la Capitale. Questo Zelensky e i vertici di Nato e Ue lo sanno benissimo. Se si decidessero a dirlo e ad agire di conseguenza salverebbero migliaia di vite. Ma la loro priorità è un’altra, quella di sempre: salvare la faccia e la poltrona.

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SIAMO IN RUSSIA

Editoriale di Marco Travaglio

09 novembre 2025

Articolo 3 della Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”. Da due giorni non facciamo che rileggerlo, nel timore di aver capito male o di non esserci accorti che è stato abrogato. Invece è sempre lì e dice sempre la stessa cosa: non si possono discriminare cittadini per alcun motivo, ivi comprese le loro opinioni politiche. Strano, perché quasi ogni giorno viene discriminato qualcuno. Di solito si tratta di russi, ma anche ucraini del Donbass o della Crimea, perlopiù artisti bravi e famosi invitati a esibirsi e poi cacciati a pedate su richiesta di entità straniere (siamo o non siamo governati dai sovranisti?), tipo l’ambasciata di Kiev, o gruppi esteri filoucraini e antirussi. E sempre per opinioni politiche o financo per luogo di nascita, che li trasformano in “putiniani” o “amici” o “complici” o “propagandisti di Putin”. Un’equazione (governo=popolo) che ovviamente non vale su Israele. Si dirà: ma sono stranieri, mentre la Costituzione si riferisce agli italiani anche se non lo specifica (sarebbe bizzarro se gli italiani fossero liberi di discriminare gli stranieri, ma lasciamo andare).

L’altro giorno però è stato discriminato un cittadino italiano: lo storico Angelo D’Orsi, laureato con Bobbio, ordinario di Storia del pensiero politico all’Università di Torino dove ha insegnato per 46 anni, autore di oltre 50 volumi tradotti all’estero, biografo di Gramsci, Ginzburg e Gobetti, fondatore e direttore di riviste scientifiche e collaboratore dei principali giornali. Il 12 novembre D’Orsi doveva tenere una conferenza su “Russofobia, russofilia, verità” al Polo del 900 a Torino, fra i consueti strilli preventivi di nazionalisti ucraini e noti “liberali” tipo i radicali, Carlo Calenda e Pina Picierno. Poi l’altroieri ha appreso dai social della Picierno, eurodeputata “riformista” Pd e (che Dio perdoni tutti) vicepresidente del Parlamento Ue, che “l’evento della propaganda putiniana è stato annullato. Ringrazio il sindaco Lo Russo (si chiama proprio così, ndr) per la sensibilità, il Polo del 900 e tutti coloro che si sono mobilitati a livello locale e nazionale”. Nobile mobilitazione finalizzata a tappare la bocca a un prof che minacciava di dire cose sgradite ai mobilitati, anche se nessuno ancora le conosceva: cioè a censurare le sue opinioni politiche, come fanno le autocrazie e come la Costituzione proibisce di fare (mica siamo in Russia). Si attende ad horas il vibrante monito del capo dello Stato, massimo custode della Carta, e la dissociazione di Elly Schlein dalla sua eurodeputata e dal suo sindaco affinché D’Orsi possa parlare della russofobia. Senza più neppure il fastidio di doverla dimostrare.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

Editoriale di Marco Travaglio

10 novembre 2025

Sua Altezza. “E Brunetta si alza ancora lo stipendio: 60 mila euro in più” (Stampa, 7.11). Ma bastavano anche le prime cinque parole.

Il nuovo Dante. “Il mio Inferno. La Commedia del potere, illustrato da Makkox, forse è l’unico testo scritto da un italiano dopo Dante che rivaleggi con l’originale’” (Tommaso Cerno, direttore del Tempo, Corriere della sera, 8.11). Petrarca e Boccaccio ancora rosicano.

L’autodenuncia. “Contro l’invadenza delle balle da talk show. Manuale minimo di resistenza televisiva” (Carlo Calenda, leader Azione, Foglio, 3.11). Carino da parte sua rinunciare per sempre ai talk show.

È fatta. “‘E mo’ ce lo siamo tatuati per la vita. Slavaukraina’. Lo scrive su X il leader di Azione Carlo Calenda postando la foto dell’ultimo tatuaggio appena fatto che ricalca lo stemma dell’Ucraina” (Ansa, 8.11). Appena l’ha saputo, Putin ha ordinato la resa.

Vittoria! “Finisce l’anno più nero per l’Armata russa” (Federico Fubini, Corriere della sera, 8.11). Ma infatti è Putin che ogni giorno implora Zelensky di smettere di sconfiggerlo.

Toghe rosse libiche. “Almasri arrestato in Libia. Meloni: sapevamo che non sarebbe rimasto impunito” (Giornale, 6.11). Purtroppo qualcuno che rispetta la legge prima o poi si trova.

