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Dino
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Inserito il - 16/02/2025 : 06:10:18
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(N)EURODELIRI.
l'editoriale di Marco Travaglio
16 febbraio 2025
Il problema non è se l’Ue sarà invitata ai negoziati per l’Ucraina: alla fine uno sgabello, magari dietro la porta delle cucine come quello di Peter Sellers in Hollywood Party, salterà fuori. La vera domanda è cosa ci andrà a fare, visto che da tre anni bandisce e sabota ogni negoziato. Eppure, fino all’invasione russa, Francia e Germania avevano fatto di tutto per scongiurarla. Nel 2008, a Monaco, Merkel e Sarkozy si opposero all’ingresso di Kiev nella Nato: l’invitato Putin li ringraziò, mentre Condoleezza Rice scoppiò in lacrime in piena crisi isterica. Due anni dopo, la rielezione del presidente neutralista Yanukovich – cacciato nel 2004 dal golpe bianco di piazza Maidan pilotato da Usa e Uk – confermò la bontà della loro scelta. Ma nel 2014 Yanukovich fu di nuovo rovesciato dal secondo golpetto yankee di piazza Maidan al grido “Fuck Eu!” e iniziò la guerra civile fra Kiev e le regioni russofone di Donbass e Crimea. E subito Merkel e Hollande patrocinarono gli accordi di Minsk 1 e 2: cessate il fuoco e ritorno del Donbass all’Ucraina in cambio dell’autonomia speciale. Impegni traditi da Poroshenko e Zelensky, che puntarono dritto alla Nato facendo precipitare la situazione. Eppure fino al 24 febbraio 2022, mentre Biden annunciava ogni giorno l’invasione russa perché non vedeva l’ora, Macron e Scholz le provarono tutte per placare l’ira di Putin: sminando il terreno dalla Nato e insistendo su Minsk. Ma Zelensky, ostaggio di nazionalisti e nazisti, rifiutò. E i russi entrarono.
Da allora l’Ue ha avuto mille occasioni per riscoprire il suo ruolo naturale di mediatore anziché regalarlo a Erdogan, Bennett, Francesco, Xi, Orbán e Trump. Poteva sostenere l’intesa russo-ucraina a Istanbul nell’aprile ’22: invece si accodò ai sabotatori Johnson&C. Poteva spingere Zelensky a trattare nell’ottobre ’22, dopo la prima controffensiva ucraina: invece lo spinse a “combattere fino alla vittoria” e a vietarsi per decreto di negoziare con Mosca. Poteva far suo l’appello del generale Usa Mark Milley nel novembre ’22 a usare lo stallo per trattare: invece lo ignorò e si svenò per la controffensiva ucraina del ’23, che non ottenne nulla, a parte altre 100 mila vittime. Poteva appoggiare Orbán e Scholz, che riaprirono i canali con Putin prima dell’arrivo di Trump: invece li scomunicò. E affidò la sua politica estera a Kaja Kallas, fanatica russofoba che viene dall’Estonia (1,3 milioni di abitanti) e ora vaneggia di inviare truppe a Kiev, seguitare ad armare Zelensky anche senza guerra e aumentare le spese militari mentre Trump vuol dimezzare le sue. Mettiamo che, per carità cristiana, qualcuno le tenga libero uno strapuntino: sarebbe la prima volta nella storia che, a un tavolo di pace, uno si alza e dice che preferisce la guerra.
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Dino
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Inserito il - 17/02/2025 : 06:02:48
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
17 febbraio 2025
Innocente a sua insaputa. “La scelta. Sinner patteggia con Wada 3 mesi. È riconosciuto che non voleva doparsi. Accetta di essere responsabile per lo staff” (Corriere della sera, 16.2). “Il pareggio era rimasto l’unica soluzione” (Stampa, 16.2). “Sinner patteggia 3 mesi. Ma è lui la vera vittima” (Giornale, 16.2). “Sinner colpevole di innocenza” (Repubblica, 16.2). Toti, è lei?
Condannato dunque assolto. “Definitiva la condanna di Mimmo Lucano a 18 mesi per falso” (Ansa, 12.2). “Lucano, anche la Cassazione sbugiarda i giudici di Locri” (Unità, 13.2). “La Cassazione smonta il processo all’accoglienza. Si conclude bene l’odissea del sindaco. Il modello Riace non era un crimine” (manifesto, 13.2). “Lucano, caso chiuso. L’accoglienza non era una truffa” (Dubbio, 13.2). “Lasciate stare l’Albania e chiamate Lucano” (Unità, 14.2). “Riace è stata assolta, ma la destra non riesce a farsene una ragione” (Dubbio, 14.2). Quale parola vi sfugge di “falso in atto pubblico”?
Piano con le parole. “Santanchè tiene duro: ‘Non lascio. Ma dopo questa esperienza tornerò a fare l’imprenditrice” (Giornale, 11.1). Più che una promessa, una minaccia.
Il ruggito dei conigli. “Da Berlino a Parigi rivolta contro Vance: ‘Basta ingerenze nella nostra politica’” (Repubblica, 16.2). Se ne accorgono dopo appena 80 anni: ammazza che riflessi pronti.
Historia bidella vitae. “Occhetto: ‘E’ Mosca a essere blasfema. Mattarella ha ragione, la storia non mente’” (Repubblica, 16.2). Almeno per chi non l’ha studiata.
Agenzia delle Uscite. “Ruffini chiama Forza Italia” (Fatto, 15.2). L’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate vuole allearsi col partito di un frodatore fiscale: cos’è il genio?
Rispetto. “Rispetto alla Meloni, Berlusconi è stato un campione di pluralismo nell’informazione” (Matteo Renzi, senatore Iv, Corriere della sera, 14.2). Un po’ come la Meloni rispetto a Renzi.
Nostradamus. “Quello che sta trattando Trump è di fatto una resa… Putin sta portando a casa tutto quello che vuole” (Vittorio Emanuele Parsi, Dubbio, 14.2). Ma Putin non voleva invadere tutta l’Ucraina e poi tutta l’Europa?
L’ultima giapponese. “Zelensky scommette sul collasso russo. L’economia di Mosca comincia a scricchiolare” (Anna Zafesova, Stampa, 16.2). Ciao core.
Novità. “La nuova diplomazia è la legge del più forte” (Domenico Quirico, Stampa, 13.2). Invece la vecchia cos’era?
C’è sempre una prima volta. “Rutte: ‘L’Europa combatta per trattare’” (Stampa, 16.2). Dopo aver combattuto per tre anni per non trattare.
