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Dino

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ORNELLA

Editoriale di Marco Travaglio

23 novembre 2025

“Marcolinooo!”, “Travagliucciooo!”. Chiamava puntualmente nell’ora più impossibile, 19.30 o 20.30, quando le persone normali stanno per cenare o hanno appena cenato, mentre qui al Fatto si titola la prima pagina. Ornella voleva sempre commentare le notizie dei tg e sapere in anteprima cos’avrei scritto il giorno dopo. “Ma hai visto Trump?”, “E Putin?”, “Ma l’hai sentita la Meloni?”, “Mi spieghi questa cosa?”, “Che possiamo fare?”, “E ora che succederà?”, “Mi annoiavo e ti ho chiamato: dài, fammi ridere”, “Hai notizie di Renatino (Zero, ndr)? Sta bene? Sono due giorni che non riesco a parlargli”, “Ma quegli obbrobri dei grattacieli di Sala li scoprono oggi?”, “Questi davvero ci portano in guerra? Bisognerà proprio che io muoia prima”. Ogni tanto lanciava insulti terribili in falsetto. “Ornella, dici a me?”. “Ma va, a Ondina, la mia barboncina”. Che poi tanta confidenza non me la meritavo. Ci conoscevamo da cinque anni, non di più, da quando Renato le rispose al telefono, le disse di essere con me a pranzo e lei mi si fece passare: “Sei troppo pestifero perché io non ti conosca. Ma come fai a restare calmo in tv davanti a quel bo*****o? A noi ci salva l’ironia, che è la parente nobile del sarcasmo”. Voleva sempre sapere tutto, del presente e del futuro, della vita. Progettava nuovi dischi, concerti, canzoni. Del passato parlava controvoglia: “Mamma che annoia”.

Di solito, quando diventi intimo di un coetaneo dei tuoi genitori che rimpiange i bei tempi andati e dell’oggi e del domani vede solo il buio, lo senti come un altro papà o un’altra mamma. Ornella no, si imponeva come una sorella, addirittura una figlia: una ragazzina curiosa, capricciosa e impertinente che chiede sempre perché-perché-perché. Una monella dispettosa e leggera che fa le marachelle e poi se ne vanta. “Questa si potrà dire? Magari la dico da Fazio, così poi non mi invitano più”. Femmina fin sulla punta dei riccioli, ma femminista sui generis, anticonformista e indipendente: “Nella mia vita mi hanno punita più le donne che gli uomini, ma le ho perdonate tutte: io sono sempre qui, loro invece dove sono?”. Della ragazzina aveva anche la voce, a 90 anni suonati: cantava anche quando parlava.

L’ultimo tour Le donne e la musica, nel 2022, con una band tutta al femminile, fu una delizia: alla Conciliazione di Roma, siccome due mesi prima si era rotta il femore, il sipario si aprì su di lei in abito bianco seduta su una poltroncina di design, dorata come i riccioli. Ma, dopo il brano d’esordio Ornella si nasce (un autoritratto firmato Renato Zero), si arrampicò sul cavalletto porta-microfono e restò quasi sempre in piedi, accennando ogni tanto addirittura qualche passo di danza.

L’ultimo concerto, a Caracalla, fu un incanto: lei a piedi nudi sul palco che volava come una libellula senza più un’età, capace di fermare anche il tempo.
“Lo sai che a giugno mi danno la laurea alla Statale di Milano? Pensa: a 90 anni, a una somara come me! Vieni? Qualche amico lo vorrei, se puoi. Laurea Magistrale Honoris Causa in Musica, Culture, Media, Performance”. Ornella entrò nell’aula magna fra la rettrice Marina Brambilla e il trombettista Paolo Fresu: l’eleganza, la leggerezza, la libertà, la curiosità, l’ironia, l’anticonformismo, la spudoratezza, insomma la vita, tutto concentrato nella stessa persona sotto i riccioli biondi, meno rosseggianti del solito, che spuntavano dal tocco nero portato con fierezza lieve. Nella chiacchierata tra amici, detta pomposamente “lectio magistralis”, si dipinse “cialtrona che non ha mai studiato”, disse che i suoi genitori “sarebbero impazziti” a vederla lì, poi sintetizzò in un breve racconto antiretorico la sua divina carriera come una passeggiatina di casualità (“io non ho mai avuto l’ego degli artisti, e ormai, a furia di aspettarlo, credo che non mi arriverà più”). Gino Paoli “ragazzo bruttino che suonava malino”. Strehler: “Ero la sua compagna – scandalo! – e mica poteva farmi recitare, solo cantare”. Poi Albertazzi, Gaber, Fo, Jannacci, Toquinho, De Moraes, Benson, Lavezzi, Bardotti, Conte e tutti gli altri grandi, fino a Mahmood e Gabbani. La samba danzata con Ungaretti, la musica alta e quella pop, i brani immortali “da cantare a piedi nudi per sentirne le vibrazioni”.

