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Dino

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L’ERBA VOGLIO

Editoriale di Marco Travaglio

05 luglio 2025

Come tutti sapevano da almeno un anno, Trump mantiene la promessa e inizia a smettere di armare l’Ucraina. Finiti gli ultimi stock decisi da Biden, game over. Zelensky ha avuto tutto il tempo per prepararsi al nuovo scenario. Invece, drogato con promesse vuote e illusioni irresponsabili dagli “alleati” europei, ha fatto finta di nulla. E ora lancia allarmi fuori tempo massimo e fuori da ogni logica. Gli stessi dei nostri giornaloni: “Trump taglia le armi e Kiev rischia di perdere la guerra”. Notizia stravecchia: a parte i tre mesi della prima controffensiva (agosto-ottobre 2022), l’Ucraina perde da tre anni: non ha mai battuto sul campo i russi, che nei rari momenti di difficoltà, ripiegavano per risparmiare uomini; e, dopo il clamoroso flop della seconda controffensiva del 2023, non fa che arretrare sugli oltre mille km di fronte. Perdeva quando riceveva armi e miliardi Nato a getto continuo (quasi 350 miliardi in tre anni); continua e continuerà a perdere senza le armi di Trump, anche se Merz e qualche altro genio acquisteranno i Patriot dagli Usa per farne omaggio a Zelensky. Il quale, nel dicembre ’24, era finalmente giunto alle stesse conclusioni tratte dal generale Usa Milley nel novembre ’22 e dall’ex portavoce di Zelensky, Arestovich, e dall’allora comandante Zaluzhny (subito licenziato) nel novembre ’23: “Non riusciremo a riconquistare i territori occupati”.

In quel preciso istante, per salvare il salvabile in vite umane e territori, avrebbe dovuto proporre il cessate il fuoco e il congelamento del conflitto sulla linea del fronte, senza nuove inutili stragi. Invece, mentre Trump e Vance cercavano di ancorarlo al principio di realtà (“Non hai carte da giocare”), l’Ue urlava all’agguato, prometteva altre armi e varava nuove sanzioni “fino alla vittoria sulla Russia”, mentre i “volenterosi” deliravano di inviare truppe. Perciò i negoziati a Istanbul sono in stallo: i russi avanzano (da due anni ininterrotti) come il coltello nel burro e non hanno alcun interesse a fermarsi, salvo proposte che non possano rifiutare. Ma deve avanzarle chi perde. Putin ha due opzioni, entrambe vincenti (win win): continuare a combattere per completare la conquista delle regioni annesse; o fermarsi e ottenerle a tavolino. Trump la pace con Putin l’ha già siglata, al di là dei teatrini telefonici: lo usa su Medio Oriente, Cina e Baltico, in attesa che la guerra in Ucraina finisca per consunzione della medesima; risparmia miliardi sulle armi e ne guadagna altri dagli euro-polli che gliene comprano molte di più col riarmo al 5% di Pil. Resta da capire cosa vogliano Zelensky e l’Ue, a parte passare il tempo a prendere a testate la realtà e a ripetere che Putin è cattivo. Ma a questa domanda può rispondere solo uno psichiatra.