Vedovi inconsolabili. “Vendere l’anima”, (Paolo Mieli, Corriere della sera, 14.2). “L’ora più buia dell’Ucraina. Trump legittima l’aggressione russa” (Lorenzo Cremonesi, Corriere, 14.2). “La Nato è finita?” (Stefano Stefanini, Stampa, 14.2). “Una Yalta da brividi, e senza l’Europa”, “Il disonore che si vede a occhio nudo” (Giuliano Ferrara, Foglio, 14 e 15.2). “Il tradimento dell’Occidente”, “La doccia fredda su Kyiv”, “Xi Jinping al tavolo”, “Se l’Occidente non saprà resistere sarà un’altra Monaco 1938”, “Sostenere Kyiv, anche senza Trump” (Foglio, 14 e 15.2). “Trump spiazza con il repulisti che ricorda una purga staliniana” (Paolo Guzzanti, Riformista, 14.2). “Trump sancisce che le guerre di aggressione convengono” (Mattia Ferraresi, Domani, 14.2). “I tre imperi sbagliano a sottovalutare l’Ue” (Mario Giro, Domani, 15.2). . “L’Europa deve dare prova di forza di fronte ai dittatori-bulli Trump e Putin” (Bill Emmott, Stampa, 15.2). “Trump non può riabilitare lo Zar” (Alessandro Sallusti, Giornale, 15.2). “Pace giusta e pace imperiale” (Ezio Mauro, Repubblica, 16.2). “L’America manda al macero la nostra idea di Occidente” (Andrea Malaguti, Stampa, 16.2). “Il tifo sbagliato (e letale)” (Antonio Polito, Corriere, 16.2). “L’America rinnega se stessa” (Ernesto Galli della Loggia, Corriere, 16.12). In fondo, la stanno prendendo bene.
Prodoff. “’Prodi era vicino alla rete del Kgb’. La voce ritorna nelle carte inglesi” (Giornale, 14.2). Nome in codice Mortadellov.
Fuffaro. “I dem ancora parte civile al processo Bibbiano. Furfaro (forse) ci ripensa. Il deputato del Pd promette: parlerò con il governatore della possibilità di rivedere la nostra posizione” (Dubbio, 12.2). Quando ne fanno una giusta, se ne pentono subito.
Il titolo della settimana/1. “La Nato rischia grosso in Romania” (Foglio, 11.2). Potrebbe addirittura diventare presidente il candidato più votato.
Il titolo della settimana/2. “Spunta l’ipotesi di agenti russi dietro la truffa del finto Crosetto” (Aldo Torchiaro, Riformista, 11.2). Ma è ovvio: ha stato il vero Putin.
Il titolo della settimana/3. “Stasera Cristicchi vincerà il Festival di Sanremo” (Aldo Cazzullo, Corriere della sera, 14.2). Stasera di quale anno?
Il titolo della settimana/4. “Piero Fassino: ‘Invocare meno Europa è demagogia’” (Stampa, 10.2). E poi l’Europa è piena di aeroporti con tanti bei duty free.
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Inserito il - 18/02/2025 : 03:31:01
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MAKE EU GREAT AGAIN
l'editoriale di Marco Travaglio
18 febbraio 2025
Il summit chez Macron con gli altri sette nani più tre è stato un successo storico per l’Europa e ha oscurato preventivamente i negoziati di Trump e Putin a Riad per la pace in Ucraina.
Macron. “Ciao a tutti, sono Emmanuel e non mi buco da due anni: da quando dissi che non dovevamo umiliare Putin”. Von der Leyen: “Ci hanno rimasti soli, quei due cornuti. Ma dobbiamo reagire rendendogli pan per focaccia”. Meloni. “’A cosa, ’a cometechiami, ma statte zitta ché voi tedeschi nun c’avete più manco er pane, artro che ’a focaccia. A rega’, io l’avevo detto che ’a guera era persa e serviva ’na via d’uscita accettabbile p’entrambe le parti. Nun m’avete voluto ascolta’”. Scholz. “Scusa, quando l’avresti detto? Noi non abbiamo sentito niente. Anzi, quando ho sondato Putin, mi avete massacrato”. Meloni. “Ma se je l’ho detto ai due comici russi! Nun v’hanno avertiti? Io so’ così, so’ spontanea: quanno c’ho ’na cosa dentro, ’a dico ar primo che càpita. Se poi nun volete sentì, è ’n probblema vostro”.
Von der Leyen. “Siamo tutti d’accordo di fare qualcosa. Ma cosa?”. Tusk. “Io un’idea ce l’avrei. Siccome Trump vuole che spendiamo il 5% di Pil per le armi, noi spendiamo il 10 e lo spiazziamo”. Scholz. “Bravo fesso, così i nazisti mi vanno al 90% e con tutte quelle armi magari gli torna il vizietto e ti invadono pure la Polonia”. Von der Leyen. “Io quoto la proposta Kallas: truppe Ue a Kiev contro il nuovo Hitler. Così, se Zelensky firma la pace a Riad, lo costringiamo a tornare in guerra: io gliela buco quella pace!”. Starmer. “Con me sfondate una porta aperta: noi i soldati in Ucraina non dobbiamo neppure mandarli perché li abbiamo già lì da undici anni. Da vivi li chiamiamo ‘addestratori’ e da morti ‘contractor’. Pure Emmanuel era d’accordo, no?”. Macron. “Ma sei di coccio: non mi drogo più. E poi, se diciamo solo ‘guerra’, mi sa che al vertice di pace non ci fanno entrare”. Sánchez. “Dite alla Kallas, e pure a Mattarella, di studiare storia: se non era per i russi, ancora marciavamo al passo dell’oca”. Rutte. “Signori, mettetevi nei miei panni. Ho avuto la Nato leccando il c**o a Biden e ora Trump mi ha messo il grembiule e la crestina di pizzo. Propongo un comunicato di cinque parole: “Ave, Donald, morituri te salutant’. Che dite, può andare?”. Macron. “Mai! Non sarebbe dignitoso. Meglio: ‘Ave Donald, morituri te salutant, tiè!’. Così gli facciamo vedere chi siamo”. Rutte. “Seee, e se quello poi si offende? Io aggiungerei: ‘Senza nulla a pretendere’. Magari un posto nella tenda me lo trova. Porto il formaggio a cubetti”. Meloni. “’A Ru’, vedi che Putin porta er caviale e ’a vodka e te sfonna. Lassa perde, date retta: stamosene a casetta nostra, poi a cose fatte chiamo Elon, che quarcosa me racconta sempre”.