Il suo cruccio era di finire come la zia, vissuta fino a 107 anni, lucidissima ma prigioniera di un corpo inerte. Però, sulla morte, ci rideva sopra: “Spero che non mi facciano monumenti o roba del genere. Potrebbero dedicarmi qualcosa al Piccolo Teatro, ma mi sa che lì è tutto già preso. Tranne forse qualche aiuola: ecco, potrebbero intestarmi un’aiuola…”. Pur essendone un simbolo, non amava più Milano: “È diventata così brutta. Se avessi qualche anno di meno, scapperei”. E tornava subito alla vita: “Dove vai in vacanza? Avevo prenotato in Sardegna, ma ho letto che da quelle parti sta bruciando tutto. Magari ti raggiungo. Se no ci vediamo in Versilia, io vado lì con Renatino a rilassarmi”.

Leggeva il Fatto. Un giorno mi mandò la foto dell’abbonamento digitale appena pagato: “Adesso che sono socia, ho diritto a chiamarti tutti i giorni”. Alle sue spalle, l’adorata assistente Veronica ridacchiava. Nel 2022 doveva essere alla nostra festa alla Casa del Jazz, poi fu trattenuta a Milano da un acciacchino, ma si collegò col nostro palco. Da allora provammo sempre ad averla con noi in carne e ossa. E quest’anno sembrava fatta per il Circo Massimo: “Voi mi fate le domande, io faccio la pagliaccia, come sempre, ma canto anche un po’. Due o tre brani, però, non di più se no ti schiatto sul palco”. Le chiesi Un sorriso dentro al pianto e le dissi che poi saremmo andati a mangiare insieme. “Meglio se mi fai trovare un whiskino e una cannetta”. Due settimane prima della festa chiamò con un fil di voce: “Ho preso un batterio polmonare, sono in ospedale, devo fare riabilitazione per la voce. Sai, sono una cantante”. Infatti tornò presto quella di prima.

Se n’è andata senz’accorgersene, in poltrona, dopo aver chiesto un gelato e una cannetta. Che bella fine, far sorridere anche la morte.
“Se il Cielo concedesse un po’ di grazia a ogni anima quaggiù, io sarei una santa, anima che canta, che canta in equilibrio sopra un’emozione, che capovolge l’esistenza alle persone, che non si può spiegare fino in fondo, ma che resta in fondo al cuore”.

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Dino

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MA MI FACCIA IL PIACERE

Editoriale di Marco Travaglio

24 novembre 2025

Estote parati. “Il Ponte sullo Stretto rappresenta, quando ci sarà, un punto importante nel trasporto, anche per l’evacuazione in caso di un attacco da Sud” (Antonio Tajani, ministro FI degli Esteri, 21.11). Appena ci invade il Madagascar, siamo pronti.

Figli d’arte. “Quando la Croazia occuperà Trieste e Udine la risposta di certi ‘pacifisti’ sarà, ‘prendetevi anche Padova, e chiudiamola qui’” (Luca Sofri, X, 23.11). Urge assolutamente un ponte sullo Stretto a Est.

Bon ton. “Travaglio, ospite maleducato e invadente di Gruber” (Adriano Sofri, Foglio, 20.11). In effetti lui fece ammazzare Calabresi, ma con squisito garbo.

The Genius. “La versione di Nordio: i femminicidi colpa dei ‘geni maschili’” (manifesto, 22.11). Infatti lui è un genio.