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L’ESTATE DEL TAROCCO

Editoriale di Marco Travaglio

06 luglio 2025

Ok, fa caldo. Ma non è che possiamo passare tutta l’estate a parlare di cose che non esistono. I protocolli contro il lavoro al caldo sono finti: le imprese continueranno a far arrostire e bollire la gente. I pedaggi autostradali aumentano e poi non aumentano più perché Salvini non vuole passare per quello che aumenta le tasse e neppure FdI e FI, ma l’aumento mica l’aveva deciso l’orco cattivo: era in un emendamento di Lega, FdI e FI. Nell’intervista collettiva quotidiana, Renzi annuncia una “tenda riformista”: al massimo una canadese o una tendina da doccia, perché più lo fanno parlare e più precipita – ove fosse mai possibile – nei sondaggi (nell’ultima media Youtrend è sceso per la prima volta sotto il 2%, passando a mezzo pelo superfluo). A proposito di esseri inutili: Calenda sindaco di Roma come “civico di centro-destra” è finto perché è sì di centro-destra, ma è tutto fuorché civico (ex viceministro ed ex ministro, ex eurodeputato, ora deputato e leader di partito, si fa per dire) e il centro-destra non ha alcuna intenzione di accollarselo. Anche la sconfitta di Trump sui dazi è finta almeno quanto le sue liti con Putin e la vittoria dell’Ucraina sulla Russia: il successo trumpiano, come sul riarmo Nato al 5% del Pil, è garantito dall’assenza di competitor, cioè dell’Ue, che è fintissima, un’espressione geografica che gli si genuflette prima ancora che lui glielo chieda. Le nuove prove su Sempio per il delitto di Garlasco sono finte: più le cercano e più ne trovano su Stasi, che l’aveva quasi fatta franca e ora pregherà i supporter di fermarsi prima che gli diano l’ergastolo.
Spiace per Crosetto e Salvini, ma è finta anche la funzione “strategico-militare” del Ponte sullo Stretto per infilarlo tra le spese del riarmo Nato, a meno che l’Armata Russa non sbarchi dall’Africa in Sicilia o in Calabria travestita da barcone di migranti. Era finta la legge sul terzo mandato ai presidenti di Regione scaduti che ha monopolizzato il dibattito dell’ultimo mese nel centro-destra. Ed è finta l’apertura di FI allo “Ius scholae” o “Ius Italiae” che tanto eccita i cantori dell’inciucio pidino-forzista: serve solo a garantire qualche titolo di giornale e tg al povero Tajani, che se la darà a gambe levate non appena la Meloni e Salvini gli faranno “bu”: è già successo l’estate scorsa, con gran disdoro della Schlein che allo Ius Sòla ci teneva tanto. A proposito di Pd: Serracchiani e altri geni tuonano contro il governo che non chiude i Cpr per migranti ignorando il verdetto della Consulta. Tutto bene, se non fosse che i Cpr li ha inventati il Pd quando si chiamava Ulivo con la legge Turco-Napolitano del 1998 (Prodi-1). L’unica cosa vera nell’estate del tarocco è la rapina del riarmo: infatti ce la mettono tutta per farci credere che sia finta.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

Editoriale di Marco Travaglio

07 luglio 2025

Dependence Day. “Noi e gli Usa parliamo la stessa lingua” (Giorgia Meloni, premier FdI, 2.7). Eseguiamo gli ordini prim’ancora che arrivino.

Di corsa. “Il ritorno di Formigoni alla convention di FI: ‘Con lui la Lombardia correva di più’” (Corriere.it, 29.6). Dal Pirellone al carcere di Bollate fu un attimo.

Senti chi parla. “Italia Viva votò La Russa presidente del Senato per avere la Vigilanza Rai” (Carlo Calenda, leader Azione, Stampa, 12.4.23). “Alla prossima legislatura si vota per il Quirinale, io non voglio La Russa presidente della Repubblica” (Matteo Renzi, leader Iv, 3.7.25). Lo preferisce presidente del Senato.

Che tempo che fa. “Bonelli dà la colpa alla Meloni perfino per l’estate afosa” (Libero, 2.7). Non piove, governo ladro.

Diversamente disarmo. “Chi si oppone al riarmo dica cosa fare, non solo cosa non fare… La difesa non sono solo missili, ma cybersicurezza, militari che aiutano la società in emergenze e calamità, più risorse per tutti… scudi e computer” (Beppe Severgnini, Otto e mezzo, La7, 26.6). “Carri e sottomarini, corsa alle acquisizioni” (Stampa, 2.7). “Il riarmo dell’industria italiana. I missili raddoppiano. Accordi per droni e carri armati” (Foglio, 5.7). E niente, nessuno che compri un computer o uno scudo.

Un altro nemico. “Nelle prigioni bielorusse è rinchiuso anche il futuro dell’Europa. Per questo il riarmo è ben più di una voce di spesa” (Foglio, 4.7). Ah ecco a cosa servono quei 70 miliardi in più all’anno per le armi: a bombardare le carceri bielorusse.

Nuove reclute. “L’Europa suddita degli Usa favorisce l’abbandono dell’Ucraina” (Nathalie Tocci, Stampa, 3.7). “Lo stop alle armi a Kiev è un regalo al Cremlino. Dal destino dell’Ucraina dipende il nostro” (Paolo Gentiloni, Stampa, 4.7). Forza, adesso o mai più: arruolatevi.

Un pesce di nome Zanda. “Schlein e Conte senza il carisma per aspirare alla leadership” (Luigi Zanda, ex senatore gentiloniano Pd, Corriere della sera, 4.7). Vuoi mettere un Gentiloni o uno Zanda?

Mar di Papeete. “Conte non esitò a guidare i suoi due governi appoggiandosi a maggioranze differenti: la prima volta con il leghista Salvini; la seconda, buttato a mare il capo del Carroccio, con il Pd… Egli sa bene che la memoria dell’opinione pubblica è alquanto corta” (Stefano Folli, Repubblica, 2.7). C’è persino chi s’è scordato che nell’agosto del 2019 fu Salvini a buttare a mare Conte e non viceversa.