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Inserito il - 19/02/2025 : 04:24:12
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RIFLESSI PRONTISSIMI
l'editoriale di Marco Travaglio
19 febbraio 2025
Delle tre l’una: o il presidente Mattarella s’è reso conto di averla fatta grossa, paragonando al Terzo Reich la Russia che combatté e sconfisse il Terzo Reich mentre l’Italia stava con il Terzo Reich; o ha finalmente saputo che l’Ucraina ha perso la guerra e noi con lei, anche se ora resta da avvertire la cosiddetta Ue; oppure ha cambiato ghostwriter. Fatto sta che ieri ha corretto il tiro, con una giaculatoria più consona al suo stile felpato: “Auspico che la Russia torni a svolgere un ruolo di rilievo nel rispetto della sovranità di ogni Stato, della carta dell’Onu e del diritto internazionale”. Sante parole, se non fosse che nel 1999 un governo da lui vicepresieduto bombardò per 78 giorni Belgrado con la Nato e contro l’Onu, il diritto internazionale e la sovranità di uno Stato: la Serbia alleata di Mosca. Undici settimane di massacri, dai 1.200 ai 2.500 morti quasi tutti civili, fiumi di profughi, distrutta l’ambasciata cinese, polverizzati ospedali, scuole, zone residenziali, treni passeggeri, convogli di fuggiaschi, autobus, mercati, ponti affollati e gli studi della tv RTS (uccisi 16 fra registi, giornalisti e tecnici). Ma la Nato non la chiamò guerra, bensì “ingerenza umanitaria”. Quella brusca rottura della pace europea dopo 44 anni spalancò la strada a un’altra gravissima lesione del diritto: lo smembramento della Serbia col riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo contro la risoluzione dell’Onu n. 1244, che vi confermava la sovranità di Belgrado. La scena si ripeté con le guerre illegali della Nato in Afghanistan (“lotta al terrorismo”), in Iraq (“esportazione della democrazia”) e in Libia (“sostegno alle primavere arabe”). Condanne internazionali? Mandati di cattura della Cpi? Paragoni col Terzo Reich? Nulla. Putin prese buona nota e al momento opportuno ci imitò: l’annessione della Crimea e il sostegno al Donbass (i Kosovo ucraini), poi l’invasione (pardòn, “operazione militare speciale”). Chi ora sventola il diritto internazionale dovrebbe spiegare a Putin, ma soprattutto ai russi, perché vale solo per loro. E Mattarella dovrebbe precisare esattamente quando ha scoperto che Mosca lo violava, visto che fra il 2014 e il 2022 fu proprio lui a insignire delle massime onorificenze della Repubblica Italiana ben 30 ministri, funzionari e oligarchi putiniani, alcuni già sanzionati per la Crimea. Il tutto anni dopo le guerre russe in Cecenia e in Georgia e i bombardamenti in Siria. Ora è una fortuna che a rispondere al paragone col Terzo Reich sia stata la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova e non quello di Putin, Dmitry Peskov, sul cui petto Mattarella nel 2017 aveva appuntato la stella di Commendatore della Repubblica a Mosca. Sennò sai che imbarazzo, per entrambi.
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Inserito il - 20/02/2025 : 05:07:37
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ATLANTISTI ANTIAMERICANI
l'editoriale di Marco Travaglio
20 febbraio 2025
In questi tre anni, l’Ue aveva due opzioni: vincere la guerra o preparare la pace. Invece la guerra l’ha persa e la pace non l’ha preparata. E ora dà la colpa a Trump, arrivato a cose fatte a gestire la sconfitta di chi c’era prima, come già nel 2017 in Afghanistan, cercando di convincere chi la guerra la sta vincendo a fermarsi prima che la stravinca. Ma Zelensky, che aveva alzato bandiera bianca dando per perse le quattro regioni perse e implorando Putin di sedersi al tavolo, ha di nuovo cambiato idea (o qualcuno gliel’ha fatta cambiare) ed è tornato in modalità “piano per la vittoria”: non cederà nulla di ciò che ha perso, anzi detta condizioni a chi ha vinto. Certo, era meglio un negoziato paritario Russia-Ucraina con un arbitro imparziale. Ma quel treno passò a Istanbul nel marzo-aprile 2022 chez Erdogan, mezzo milione di morti fa, e lui ne scese a un passo dall’intesa su amorevole consiglio di Johnson&C.: peggio per lui, anzi per il suo popolo, che ora subirà condizioni molto più pesanti. Lui dice giustamente che non si fa la pace Russia-Ucraina senza Ucraina: peccato che l’estate scorsa lui e la Nato avessero apparecchiato in Svizzera un negoziato Russia-Ucraina senza Russia: logica conseguenza del suo decreto dell’ottobre 2022 che gli vieta di trattare con Putin (a proposito: quando lo abolisce?). L’Ue gli ha sempre tenuto bordone e ora fa la faccia da funerale perché si rischia la pace. I leader – ma solo i più falliti – si riuniscono a Parigi come gli alcolisti anonimi per decidere le truppe da inviare a Kiev nel dopoguerra che Trump prepara senza e contro di loro: come se Mosca potesse accettare truppe Nato nell’Ucraina fuori dalla Nato.
Fortuna che, nel caos generale, la Schlein ha le idee chiare: “Meloni dica se sta con l’Ue o con Trump”. Quindi almeno lei ha capito dove sta l’Ue: però s’è scordata di dircelo, e soprattutto di dirlo all’Ue. Le ultime volontà dell’Ue sono scolpite nella risoluzione di un mese fa, quella che equipara il nazismo e il comunismo: “Piena vittoria militare dell’Ucraina” e “cambiamento democratico in Russia e in altri paesi autoritari come la Bielorussia”. Se questo è il contributo realistico che vuol dare al negoziato di pace, si capisce perché non sia stata invitata. Ma, a illuminare ancor meglio lo scenario, c’è Mario Draghi, che “sferza”, anzi “striglia”, anzi “sveglia”, anzi “scuote” l’Ue: “Non si può dire no a tutto, fate qualcosa”. No a tutto cosa? E qualcosa cosa? Ah saperlo. Era quasi meglio “Volete la pace o i condizionatori accesi?”. Anche perché le persone normodotate hanno scelto sia la pace sia i condizionatori accesi. Però non disperiamo: con tutti questi atlantisti diventati antiamericani dalla sera alla mattina, non resta che dichiarare guerra non solo alla Russia, ma pure all’America.