La mosca cocchiera. “Non sono tra gli entusiasti dell’elezione di Mamdani a sindaco di NewYork… Non mi pare ci sia molto da festeggiare” (Ivan Scalfarotto, senatore Iv, X, 6.11). E niente, questi newyorkesi votano incuranti delle indicazioni dello statista pescarese. Peggio per loro.

Il virus dilaga/1. “Il riflesso Mamdani si vede in Puglia: Decaro propone 30 mila euro a fondo perduto alle giovani coppie che vogliono comprare casa” (Paolo Mieli, Radio 24, 5.11). Fatti Mamdani dalla mamma a prendere casa.

Il virus dilaga/2. “Cosa unisce la Banca d’Italia alla Cgil, l’Istat alle tute blu, la Corte dei Conti ai Cobas? Il filo rosso… rigorosamente di sinistra che arriva fino al neo-comunismo in versione Mamdani” (Mario Sechi, Libero, 8.11). Niente da fare: questi cosacchi ormai sono dappertutto.

Cavaliere, è lei? “La notizia dell’inchiesta per turbativa d’asta sulla vendita di San Siro, emersa nello stesso giorno in cui è stato firmato il rogito, è una coincidenza che ‘fa pensare’. Beppe Sala… lascia trapelare il disappunto” (Corriere della sera, 8.11). In effetti è strano che si indaghi su un affare quando viene concluso: dev’esserci qualcosa sotto.

Telefono senza fili. “Dubbi nel centrosinistra sul referendum. Minzolini scrive che Castagnetti, molto vicino a Mattarella, gli ha detto: ‘Non si può puntare tutto sul referendum sulla giustizia per battere Meloni, Schlein non percepisce la realtà, non ascolta nessuno’…” (Paolo Mieli, Radio 24, 6.11). Ma infatti: questa Schlein che non ascolta Minzolini che ha ascoltato Castagnetti che ascolta Mattarella. Dove andremo a finire, signora mia.

Avanti c’è posto. “L’ex ministro Salvi si schiera con il Sì. Della Vedova (+Europa): ‘Bene la separazione delle carriere. Ora la responsabilità civile dei giudici’” (Giornale, 3.11). “Giovanni Pellegrino: ‘Le carriere separate erano una proposta della sinistra” (Libero, 4.11). “Augusto Barbera: ‘Una riforma inevitabile, mia cara sinistra”, “Ortensio Zecchino: ‘Basta toni apocalittici, la separazione delle carriere era nella Bicamerale’” (Foglio, 4 e 5.11). I migliori testimonial del No sono quelli del Sì.

Scassese minaccia. È consigliabile che le fazioni che si stanno organizzando, a cominciare da quella dei magistrati militanti, si guardino dal farlo percepire come un appello al popolo a difesa della giustizia. Pensino a quali sarebbero le conseguenze di una interpretazione di questo tipo, in caso di una prevalenza del sì” (Sabino Cassese, Corriere della sera, 6.11). Se no?

L’altro Bobbio. “Luigi Bobbio: ‘Io, giudice, vi racconto perché l’Anm ha paura’” (Libero, 3.11). Ma chi, l’ex senatore di An nella leggendaria commissione Telekom Serbia? Il presidente provinciale di An a Napoli? Il capogabinetto della ministra Meloni? L’autore della norma anti-Caselli dichiarata incostituzionale dalla Consulta? Il diffamatore di Carlo Giuliani definito “feccia”? Il sindaco Pdl di Castellammare di Stabia che nominò il suo testimone di nozze “coordinatore della cabina di regia” con stipendio di 160mila euro l’anno più rimborsi per pranzi, cene e pernottamenti di lusso, ma dopo soli due anni fu sfiduciato dalla sua stessa maggioranza e poi trombato alle elezioni successive? Sì, tutte queste cose insieme.

Il titolo della settimana/1. “Schlein: ‘Io rivale di Silvia Salis? Solo un gioco patriarcale’” (Libero, 7.11). Ha stato Noè.

I titoli della settimana/2. “Casini, riflessioni di un protagonista del Parlamento” (Messaggero, 8.11). “Casini: ‘Il fattore Prodi: la destra si sconfigge grazie al voto moderato’” (Repubblica, 8.11). “Casini: ‘Ho detto no a Berlusconi, ma nel ‘94 aveva ragione lui’” (Libero, 8.11). “Casini: ‘Rifiutai di guidare FI. Ma per Berlusconi avrei lavorato’” (Giornale, 8.11). “Casini: ‘Perché ho rotto con Berlusconi’” (Stampa, 8.11). Su, dài, non fare il modesto: parlaci di quel bocciuolo di rosas di Totò Cuffaro.

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