Wanted vivo o morto. “Obiettivi e astuzie dei proclami di Conte… Ha individuato un paio di spunti ricorrenti, nei quali si rifugia abilmente… Il primo è il riarmo… il secondo è la povertà… Egli argomenta, s’infervora, dà l’idea di credere in quello che dice… Si presta a interviste televisive e cartacee, confronti a due, a tre e a quattro… La missione di Conte consiste nel fare il pieno di consensi” (Folli, ibidem). Roba da matti: un leader che ha un programma chiaro, si appassiona, crede in ciò che dice, va pure in tv a confrontarsi con altri (anche due o tre alla volta), il tutto non per perdere consensi, ma guadagnarli. Ed è ancora a piede libero.

Reo di pace. “Conte, il legale siberiano del M5S” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 29.6). “L’anti-summit di Conte che specula sulla sicurezza” (Luiza Bialasiewicz, Domani, 24.6). “Conte alla guida del residuato bellico pentastellato, un relitto post-grillino” (Mario Sechi, Libero, 29.6). “Conte ‘Masaniello’ dell’antimilitarismo in pressing su Schlein” (Dubbio, 1.7). Ma infatti, non si vergogna?

Fatti una pista. “La sinistra riscrive le stragi d’Italia. L’ideologia offusca la verità storica. Guai a parlare delle piste che portano al terrorismo palestinese: la tragedia di Ustica e l’esplosione alla Stazione di Bologna…” (Giuliano c***ola, Riformista, 3.7). Ma infatti: Mambro, Fioravanti, Bellini e Gelli erano fedayin dell’Olp.

Il titolo della settimana/1. “Demagogia e ‘fake news’: come possiamo resistere?” (Luciano Fontana, direttore Corriere della sera, 30.6). Si potrebbe cominciare smettendo di leggere il Corriere della sera.

Il titolo della settimana/2. “Mosca minaccia l’Occidente: ‘Non riuscirà a batterci’” (Giornale, 30.6). Quindi, per non minacciarlo, Mosca dovrebbe dire: “Riuscirà a batterci”.

I titoli della settimana/3. “Un anno fa Il Cremlino lanciava in un mese i droni che ora lancia in un giorno” (Foglio, 2.7). “L’Ucraina teme l’assedio a Sumy: 50 mila russi pronti alla battaglia” (Corriere della sera, 1.7). Niente paura: saranno i famosi ubriaconi a dorso di mulo e di motorino.

Il titolo della settimana/4. “Di Napolitano si ricordino pure la fermezza opposta ai pm dello ‘Stato-mafia’ e la lettera ad Anna Craxi” (Francesco Damato, Dubbio, 1.7). Giusto, non bisogna dimenticare le vergogne.

Il titolo della settimana/5. “Ania Goledzinowska: ‘Dalla torta di Berlusconi agli esorcismi: così ho sconfitto il demonio e sono rinata’” (Stampa, 1.7). Perciò ora verrà torchiata nell’inchiesta-bis su Garlasco.

Il titolo della settimana/6. “L’odio di Donald per la stampa libera” (Alan Friedman, Stampa, 27.6). Quindi almeno Friedman è fuori pericolo.

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ARIDATECE LISISTRATA

Editoriale di Marco Travaglio

08 luglio 2025

Per secoli fior di intellettuali hanno immaginato quanto sarebbe più pacifico il mondo se al potere, anziché gli uomini, ci fossero le donne. Uno dei primi fu Aristofane con Lisistrata e le sue amiche, promotrici di uno sciopero del sesso per costringere i governanti di Atene, Sparta e altre città greche a farla finita con la guerra del Peloponneso. Il luogo comune durò finché le prime donne non salirono al potere e si scoprì che erano guerrafondaie quanto gli uomini. Ma Indira Gandhi, Golda Meir, Margaret Thatcher erano almeno grandi statiste e nelle rispettive guerre vennero tirate per i capelli. Poi vennero le nane che scimmiottano i modelli macho-guerreschi per non sfigurare con i mandanti maschi e arraffare poltrone, come la Rice con Bush jr., la Clinton con Obama, la Harris con Biden. La Commissione Ue non è mai stata più rosa di oggi, tra la presidente Von der Leyen, la Kallas, le 4 vicepresidenti esecutive su 6 e le altre 6 commissarie su 20. Inclusa l’ormai leggendaria Hadja Lahbib, quella del kit per sopravvivere alla guerra atomica con coltellino svizzero, carica-cellulare e carte da gioco. Nessuna ha fatto un plissé sugli abominevoli piani di riarmo Ue e Nato: anzi Ursula e Kallas guidano le Sturmtruppen e adorano farsi immortalare tra nerborute soldataglie in mimetica, bombe che esplodono, missili che sibilano e caccia che sfrecciano. Ieri si discuteva della sfiducia chiesta dai Conservatori contro la Bomberleyen per i traffici sui vaccini e il Rearm senza passare dal Parlamento. E lei, anziché spiegare quelle condotte scandalose o dimettersi, ha risposto che “ha stato Putin”: “È una lotta tra democrazia e illiberalismo” (lei, che ignora il Parlamento, è la democrazia), “una minaccia dei partiti estremisti che vogliono polarizzare le nostre società con la disinformazione” (lei, che occulta i suoi messaggi con Pfizer, è l’informazione), “sono apologeti di Putin sostenuti dai nostri nemici e dai loro burattinai in Russia o altrove” (inclusi la Corte di Giustizia europea che ha giudicato illegittima la censura sulle sue chat segrete con il boss di Pfizer; e il Parlamento Ue che le ha fatto causa per non aver potuto votare il Rearm).