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Inserito il - 21/02/2025 : 05:01:08
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L’ANGOLO DEL BUONUMORE
l'editoriale di Marco Travaglio
21 febbraio 2025
Si pensava che i trombettieri della vittoria ucraina e della sconfitta russa, dopo tre anni di minchiate sfuse, si prendessero una pausa per far riposare le lingue in attesa di qualcun altro da leccare. Invece restano in cattedra a spiegarci come va il mondo, visto che finora l’hanno capito così bene. Non avendo una faccia perché l’hanno persa più volte, si inerpicano sugli specchi della logica con grave sprezzo del ridicolo per sostenere le tesi più ardite. Tipo che il presidente Usa è putiniano (mancava solo lui, nella lista): “Trump marionetta di Putin” (Domani), “vicinanza ideologica” (Rep), “Donald e Vladimir, una voce sola” (Giornale), “Trump fa Putin Great Again” (Foglio), “Compagni di merende” (Riformista). O che, ora che arriva la tregua, l’Ue deve “inviare truppe a Kiev” (Nathalie Tocci, Stampa). O che l’Europa deve fare fronte comune contro gli Usa, il che sarebbe pure giusto, se non lo dicesse chi finora predicava l’azzerbinamento in nome di un fantomatico “euroatlantismo”. Manca poco che gli atlantisti scendano in piazza a bruciare la bandiera americana al grido di “Yankee go home!”.
Completa l’angolo del buonumore Francesco Verderami, noto stratega del Corriere che il 29.5.’22 vaticinava: “700 milioni al giorno per la guerra dello Zar. La Russia ha già esaurito il 70% della forza militare”, citando imprecisati “centri di analisi occidentali in possesso della Nato e dei Paesi che ne fanno parte” (me l’ha detto mio cuggino). Ora se la prende con i “terrapiattisti d’Italia”, escludendo per modestia se stesso ed eleggendo a loro “leader” Conte. Il quale “crede che la Terra sia piatta” e “riabbraccia gli amici ritrovati Trump e Putin”. Tutto perché ha constatato che perfino il presidente Usa “ammette che la Russia non poteva essere sconfitta militarmente”: ciò che i rari normodotati dicono da tre anni, beccandosi insulti à gogo. Segue una serie di scemenze da Guinness in poche righe: Conte “si scoprì pacifista quando passò all’opposizione” dopo la sfiducia a Draghi (falso: bloccò Draghi già nel febbraio 2022 sul riarmo al 2% del Pil); “autorizzò i colloqui segreti del ministro della Giustizia Usa coi nostri Servizi” (com’è noto i servizi segreti fanno i loro colloqui in diretta tv); “consentì alle truppe russe di scorazzare (sic, ndr) sul suolo italiano ai tempi del Covid” (erano medici e infermieri militari che portarono mascherine e respiratori e aiutarono l’ospedale da campo degli alpini a Bergamo, autorizzati dal ministro Guerini, che li fece scortare e li ringraziò pubblicamente; e il Copasir smentì i sospetti di spionaggio: “Missione esclusivamente in ambito sanitario con il compito di sanificare ospedali e Rsa”). In attesa di capire chi siano questi terrapiattisti, ce la spassiamo con i guerrapiattisti.
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DELMASTRO GATTO MALDESTRO
l'editoriale di Marco Travaglio
22 febbraio 2025
Chi grida ogni due per tre all’allarme fascismo in Italia dovrebbe studiarsi il caso del sottosegretario Delmastro, condannato in primo grado per rivelazione di segreti. E si tranquillizzerebbe all’istante: ove mai qualcuno dei nostri sgovernanti sognasse di ripristinare il fascismo, non ce la potrebbe mai fare per manifesta incapacità. Il 12 gennaio 2023 i deputati del Pd Orlando, Serracchiani, Verini e Lai visitano il carcere di Sassari per incontrare Alfredo Cospito, il terrorista condannato perché gambizzò un manager e tentò una strage con una bomba, nel pieno della battaglia per fargli revocare il 41-bis. Poi trapela sui giornali una relazione del Gom (polizia penitenziaria) che li immortala a colloquio anche con tre boss mafiosi. Verini ammette un semplice “saluto”. Ma c’è ben altro. Cospito rifiutò di parlare con i deputati: “Io non ho niente da dirvi se prima non parlate con gli altri detenuti”. E quelli obbedirono. Il casalese Francesco Di Maio disse a Orlando che, con lui ministro, al 41-bis si stava meglio, e illustrò le sue proposte per modificare il carcere duro. Poi il Quartetto Dem si spostò davanti alle celle dei mafiosi siciliani Pino Cammarata e Pietro Rampulla (l’artificiere neofascista della strage di Capaci), conversò anche con loro sullo stesso tema, infine tornò da Cospito.
Se l’avesse fatto la destra, apriti cielo. Per il governo, la relazione è un rigore a porta vuota per mettere in ginocchio il Pd. Ma appena finisce in mano al geniale Delmastro diventa un autogol. Il sottosegretario la mostra all’amico Donzelli, che la spiattella con citazioni testuali alla Camera. Essendo segreta, Delmastro finisce indagato. Così nessuno parla più dell’inaudita leggerezza dei deputati Pd che ascoltano le proposte dei boss mafiosi per riformare il 41-bis e poi tentano di nasconderlo. E tutti parlano del segreto violato. La Procura chiede di archiviare, ma il Gip rinvia a giudizio Delmastro con l’imputazione coatta. Stessa scena in Tribunale: il pm chiede l’assoluzione e i giudici condannano a 8 mesi. Fisiologia pura: nel 50 e rotti per cento dei casi i giudici decidono diversamente dalle richieste dei pm o dalle sentenze di grado inferiore. Meloni e Nordio potrebbero, anzi dovrebbero prendere atto della sentenza, augurare al collega l’assoluzione in appello e spiegare che i fatti non meritano le dimissioni. Invece scatenano la canea sulle toghe rosse, che stavolta non si annidano più in Procura (quella del famigerato Lo Voi, che ha sempre difeso Delmastro), ma in Tribunale. E le accusano di aver disatteso le richieste del pm, invocando la separazione delle carriere: finora la giustificavano con l’appiattimento dei giudici sui pm, ora strillano contro i giudici che osano non appiattirsi sui pm. Più che un Cln, serve un Tso.