Uno non basta. “Orsina: ‘Schlein inadeguata. Servirebbe un nuovo Renzi o finirà per prevalere Conte’” (Riformista, 19.11). Per curiosità: dove li fabbricano i Renzi?

Ascolta, si fa Pera. “Marcello Pera: ‘Un Sì al referendum sulle carriere per diventare Occidente’” (Dubbio, 19.11). Ora siamo in Oriente, ma confidiamo nella deriva dei continenti.

Senti chi parla. “Nuovo cinema Iervolino. Carriera, affari (e guai) dell’editore di Casalino” (Domani, 19.11). Avrà mica un patteggiamento per falso in bilancio e un pignoramento di 6,6 milioni per evasione fiscale come l’editore di Domani?

Ha stato Putin/1. “Ombre russe sul Colle. Giallo sulla provenienza dell’audio che imbarazza Garofani” (Dubbio, 20.11). “Cicchitto: ‘C’è odore di servizi segreti russi. Anche la tempistica è sospetta’” (Stampa, 21.11). “Una regia degli 007 russi dietro il caso Garofani? Potrebbe tranquillamente essere, è molto probabile, sarebbe tipico… Penso che si riconosca la forma, il metodo, l’impronta manuale. E’ troppo perfetto per sembrare casuale, l’idea di un piano è prevalente” (Paolo Guzzanti, Un giorno da Pecora, Rai Radio1, 21.11). Gliel’ha detto Mario Scaramella o Igor Marini?

Ha stato Putin/2. “Delitto dell’ambasciatore Attanasio: la pista della miniera legata ai russi” (Repubblica, 17.11). Pare che abbiano trovato impronte di Putin anche a Garlasco.

Sventura. “È evidente che il Fatto quotidiano concorre di fatto alla guerra ibrida russa contro Ucraina e Ue… per la resa della prima e l’indebolimento della seconda a favore delle pretese imperialiste della Russia” (Sofia Ventura, X, 20.11). Ma infatti: l’altro giorno, mentre conquistavo Pokrovsk e Kupyansk, mi sentivo un sacco ibrido.

Non spingete. “Domenica alle 15 sarò a Piazza dell’Esquilino… Chi ha a cuore la sorte del popolo ucraino e la libertà dell’Europa dal giogo di Putin e Trump, deve scendere in piazza. ‘Fermiamo in genocidio russo in Ucraina’” (Carlo Calenda, leader Azione, X, 22.11). “Vorrei vedere i partiti italiani, quelli almeno che hanno a cuore presente e futuro dell’Ucraina – Lega e Cinque Stelle possono continuare a bere vodka tranquilli – a piazza Esquilino… Niente accordi sulla testa di Kyiv” (Nomfup, alias Filippo Sensi, deputato Pd, X, 22.11). I meglio filo-americani che gridano “Yankee go home!” dev’essere stato uno spettacolo impagabile: strano che non ci sia andato nessuno.

Uéué. “Se l’Ue non dovesse aiutare i Paesi dove ci sono casi di corruzione, l’Italia non avrebbe dovuto ricevere neanche un euro di Pnrr” (Sebastiano Barisoni, Radio 24, 19.11). Vuoi vedere che l’Ucraina è entrata nell’Ue e non ci hanno detto niente?

Karacciolovsky. “Limes è una rivista legata a Mosca? Sì lo è… Caracciolo non è per nulla indipendente e… ha recato un potente supporto alla propaganda del regime putiniano anno dopo anno e specialmente dopo l’invasione dell’Ucraina” (Marco Taradash, 18.11). Lo portano via.

Alte tecnologie. “Così le sigarette elettroniche vietate nel Regno Unito diventano power bank per le truppe ucraine. Un gruppo di volontari ucraini residente in Inghilterra smonta le batterie dei dispositivi invenduti e le spedisce al fronte, dove vengono utilizzate dai soldati per ricaricare telefoni e droni” (Repubblica, 18.11). È la risposta ai chip per i tank russi rubati da freezer, lavatrici e tiralatte.

Grandi cambiamenti. “L’Ucraina (col piano Trump, ndr) sarà un Paese a sovranità limitata” (Ezio Mauro, Repubblica, 23.11). Perché, finora cos’era?