Poi c’è un’Ursula che non ce l’ha fatta: la pidina Pina Picierno, vicepresidente dell’Europarlamento (una dei 14), che vede Putin dappertutto. Ora, per dire, tuona contro la Campania dell’amico De Luca che ha invitato a Salerno uno dei maggiori direttori d’orchestra del mondo, Valery Gergiev, russo quindi “fiancheggiatore di Putin e del suo abietto imperialismo”, già cacciato dalla Scala da quel genio di Sala. A riprova del fatto che guerra e pace non sono questioni di genere, ma di cervelli in fuga dai rispettivi crani. Maschili e femminili.

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SOGNO DI MEZZA ESTATE

Editoriale di Marco Travaglio

09 luglio 2025

Per tutta la stagione televisiva appena conclusa, non c’era talk show senza un paio di ospiti democratici e progressisti che mi spiegassero a fotocopia, facendosi aria col Manifesto di Ventotene: “Dobbiamo stare con l’Ue contro Trump”. Versione lievemente contraddittoria del mantra precedente: “Dobbiamo stare con la Nato contro Putin”. Non avendo mai preso tessere in vita mia, né Scout, né Giovani Marmotte, tantomeno Nato e Ue, non ho mai capito in che senso un giornalista dovrebbe “stare” con qualcuno, a parte i propri lettori. Ora però, ove mai mi invitassero a un talk estivo, sarei curioso di reincontrare uno di quei fresconi per domandargli: ma tu stai ancora con la Nato e/o con la Ue? No, perché all’ultimo vertice Nato all’Aja s’è vista una massa di invertebrati con le lingue protese verso il ciuffo di Trump, reduce dalla sua prima e finora unica guerra (la sveltina in Iran). E quando si è trattato di firmare la rapina ai loro popoli togliendo il 5% di Pil alla spesa sociale per devolverlo alle armi, il mood era: “Ma il 5 non sarà poco? Dài, facciamo almeno il 6!”.

Idem per l’Ue, che tira dritto sul suo riarmo da 800 miliardi, si cala le braghe sui dazi trumpiani e lavora alacremente per portare le destre al governo nei Paesi che ancora non hanno questa fortuna: lepenisti in Francia, Afd in Germania, Vox in Spagna e Farage in Gran Bretagna (che con l’Ue non c’entra, ma si imbuca nei Volenterosi e ora arraffa pure i prestiti del riarmo europeo insieme a un altro intruso: il Canada). Infatti a presentare la mozione di sfiducia contro quello scandalo ambulante della Von der Leyen mica sono i progressisti: sono i Patrioti di destra. E, a parte i 5Stelle che ribadiscono la sfiducia iniziale, tutti gli altri balbettano. Il Pse minaccia di astenersi (è il suo atto di massima temerarietà), ma aspetta il solito piatto di lenticchie per ridire Sì alla Bomberleyen. E il Pd, tanto per cambiare, si spacca tra chi voterà la fiducia e chi intrepido si asterrà. A proposito di Pd: l’anno scorso mandò al Parlamento europeo quasi tutti i cacicchi che la Schlein – eletta segretaria proprio per questo – aveva giurato di cacciare: Zingaretti, Decaro, Bonaccini, Ricci, Gori, Nardella ecc. Ora, dopo appena un anno, Decaro e Ricci tornano in Italia perché il Pd li candida a presidenti della Puglia e delle Marche. Quindi per il Pd il Parlamento europeo, da cui passa ormai il 90% delle decisioni vitali per il nostro futuro, è una via di mezzo fra un garage di parcheggio e un trampolino di rilancio per cacicchi momentaneamente spiaggiati. Ma con che faccia i dem verranno ancora a menarcela su quanto è importante l’Ue? L’unica speranza è che di questo passo, alla ripresa autunnale della stagione televisiva, l’Ue non esista già più.