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DIFENDIAMO ZELENSKY
l'editoriale di Marco Travaglio
23 febbraio 2025
“Comico scadente e dittatore senza elezioni”, “Ha fatto sparire metà dei fondi”. “Leviamogli la paghetta”. “La guerra è colpa sua”. “Ai negoziati non serve perché non sa trattare”. “Si nutre dei cadaveri dei suoi soldati”. “Esiliamolo in Francia”. L’avevamo previsto dal primo giorno: il sostegno a Zelensky sarebbe finito allo scadere degli sporchi interessi Usa, poi sarebbe toccato a noi “pacifinti putiniani” difendere il presidente ucraino scaricato da tutti. Ora – basta leggere quel che dicono Trump, Musk&C. e non dicono più i nani europei – il momento è arrivato. Quindi lo diciamo papale papale: Zelensky non è il primo, ma l’ultimo colpevole di questa guerra insensata che non doveva iniziare e poteva finire due mesi dopo l’invasione russa a condizioni molto più vantaggiose per Kiev di quelle che subirà ora. Certo, non è un presidente democratico: è il leader di una delle democrature dell’Est Europa, dalla Russia all’Ungheria, che salvano l’apparenza con le elezioni, ma nella sostanza perpetuano oligarchie corrotte difficilmente scalabili e scalzabili. Ha messo fuorilegge gli 11 partiti di opposizione, ha imposto un solo canale tv governativo, s’è tenuto milizie nazionaliste e neonaziste, ha lasciato che i suoi Servizi praticassero il terrorismo anche contro gli alleati. S’è lasciato ricattare dagli squadroni della morte finanziati e armati dalla Nato, gli stessi che avevano trasformato Maidan 2014 in un golpe sanguinoso per piazzare l’oligarca corrotto Poroshenko al posto del presidente neutralista Yanukovic; e sotto le loro minacce e la spinta Usa-Uk ha tradito gli accordi di Minsk, negando al Donbass la tregua e l’autonomia. Fino a gennaio ’22, quando Macron e Scholz tentarono invano di strappargli il sì a Minsk e il no alla Nato per scongiurare l’invasione.
Ma fece tutto ciò perché Biden, in linea con Clinton, Bush e Obama, aveva scelto Kiev come testa d’ariete per provocare la Russia, attirarla in guerra, batterla, smembrarla e stravincere la Guerra fredda. Biden lo illuse sulla Nato e sulla vittoria militare (senza le truppe) contro la prima potenza nucleare. E l’Ue, prima ostile a quel folle piano, iniziò a pendere dalle labbra di Rimbambiden grazie al quartetto Ursula-Macron-Scholz-Draghi (e poi Meloni). Che non mosse un dito quando Johnson sabotò i negoziati di Istanbul a un passo dalla firma, convincendo Zelensky che la scelta migliore fosse “combattere fino alla vittoria”. E quando lui vietò per decreto i negoziati. Ora che la guerra è persa e la Nato è sparita dall’orizzonte, prendersela con l’anello più debole è troppo comodo e vile. La vergogna di questa tragedia annunciata ricade su chi ha illuso e ingannato Kiev a suon di menzogne. Non sul poveretto che se le è bevute tutte.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
l'editoriale di Marco Travaglio
24 febbraio 2025
Vuccumprà? “Santanché apre la Borsa del turismo in fiera a Bari” (Ansa, 21.2). Tutto vero.
Le grandi riforme. “Delmastro condannato a 8 mesi: ‘Pm per l’assoluzione, ma nel collegio era forte la presenza di giudici di sinistra” (Corriere della sera, 21.2). “Delmastro condannato contro il parere dei pm” (Giornale, 21.2). “Meloni: ‘Sentenza politica, serve la riforma. Nordio: ‘Urgente cambiare la Giustizia’” (Stampa, 21.2). Presto, riunifichiamo le carriere!
Draghi fa cose. “Draghi scuote l’Unione” (Corriere della sera, 19.2). “Draghi sferza l’Europa”, “Draghi striglia l’Unione” (Repubblica, 19.2). “Draghi striglia l’Ue” (Giornale, 19.2). “La sveglia di Draghi all’Europa” (Sole 24 ore, 19.2). A proposito: volete la pace o il condizionatore d’aria acceso?
Yankee go home!“Dobbiamo affrontare questa dura realtà: Trump dev’essere fermato” (Enrico Letta, 18.2). “Vance ci ha dichiarato guerra, facciamogli capire che sbaglia. Il nemico numero 2 dell’Europa, dopo Putin, è l’Amministrazione Usa” (Stefano Stefanini, Stampa, 17.2). “Occidente, le illusioni pericolose. Trump e Vance occupano la casa comune… I grandi media denunciano, stigmatizzano, protestano: ma non danno l’impressione di cogliere l’enormità dei fatti e la gravità del momento… Abbiamo paura di aprire la porta e andare a vedere. Restiamo nelle nostre stanze, illudendoci di essere al sicuro. Per quanto?” (Beppe Severgnini, Corriere della sera, 17.2). Forza, atlantisti, è ora di dichiarare guerra all’America.
Esclusi i presenti. “Il rapporto choc di Nordio: 100 arresti ingiusti al mese” (Giornale, 18.2). E non ci sono più i suoi.
Scelte bizzarre. “Ci vorrebbe un amico. Sinner per allenarsi sceglie un ex tennista” (Repubblica, 17.2). Strano, pensavo un ex idraulico.
Import-export. “Gli Stati Uniti di Trump sembrano aver perso la storica vocazione a difendere i diritti e a cercare di esportare la democrazia la democrazia” (Vittorio Sabadin, Messaggero, 17.2). Oh no, e adesso come facciamo?
L’anti-hacker hackerato. “Parla Frattasi, capo della cybersicurezza: ‘Anch’io bersaglio degli hacker russi’” (Corriere della sera, 19.2). Quindi tranquilli, siamo in buone mani.
Perseguitati. “Saviano: ‘La destra sta con i suoi anche se condannati. A sinistra ti mollano, vedi il caso Lucano” (Stampa, 22.2). L’hanno solo fatto eleggere al Parlamento europeo a 15 mila euro al mese.
Sinceri democratici. “Rosato: ‘Ora un proporzionale che escluda gli anti-Ue” (Dubbio, 19.2). Li arrestiamo prima o annulliamo i loro voti dopo?
Slurp-satira. “Dove si vota per Marina Berlusconi?” (Luca Bizzarri, X, 17.2). Al solito posto: quello dove prima ti pagava lo stipendio.
Vestivamo alla Marinara. “Alfieri (Pd): ‘Per governare non basta dire no armi. Marina B.? Su alcuni temi battaglie comuni”, “Calenda: ‘Seguire l’agenda di Marina B. con dieci svolte, non solo di governo’” (Foglio, 18.2). “La lezione della Cavaliera ai cattivisti di destra” (Stampa, 18.2). “Marina Berlusconi agita Forza Italia: ‘Ha raccolto l’eredità del padre’. Il plauso dei centristi Iv. Cicchitto: ‘Le sue parole aiutano partito e governo a evitare derive pericolose’” (Repubblica, 18.2). “Mulé: ‘Le parole di Marina sono un predellino intellettuale’” (Foglio, 19.2). “Marina B., la politica che serve” (Alessandra Mussolini, Riformista, 19.2). “La lezione di Marina B. alla politica italiana” (Dino Giarrusso, Identità, 19.2). “Perché il manifesto di Marina è piaciuto molto anche ai macroniani” (Sandro Gozi, eurodeputato, Foglio, 20.2). Ma andé a ciapà i ratt.