Il titolo della settimana/1. “Danimarca, la sinistra va troppo a destra e perde Copenhagen per la prima volta in 122 anni” (Repubblica, 19.11). Mai una volta che capiti l’opposto.

Il titolo della settimana/2. “Comunque vada, il fallimento della Russia è già evidente” (Dario Fabbri, Domani, 15.4.22). “Mosca verso il default” (Alessandro Penati, Domani, 30.4.22). “L’Ucraina a un passo dalla bancarotta. Appello Ue: ‘Servono 70 miliardi’” (Domani, 18.11.25). Ma non era la Russia?

Il titolo della settimana/3. “Petrelli (Unione Camere Penali): ‘Il comitato per il Sì al referendum è una scelta naturale. La riforma contiene la nostra impronta genetica’” (Identità, 20.11). Ma soprattutto digitale.

Il titolo della settimana/4. “Giù le mani dal Quirinale, faro di libertà” (Dubbio, 20.11). Duce, tu sei la luce.

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SALTA CHE TI PASSA

Editoriale di Marco Travaglio

25 novembre 2025

La lunga partita delle sei Regionali del 2025 si chiude col 2-1 per il centrosinistra in Campania, Puglia e Veneto. Che, col precedente 2-1 per il centrodestra in Calabria, Marche e Toscana, porta il risultato finale sul 3-3 (l’autonomista Val d’Aosta fa storia a sé). Ogni schieramento mantiene le posizioni. Con una novità e una sorpresa: il centrosinistra in Campania vince con un candidato 5Stelle, Fico, dopo il lungo regno del pidino sui generis De Luca; e il centrodestra in Veneto vince col salviniano Stefani dopo il lungo regno del leghista sui generis Zaia, ma la Lega data in caduta libera doppia FdI (che va malissimo anche in Campania). Trarre da questo quadro una “lezione nazionale” sul governo Meloni e i suoi oppositori è arduo, ma soprattutto inutile. I distacchi sono così abissali, anche nell’unica regione – la Campania – che i Melones ritenevano contendibile, da rendere ancor più ridicolo del solito l’agitarsi delle mosche cocchiere centriste per accreditarsi come decisive. Gli elettori (quei pochi che continuano a esserlo) cambiano testa a seconda che sia in ballo il Comune, la Regione o il Parlamento. E chi – in questo caso la Meloni in Campania – prova a nazionalizzare il voto con sei condoni edilizi per comprare voti last minute e di politicizzarlo con imbarazzanti balletti al grido di “chi non salta è comunista” e ridicole campagne sulla barchetta di Fico, ne esce scornato. Per il resto, i veneti confermano in gran parte il centrodestra per il buon ricordo che (almeno loro) hanno di Zaia. E la maggioranza dei pugliesi premia l’ex sindaco Decaro e anche il presidente uscente Emiliano.

Più interessante è l’esperimento campano: sia dal lato etico-antropologico, perché Fico è l’antitesi di De Luca; sia dal lato politico, perché lì il M5S era sempre stato all’opposizione del Pd deluchiano, mentre ora s’è alleato con quel che ne resta. Si pensava che avrebbe pagato un prezzo altissimo sia per i sì sia per i no detti da Fico, e certo diversi voti li ha persi, soprattutto verso l’astensione. Ma, fra lista M5S e lista Fico, resta sopra il 15% in una delle regioni più “grilline” d’Italia. E la lista De Luca esce ridimensionata rispetto alle attese, confermando una regola aurea dell’italico trasformismo: quando il ras esce di scena, i topi ballano e si cercano altri ras. Ora starà a Fico selezionare i topi capaci e perbene da tenere con sé e quelli incapaci e permale da mandare a casa. Ma è indubbio che il nuovo presidente, grillino della prima ora, parta rafforzato: molti dei voti della coalizione li ha portati lui, con i suoi sì e i suoi no, e adesso sarà più difficile per chiunque prenderlo in ostaggio. Se c’è un elemento che può tornare utile per le Politiche, è questo: per battere Meloni&C. servirà dire dei sì, ma anche dei no.

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