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CRETINETTI

Editoriale di Marco Travaglio

10 luglio 2025

Un tempo c’era il gioco dell’estate: l’Hula hoop, lo Yoyo, il Frisbee. Ora è la volta del Mena-Tajani (con la variante cirenaica del Mena-Piantedosi). Il sagace vicepremier e ministro degli Esteri (all’insaputa dei più) prende botte da tutti: Meloni, Salvini, Marina B. e persino Pier Silvio, l’altro titolare della ditta. Tant’è che l’altro giorno si è portato avanti e si è menato da solo: “Sono il ministro degli Esteri più sfigato della storia: due guerre, guerra commerciale… Esce sempre qualcosa da fare all’ultimo momento con tutto quel che succede”. Eh sì, dura la vita del Tajani. Il lunedì ti tocca dare ordini a Netanyahu, il martedì a Khamenei, il mercoledì a Trump e Zelensky, il giovedì a Putin, il venerdì a Xi, il sabato agli europei che si scordano sempre d’invitarti e la domenica ti chiedono tutti all’unisono chi diavolo sei.

Prima di lui nel mondo non succedeva niente. Poi si scatenò l’inferno. Appena entrò alla Farnesina, raddoppiarono gli sbarchi di migranti e lui, con Crosetto, diede la colpa alla Wagner. Poi parlò con Netanyahu e gli si spalancò un mondo: “Ho discusso lunghi minuti con lui di crisi migratoria. Lui ha guardato sulla grande cartina della sala riunioni… e ha detto: ‘Voi siete circondati dal mare, per voi è molto più difficile’”. Diavolo d’un Bibi: gli bastò un’occhiata alla cartina per scoprire ciò che nessuno, men che meno Tajani, aveva mai sospettato: l’Italia è circondata dal Mediterraneo. Ma, mentre lui studiava le prime contromosse, esplose Gaza e arrivò Trump. Glielo fanno apposta, come al “cretinetti” Alberto Sordi nel Vedovo: “Non me lo dovevano riaprire il canale di Suez. Ma come: prima me lo chiudete e poi me lo riaprite proprio nel momento in cui sto speculando sulla benzina? Allora ce l’avete con me!”. Poi la mazzata di Pier Dudi, che è il Tajani di Mediaset visto che non azzecca un programma, quindi è pronto per la politica: “In FI servono volti nuovi e lo Ius Scholae non è una priorità”. Ma come: Tajani aveva appena bissato la gag dell’estate scorsa, quando si era tirato dietro il Pd e i giornaloni, salvo poi votarsi contro da solo. E il Pd e i giornaloni ci stavano ricascando, arrapatissimi dall’asse demo-forzista che già è un tutt’uno sul riarmo. Lui sfidava FdI e Lega: “Li convincerò, ma siamo pronti a votare con la sinistra”. E già si vedeva al Quirinale. Invece niente: Pier Coso gli rompe le uova nel paniere sul più bello. E lui deve rimangiarsi tutto, sennò gli salta non solo la presidenza della Repubblica, ma pure di FI: “Anche per me lo Ius scholae non è una priorità, l’ho sempre detto. Io e Pier Silvio siamo in perfetta sintonia. Magari scendesse in politica!”. Com’è umano, lei. Manca poco che neghi di chiamarsi Tajani. Ma allora ditelo che ce l’avete con lui.

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PADRONE INGRATO

Editoriale di Marco Travaglio

11 luglio 2024

Nelle sapide cronache della quasi discesa-discesetta-discesina in campo di Pier Silvio B. nessuno – ma proprio nessuno – fa notare l’aspetto più surreale della vicenda: il monumentale conflitto d’interessi ereditario di un signorino che è amministratore delegato e vicepresidente esecutivo di Mediaset, azionista di F*******t, presidente di Rti (le reti tv di famiglia), membro dei Cda di Media For Europe, di Mediaset España e di Mondadori (a suo tempo sottratta dal padre al proprietario De Benedetti grazie a una sentenza comprata da Previti) e della concessionaria pubblicitaria Publitalia (fondata dal pregiudicato per mafia Dell’Utri). E dà ordini e pagelle ai massimi dirigenti di Forza Italia – che governa lo Stato di cui Mediaset è concessionaria e che i B. tengono in vita con donazioni, più le fidejussioni che garantiscono i debiti di quasi 100 milioni – affinché facciano quello che dice lui, in attesa che ne assuma il comando quando gli girerà di farlo. E naturalmente potrà farlo grazie alla finta legge sul conflitto d’interessi varata dal genitore tramite l’apposito Frattini e alla complicità del centrosinistra che si guardò bene dal farne una decente e di applicare la legge Scelba del 1957 sull’ineleggibilità dei titolari di concessioni pubbliche. Il tutto – tocco di classe finale – mentre sta presentando i palinsesti delle sue tv. Ma nessuno nota la mostruosa abnormità della scena e tutti la commentano come se fosse normale. Gli stessi che da mesi spiegano agli americani i conflitti d’interessi di Trump e Musk (che peraltro non posseggono tv e ora litigano pure) fingono di non vedere il nostro, come se dopo 31 anni si fosse prescritto. C’è pure qualche sincero democratico che sorvola perché sogna l’ammucchiata Forza Pd contro i “populisti”, come se uno che dà la la scaletta al vicepremier e ministro degli Esteri Tajani e fulmina lo Ius scholae tra un commento su Ilary Blasi e uno su Diletta Leotta non fosse il recordman mondiale del populismo.