I guardiani del faro. “Meloni rompe il silenzio ma evita Kiev e adesso non parla più di ‘pace giusta’” (Stampa, 21.2). “Con Trump raggiungeremo una pace giusta” (Giorgia Meloni, premier FdI, 22.2). I cultori della cazzata sono accontentati: continua a dirla.
Il titolo della settimana/1. “L’Europa in tilt, il gelo di Meloni” (Stampa, 18.2). Da non confondere con il dolce siciliano.
Il titolo della settimana/2. “Ricordarsi sempre chi è l’aggredito e chi l’aggressore. Non solo in Ucraina” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 18.2). Giusto, anche in Serbia, in Libia, in Afghanistan e in Iraq.
Il titolo della settimana/3. “Ricette per un’Italia che guarda al futuro. Il volume di Roberto Garofoli e Bernardo Mattarella analizza, dati alla mano, le fragilità del sistema Paese. Una debolezza a cui porre rimedio” (Claudio Tito, Repubblica, 18.2). Gnamm!
Il titolo della settimana/4. “Zelensky a Trump: l’Ucraina non è in svendita” (Sole 24 ore, 20.2). È in omaggio.
Il titolo della settimana/5. “Facciamo l’esercito con chi ci sta” (Serena Sileoni, Stampa, 19.2). Proviamo con Papua Nuova Guinea.
Il titolo della settimana/6. “Perché ‘pace’ è diventata una parola sinistra” (Giuliano Ferrara, Foglio, 17.2). Ma infatti. Molto meglio “guerra”.
Il titolo della settimana/7. “Russi ancora contro Mattarella. Farnesina pronta a difenderlo” (Repubblica, 18.2). Ora Tajani li spiezza in due.
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LOLLO IN AMMOLLO
l'editoriale di Marco Travaglio
25 febbraio 2025
Il vantaggio degli scandali Santanchè e Delmastro è che nessuno chiede più le dimissioni di Lollobrigida. Il quale, da quando abbiamo perso Giambruno, esercita nel centrodestra le stesse funzioni ricreative svolte in pandemia dal duo comico Fontana-Gallera. Da qualche mese, scaricato persino dalla sua signora, ci pareva un po’ sulle sue, come se avesse perduto lo smalto degli esordi. O gli avessero cucito la lingua al palato. Per fortuna era solo una pausa di riflessione. Infatti l’altro giorno è tornato a parlare e non ha deluso le attese. La sede era propizia: gli Stati generali del Vino, accompagnati – immaginiamo – da adeguate degustazioni. Risultato: il ministro-performer dell’Agricoltura e Sovranità Alimentare ha letto l’etichetta inglese di un alimento che “può avere conseguenze molto pericolose. Il meno che possa capitare è una sudorazione eccessiva che può portare in casi estremi alla rimozione delle ghiandole sudoripare. Contraccolpi possono riguardare il cervello, il cuore, i reni. È il vino?”. Un attimo di suspense, poi il fulmen in clausola del consumato cabarettista: “No è, l’acqua. L’abuso di acqua può portare alla morte. E immaginate la necessità di un’etichettatura allarmistica sulle bottiglie d’acqua”. Infatti, se uno dà i numeri, non si dice mai “levategli il vino” o “posa il fiasco”, ma “toglietegli l’acqua” o “posa la Ferrarelle”. E i mattinali di questura sono pieni di incidenti mortali causati da pirati della strada in preda a iperidratazione.
La nuova massima lolliana va ad arricchire una collezione che l’ha reso celebre in tutto l’orbe terracqueo. “Le donne non si dovrebbero toccare nemmeno con un fiore e invece tratterò un argomento che è quello della produzione dei fiori” (seguirà: chi va con lo zoppo impara a zoppicare e invece tratterò delle Paralimpiadi). “Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica: gli italiani fanno meno figli, quindi li sostituiamo con qualcun altro?” (dopo i telegrammi di felicitazioni del Ku Klux Klan, sfoderò sulla Stampa un alibi di ferro: “Sono ignorante, non razzista”). “In Italia i poveri mangiano meglio dei ricchi” (infatti provate a prenotare un tavolo alla Caritas). “Vorrei imporre un piatto di formaggio nei menu dei ristoranti” (i pecorini forzati: ma quella volta era al Vinitaly, a un’ora pericolosamente tarda del pomeriggio). “In Italia la vitellina Mary viene trattata con affetto, poi certo viene macellata, ma produce carne di qualità” (ringrazia sempre l’Italia con la zampina). E, dulcis in fundo: “Abbiniamo il consumo di vino al benessere fisico con gli eventi sportivi” (scolarsi una boccia di Barbera prima di una gara è la morte sua). Mancava giusto l’allarme sull’acqua killer, che peraltro non va preso affatto sottogamba: specialmente da chi non sa nuotare.
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REDDITO DI BELLIGERANZA
l'editoriale di Marco Travaglio
26 febbraio 2025
Ieri qualche lettore sarà sobbalzato sulla sedia: ma come, il Fatto apre con una ricerca di Carlo Cottarelli? Quello del governo tecnico di Mattarella dopo la cacciata di Conte per il presunto caso Savona? Il manidiforbice dell’austerità? Sì, quello. Abbiamo idee diverse, talora opposte, ma i dati che ha pubblicato sui bilanci militari di Europa e Russia non sono opinioni: sono numeri a prova di bomba (è il caso di dirlo). Che sbugiardano platealmente il pensiero unico europeo: quello di chi, dopo aver condannato a morte il popolo ucraino sabotando ogni negoziato e le nostre economie con le auto-sanzioni, vuole completare l’opera alzando la spesa militare dall’1,9% ad almeno il 3% del Pil. E, per fregare ancora i popoli evitando i forconi, spaccia dati falsi sul riarmo russo. Glieli ha serviti su un piatto d’argento il britannico International Institute of Strategic Studies, finanziato dalle industrie della difesa, subito rilanciati senza verifiche dal Financial Times, daPolitico e dai giornaloni italiani.
Poi l’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica, diretto da Cottarelli, li ha controllati. E ha scoperto che il sorpasso di Mosca sull’Europa è una fake news: la spesa militare europea nel 2024 a parità di potere d’acquisto ha toccato i 730 miliardi di dollari, il 58% in più dei 462 spesi da Mosca. Escludendo i Paesi europei extra-Ue e limitandosi ai 27, questi restano in netto vantaggio con 574,5 miliardi, il 18,6% più della Russia. Che pure rimane un Paese in guerra, lo Stato più vasto, il primo esercito e il maggior arsenale nucleare del pianeta. “Andare al 3% come vuole fare la Nato – osserva Cottarelli – equivale a un aumento del 50%” rispetto alla spesa russa. Eppure, quando ha chiesto ai giornali che hanno diffuso i dati falsi di rettificarli, gli hanno risposto picche o non gli hanno risposto. E han continuato a mentire, come ieri Nathalie Tocci sulla Stampa: “Oggi Mosca spende sulla difesa più di tutto il continente messo insieme”. Poi tutti a frignare ai funerali del “fact checking” e della “scienza”, a strillare contro i complottisti e i terrapiattisti. Ma oggi i veri complottisti sono i guerrapiattisti che inventano invasioni russe in Europa per giustificare un mostruoso riarmo che non trova giustificazioni nei dati veri. È il nuovo euro-dogma, dai rapporti Draghi&Letta ai deliri di Ursula, Macron, Merz e Gentiloni per indebitare vieppiù i cittadini e ingrassare i fabbricanti d’armi Usa. Se l’è bevuta pure la spensierata Schlein, che ormai parla come una Guerini in gonnella: “Serve un Next Generation EU da 800 miliardi l’anno anche per la difesa”. Nossignora: serve spendere meglio, ma soprattutto meno. A furia di discutere su chi debba entrare nel centrosinistra e chi no, il Pd è entrato nel centrodestra.
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LA GABBIA DEI MATTI
l'editoriale di Marco Travaglio
27 febbraio 2025
Geniale l’idea europea di offrire truppe di pace per l’Ucraina mentre non c’è neppure una tregua e contemporaneamente continuare a spedirvi armi che le milizie più ostili alla pace useranno per attaccare le truppe di peacekeeping e continuare la guerra. Strepitosa l’idea di seguitare a dissanguare e indebitare l’Europa con un Pnrr militare e una “Banca del Riarmo” (l’ultima trovata di Ursula) per gettare il 3% del Pil senza vincoli di bilancio, perseverare con le auto-sanzioni e preparare la guerra contro una Russia che spende molto meno di noi e non ha motivi di invaderci, specie nel nuovo ordine mondiale “Trumputin”. Il tutto senza che l’Ue abbia ancora detto una parola chiara su cosa vuole: “Piena vittoria militare ucraina” e “cambiamento democratico in Russia e altri paesi autoritari come la Bielorussia”, come recita la risoluzione votata un mese fa a Bruxelles? L’“integrità territoriale ucraina” invocata dalla risoluzione Onu, appena votata dagli europei e bocciata in Consiglio di Sicurezza dai no di Usa, Russia e Cina e dall’astensione di Londra e Parigi? O il sostegno agli inevitabili negoziati avviati da Trump e ormai digeriti da Zelensky, che ha persino accettato l’accordo-capestro sulle terre rare?
La posizione europea è così manicomiale che potremmo presto assistere alla firma di un’intesa Usa-Russia-Ucraina fra le proteste di Von der Leyen, Kallas e altri squilibrati. Dei quali non pare far parte Macron: non quello finto che fa la voce grossa e la faccia feroce contro la Pax Trumpiana; ma quello vero che va a Washington a leccare il ciuffo a Donald lodandolo per le sue “buone ragioni” di trattare direttamente con Putin scavalcando Kiev e Bruxelles e perfino perché si fa ridare i soldi da Zelensky rapinandogli le terre rare. E se ne frega allegramente dell’ingresso di Kiev nella Nato, che l’Ue definiva “percorso irreversibile” ancora il 17 luglio scorso con i voti di Ppe, Pse, Liberali, Verdi e parte dei Conservatori, inclusi FdI, Pd e FI (contrari solo M5S, Lega e Avs). Continuare a illuderli che otterranno la vittoria completa, l’integrità territoriale (con le quattro regioni annesse dai russi nel 2022 più la Crimea perduta nel 2014) e pure la Nato, quando tutti sanno che sono fiabe della buona notte, non significa aiutare Zelensky e gli ucraini. Significa preparare la rivolta degli ucraini contro Zelensky, che esploderà quando sarà chiaro a tutti che gran parte dei territori occupati resteranno russi, la Nato è fuori discussione e pure la Ue è un miraggio (visti i costi dell’operazione, insostenibili sia per Kiev sia per l’Ue). Trump, che almeno in questo disastro non ha alcuna colpa, non sa più come dirci che la guerra è persa. Poi, con calma, lo scopriranno e lo diranno anche quelli che l’hanno persa.
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TOGHE ROTTE
l'editoriale di Marco Travaglio
28 febbraio 2025
Se ieri l’80% dei 9 mila magistrati italiani ha aderito allo sciopero dell’Anm, queste famose “toghe rosse” iniziano a essere un po’ troppe. O forse si sono semplicemente rotte di fare i capri espiatori di una politica delinquenziale che le ha elette – con gli altri poteri di controllo – a parafulmini di ogni guaio e disastro interno. Non è la prima volta che protestano contro schiforme ammazza-giustizia. Era accaduto con Cossiga, con B., col suo degno erede Renzi e col duo Cartabia-Draghi. Ma il successo dello sciopero di ieri ha del miracoloso, perché coincide col periodo più critico della magistratura, dopo gli scandali e le perdite di consenso (peraltro infinitamente più alto di quello della classe politica). L’insipienza di Nordio &C., mista ad arroganza e cialtroneria, è riuscita nella mission impossible di risvegliare anche il corpaccione più sonnacchioso della classe togata e compattarla come ai bei tempi del triplice “Resistere” di Borrelli (correva l’anno 2002). Certo, quell’appello fu seguito da mesi e mesi di mobilitazioni di piazza (Girotondi e affini), mentre oggi la società civile stenta a farsi vedere e sentire. Ma l’eccesso di ùbris che sta contrassegnando gli ultimi mesi del governo Meloni sta a poco a poco ridestando anche l’opinione pubblica. La brace che cova sotto la cenere potrebbe presto esplodere in nuove fiammate se i magistrati associati (ma ieri erano con loro fior di avvocati, da Alpa a Coppi, per citare solo i più noti) usciranno dal giuridichese e controinformeranno la cittadinanza con parole chiare ed esempi semplici sui pericoli che le schiforme governative comportano non per loro, ma per noi. Il video dell’Anm che smonta le balle degli schiformatori è un ottimo inizio. Così come l’idea di coinvolgere artisti, intellettuali e giornalisti in una battaglia che deve uscire dalle aule di giustizia e delle accademie per coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini: cioè le vere vittime di un potere al di sotto di ogni sospetto che si crede al di sopra della legge. La campagna per il referendum costituzionale sulla separazione delle carriere è appena all’inizio e i sondaggi che danno i Sì in vantaggio sui No non devono spaventare né scoraggiare. Anzitutto perché ci sono battaglie di principio che vanno combattute a prescindere dai pronostici: per la dignità e l’orgoglio di fare tutto il possibile per scongiurare l’ennesimo sfregio alla Costituzione. E poi non c’è nulla di più volubile e volatile dei consensi. Nel 2014, quando il Fatto sposò solitario l’appello di Libertà e Giustizia, primi firmatari Rodotà e Zagrebelsky, contro la schiforma Renzi-Boschi-Verdini, i sondaggi davano il No allo zero per cento. Due anni dopo, quando si votò, il No stracciò il Sì 59 a 41. Basta insistere. E informare.