Spiace per Renzi e Gasparri che, dopo tanto prodigarsi per la ditta, vengono così ripagati dal padrone ingrato. Renzi, credendo di fare un dispetto, annuncia che non darà più i suoi libri (si fa per dire) a Mondadori, che risparmierà sui lauti anticipi. Sempreché il noto campione di coerenza mantenga la promessa: se è come quando lasciò la politica nel 2016, Marina dovrà riservargli una collana ad hoc. Gasparri invece finge di non sentire: “Pier Silvio dice che sono bravissimo e quindi sono contento”. Pover’uomo: passare la vita a giocarsi l’eventuale faccia fra due leggi Gasparri, un decreto Salva-Rete4, altre marchette sfuse e finire liquidato in quel modo. Però magari adesso la legge sul conflitto d’interessi la presenta lui.

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CHI DECIDE E CHI GIOCA

Editoriale di Marco Travaglio

12 luglio 2025

Mentre i big che contano si parlano in via riservata per trovare una via d’uscita al conflitto ucraino, i bambini giocano alla guerra facendo casino in cortile. L’altroieri gli inconcludenti semi leader europei starnazzavano in due cortili: il vertice dei “volenterosi” a Londra e la conferenza di Roma per la ricostruzione: mai sentito tante scemenze scollegate dalla realtà e dalla logica. Infatti gli unici a prenderle sul serio, nel mondo, sono i giornali e i tg italiani.

“Meloni: impegni per 10 miliardi, punto di partenza per un miracolo economico ucraino”. A parte l’assurdità di pensare a ricostruire un Paese mentre si continua a farlo distruggere allungando e allargando con nuove armi una guerra che si poteva fermare tre anni fa, per la Banca Mondiale la ricostruzione richiederà almeno 540 miliardi. Se i 32 capi riuniti a Roma ne promettono 10 fanno ridere. In ogni caso le regioni più distrutte sono quelle annesse da Mosca, che le sta già ricostruendo e non permetterà a estranei di mettervi piede e farvi affari. Quanto al “miracolo economico”, l’Ucraina era fallita già prima dell’invasione: ora le servono 50 miliardi di prestiti l’anno solo per stare in piedi e 10-15 al mese per seguitare a combattere.

“Mattarella: la pace sia giusta, l’Ucraina non è sola”. Ma proprio questo è il suo guaio: è circondata di finti amici con gli arsenali vuoti che, per non perdere la faccia ammettendo di aver perso la guerra, continuano a illudere Zelensky di avere alternative alla rinuncia ai territori perduti (una “pace giusta”, sganciata dal campo di battaglia, non s’è mai vista nella storia), così in attesa di riaverli ne perde ogni giorno di nuovi.

“Meloni: Putin ha fallito”. Magari: se fosse vero, sarebbe lui a implorare l’Ucraina di fermarsi, e non viceversa. La verità è che, dopo 350 miliardi donati dalla Nato a Kiev e 18 pacchetti di sanzioni alla Russia per isolarla nel mondo e sconfiggerla sul campo, Putin sta raggiungendo i suoi obiettivi e l’Occidente li ha falliti tutti.

“Collaborare con Kiev per produrre armi”. L’ideona di potenziare l’industria bellica ucraina per comprare armi da Kiev e poi regalargliele non tiene conto di un piccolo dettaglio: se e quando sarà firmata la pace, l’Ucraina dovrà demilitarizzarsi. Cioè detenere e produrre molte meno armi di oggi, non certo ancor di più.