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VOLEVA ESSERE UN DURO
l'editoriale di Marco Travaglio
01 marzo 2025
A Zelensky era già accaduto di beccarsi le lavate di capo di un presidente Usa: era Biden che lo ca**iava ora per la pretesa di miliardi e armi a getto continuo senza mai ringraziare, anzi rimproverando l’alleato di fare sempre troppo poco; ora per le bugie sul missile ucraino caduto in Polonia e spacciato per russo per trascinare gli Usa e il mondo nella terza guerra mondiale. Ma una scena come il match Trump-Zelensky nello studio ovale a favore di telecamere è un unicum nella storia, figlio dell’Èra Donald che sconvolge non solo la sostanza, ma anche le forme della diplomazia mondiale. Zelensky era stato avvertito: o vieni e firmi l’accordo sulle terre rare, prologo della tregua, o stai a casa. Lui è andato senza firmare nulla. Ha anteposto la sua immagine agli interessi del suo Paese, sfidando Trump perché gli ucraini intendessero. Voleva essere un duro, o almeno sembrarlo agli occhi del popolo che lo ama sempre meno, ricordando di essere il leader coraggioso che tre anni fa rifiutò un comodo esilio e restò a Kiev (anche perché Putin gli aveva garantito l’incolumità via Bennett). Forse s’è rafforzato con i nazionalisti che non vogliono sentir parlare di pace e compromessi. Ma non certo con la maggioranza non ideologizzata degli ucraini che non vede l’ora di chiudere la guerra e ci penserà bene prima di rivotare un nemico degli Usa chiamato “stupido” da Trump e cacciato dalla Casa Bianca.
Così Zelensky ha, se possibile, ancor più indebolito il suo Paese, sconfitto in guerra, spopolato da morti, profughi, disertori e renitenti alla leva, economicamente fallito e ora anche platealmente scaricato dal primo alleato. Che, se non è diventato nemico, poco ci manca. Trump gli ha sbattuto in faccia le verità scomode che tutti conoscono benissimo, ma che lui si era illuso (perché era stato illuso da Biden e continua a essere illuso dall’Ue) di poter continuare a ignorare all’infinito: Ucraina e Nato hanno perso la guerra; Kiev senza gli Usa non si regge in piedi e ora che dice di no agli Usa non ha più carte in mano; Trump non si pone nel negoziato come alleato di Kiev, ma come “arbitro” fra Ucraina e Russia, neppur troppo equidistante visti i rapporti di forza. E ora, giocandosi il rapporto con gli Usa, Zelensky si è conficcato in un vicolo cieco: o torna alla Casa Bianca, anzi a Canossa, col capo cosparso di cenere, sottoponendosi a forche caudine ancor più umilianti di quelle subìte finora e firmando qualsiasi cosa Trump gli metta sotto il naso; oppure resta solo, in balia delle truppe russe che avanzano e senza più aiuti dagli Usa, mentre Trump si accorderà con Putin. La classica alternativa del diavolo: o un disastro o un disastro. Dopo aver perso la guerra, Zelensky rischia di aver perso anche la pace.
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NEL RETRO DEL SALOON
l'editoriale di Marco Travaglio
02 marzo 2025
Della sc***ottata da saloon alla Casa Bianca sappiamo solo quel che abbiamo visto in mondovisione, non ciò che l’ha scatenata. Zelensky – come dice ora che da leone è tornato agnellino – non vedeva l’ora di firmare il patto sulle terre rare e il duo Trump-Vance gli ha teso una trappola per bullizzarlo? Possibile, ma improbabile: il set nello studio ovale era tipico delle cerimonie da annunci e firme, non dei negoziati che partono da zero (e si svolgono a porte chiuse). In ogni caso resta da capire cosa ci sia andato a fare, a Washington, dopo che Trump l’aveva avvertito: vieni solo per firmare. Voleva sfidarlo a favore di telecamere per fare bella figura? Accarezzarsi l’ego e i sondaggi in picchiata passando alla storia, o alla cronaca, come colui che “le ha cantate” all’aspirante re del mondo? Tornare l’eroe dell’Occidente come tre anni fa? Purtroppo per lui l’Occidente di tre anni fa l’ha spazzato via Trump in 40 giorni e tutto gli si può rimproverare – condannato, volgare, brutale, cinico, bullo, affarista e chi più ne ha più ne metta – fuorché di non essere chiaro: ciò che ha detto a Zelensky lo dice da sempre ed è stato eletto proprio per realizzarlo. È ora che gli alleati – sempreché ancora lo siano – ne prendano atto e vi si regolino.
Zelensky vuol continuare a combattere contro la Russia? Liberissimo, se il suo popolo è d’accordo: ma sa che lo farà senza più un dollaro e un proiettile americano e con sempre meno aiuti da una Ue con le casse e gli arsenali semivuoti. Vuole chiudere la guerra con un compromesso e un trattato di pace? Sarebbe stato molto meglio arrivarci con negoziati equi ed equilibrati: purtroppo la Nato lo ha spinto a rifiutarli e poi a vietarli, mentre l’Ue li bandiva anche dal suo lessico. E ora gli tocca subire quelli di Trump, che non vede l’ora di accordarsi con Putin per dedicarsi a faccende più urgenti: non perché sia pacifista, ma perché non vuole finanziare guerre per lui inutili, anzi dannose. Gliel’ha detto in faccia: “Così sarà difficile fare affari con te”. Ma era un dialogo tra sordi, perché Zelensky non riesce a uscire dalla modalità “la pace quando e come decido io”: quella che gli hanno cucito addosso Biden, Nato e Ue. Solo che la guerra è persa e c’è un “nuovo sceriffo in città”. La rissa è esplosa appena s’è messo a minacciare gli Usa in casa loro (“noi abbiamo problemi di guerra e voi avete l’oceano in mezzo, ma li sentirete pure voi”) e porre condizioni: tipo la copertura aerea Usa, che neppure Biden si sognò di dargli. Ora gli europei, inclusi Macron e Starmer reduci dalle genuflessioni chez Donald, gli fanno coraggio: “Siamo sempre con te”. Cioè seguitano a mentirgli, immemori della massima di Kissinger: “Essere nemici dell’America può essere pericoloso, ma esserle amici è fatale”.
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