“Macron-Starmer, patto atomico per l’Europa. Ombrello nucleare e 50 mila uomini in Ucraina dopo il cessate il fuoco”. L’Europa ha già un ombrello nucleare: quello della Nato, in caso di attacco a un membro. E Putin non firmerà mai una tregua per ritrovarsi al confine 50 mila uomini delle due potenze atomiche europee della Nato: ha invaso l’Ucraina proprio per evitarlo. Ma questi mitomani si drogano?

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BULLI E NANI DA GIARDINO

Editoriale di Marco Travaglio

13 luglio2025

Dopo averli studiati per quasi sei mesi, Trump ha capito che i cosiddetti “alleati” europei sono un branco di pigmei fantozziani, di cui si può fare tutto ciò che si vuole. E ieri l’ha fatto: la sua lettera che gli dà i venti giorni sui dazi al 30% sarebbe umiliante anche per una colf, ma non per questa Ue di servi sciocchi che ora fingono stupore e sorpresa, come se non conoscessero il personaggio. Che, quando si trova davanti un interlocutore in posizione eretta, spara 100 per avere 50. Ma con i nostri pigmei spara 100 e ottiene 110. L’ha appena toccato con mano sul 5% di Pil per le spese Nato: si aspettava chissà quale braccio di ferro, invece ha trovato Rutte e gli altri nani già sdraiati e ci è mancato poco che rilanciassero sul 6%, ovviamente senza interpellare i Parlamenti nazionali, ormai ridotti a soprammobili. Come quello europeo sul riarmo da 800 miliardi. E ha concesso il bis sui dazi. Ora naturalmente gli euro-nani da giardino strillano parole vuote contro il padrone ingrato che osa fare gli interessi del popolo americano falcidiato dalla globalizzazione e dallo sbilancio commerciale. Come se Trump non l’avesse ampiamente annunciato in campagna elettorale e come se i dazi non li avesse iniziati Biden.

L’Ue ha avuto sei mesi di tempo per alzare i ponti levatoi, ma era troppo impegnata a sabotare l’unica iniziativa di Trump che conviene a noi: il negoziato con Putin per chiudere la guerra in Ucraina. Abilissimi a dirgli di no quando dovrebbero dirgli di sì e di sì quando dovrebbero dirgli di no, i nostri liderini hanno esecrato la soluzione diplomatica che ci servirebbe come l’oro proprio contro i dazi. Il compromesso con la Russia ci consentirebbe di riprendere la cooperazione economica, ricominciare ad acquistare il gas dove costa meno e spalancarci la strada verso nuove rotte commerciali con i Brics, a partire dalla Cina, riaprendo la Via della Seta e trasformandola in autostrada. Invece no: i pigmei han continuato come sonnambuli a guardare in cagnesco Mosca, a parlare solo di guerra, a varare sanzioni che danneggiano più noi che Putin, ad accusare Pechino di fare i propri interessi. E a sperare che il nuovo padrone Usa avesse pietà di noi, andando a trattare separatamente, in ordine sparso, per strappare qualche sconticino. Peccato che Trump disprezzi i deboli e rispetti solo i forti: quali noi europei potremmo essere, con la forza di un mercato da mezzo miliardo di persone, se avessimo una classe dirigente all’altezza e non alla bassezza della situazione. Ora, anziché piagnucolare perché il bullo platinato fa gli interessi del suo popolo, potremmo cominciare a votare per qualcuno che faccia gli interessi di noi europei. Oppure rassegnarci alla fine che meritano i pigmei: l’estinzione.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

Editoriale di Marco Travaglio

14 luglio 2025

La promozione. “Parlatecene voi, adesso, di Bibbiano, viene da dire dopo che la Cassazione ha messo la parola fine a una gazzarra feroce” (Michele Serra, Repubblica, 11.7). Quindi il Tribunale di Reggio Emilia che ha emesso la sentenza su Bibbiano è già la Cassazione. Quando c’è di mezzo il Pd, dal primo al terzo grado di giudizio è un attimo.

L’Insaputo. “Io ancora una volta indagato a mia insaputa” (Claudio Scajola, sindaco FI di Imperia, Stampa, 3.7). Ma guarda che le indagini si fanno in segreto: non è come comprare casa.

Convincere, e convinceremo! “Ius Scholae, FI ci riprova. Tajani: ‘Convinceremo gli alleati’” (Messaggero, 7.7). “Lo Ius Scholae non è una priorità neanche per me: con Pier Silvio c’è perfetta sintonia” (Antonio Tajani, presidente FI, 9.7). Ora sta convincendo se stesso.

600 mila buoni motivi. “Acquaroli ha fatto un gran lavoro nelle Marche, ha governato non bene ma benissimo e io spero proprio che rivinca. Lo sostengo per tutto quello che ha fatto nella mia Regione, cioè tantissimo” (Roberto Mancini, allenatore, Foglio, 2.7). Tipo dare 600 mila euro a Mancini per uno spot.

Carriere da separare. “Gli avvocati di Ciro Grillo mettono la ragazza sul banco degli imputati” (Giulia Bongiorno, avvocato della presunta vittima e senatrice Lega, 11.7). Ma quando si decidono a separare le carriere di avvocato e di presidente della Commissione Giustizia?

Minolity Report. “Chi sono oggi, secondo Minoli, i più autorevoli giornalisti oggi in Italia?”. “Antonio Polito… è uno di questi” (Giovanni Minoli, Tpi, 27.6). “Morire è come fare l’esame di maturità” (Minoli intervistato da Polito, Sette-Corriere della sera, 11.7). Ma allora è vero che Polito è il più autorevole giornalista d’Italia.

Frittomisto. “La ragione di Stato, detta anche realpolitik, fu teorizzata da Machiavelli 500 anni fa con il famoso ‘il fine giustifica i mezzi’” (Alessandro Sallusti, Giornale, 12.7). Ragione di Stato e realpolitik sono cose diverse e Machiavelli non ha mai scritto “il fine giustifica i mezzi”.

Pro quindi anti/1. “Il M5S ci lascia soli nella battaglia di contenimento della destra” (Nicola Zingaretti, capogruppo Pd al parlamento Ue, Repubblica, 11.7). Per contenere la destra, il Pd vota con FdI e i 5Stelle, complici della destra, contro.

Pro quindi anti/2. “Oggi il voto sulla mozione di sfiducia. Il Pd: ‘Ursula deve darci un segnale’” (Libero, 10.7). Un fischio agli ultrasuoni tipo cani da riporto.

L’europeista antieuropeo. “Il coraggio di Napolitano, il riformista che guidò la svolta europeista del Pci” (Umberto Ranieri, Riformista, 4.7). Infatti ancora nel 1978 era contrario all’ingresso dell’Italia nel Sistema monetario europeo.

Adria’, che te serve? “Violante si dichiarò convinto della mia colpevolezza, perché c’era a provarla ‘una fonte non ostensibile’… Ora, siccome si fa tardi, chiederei a Violante, se non chi fosse la fonte, chi lo avesse detto a lui” (Adriano Sofri, Repubblica, 10.7). O, in alternativa, di inviargli la confessione di Leonardo Marino, le due condanne definitive di Sofri in Cassazione (quella ordinaria e quella che respinge la revisione) e la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che respinge il suo ricorso in quanto “irricevibile”.

Viale del tramonto. “Di prova non ostensibile aveva già parlato anche Marco Travaglio sul Borghese, rivista di chiara impronta fascista, diretta allora da Mario Tedeschi, indiziato, ma non processato perché deceduto, come uno degli organizzatori della strage alla stazione di Bologna. Secondo la versione fornita da Travaglio, subito dopo il suo arresto Ovidio Bompressi, accusato di essere, su incarico di Sofri, il killer del commissario, avrebbe confessato (sarebbe ‘crollato’), ma avrebbe poi ritrattato dopo un incontro in carcere con Marco Boato. Naturalmente, senza che di queste giravolte fosse rimasta la minima traccia nei verbali” (Guido Viale, Unità, 11.7). Naturalmente Travaglio non ha mai collaborato col Borghese di Tedeschi e non ha mai scritto che Bompressi abbia confessato e poi ritrattato. Ha collaborato col Borghese di Daniele Vimercati (cinque anni dopo la morte di Tedeschi) e ha scritto che Bompressi, dinanzi ai magistrati che gli leggevano la confessione di Leonardo Marino, si commosse e si impegnò a parlare, ma poi non lo fece dopo la visita in carcere di Boato. E Bompressi non è stato accusato, ma condannato in via definitiva in Cassazione per aver ucciso Calabresi su mandato di Sofri e Pietrostefani.

I titoli della settimana/1. “Propaganda e odio anti Lgbtq. Cosa resta del ‘caso Bibbiano’” (Domani, 11.7). “Bibbiano, le vere vittime” (Stampa, 11.7). I bambini portati via ai genitori e poi restituiti dopo anni con tante scuse?

Il titolo della settimana/2. “Un’opposizione c’è. Si chiama Renzi” (Foglio, 11.7). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/3. “Non solo Trump. A Milei andrebbe dato il Nobel per l’Economia” (Daniele Capezzone, Libero, 10.7). E la Meloni? E Brunetta?

Il titolo della settimana/4. “Tre ‘visioni’ per fare un figlio” (Cristina Comencini, Corriere della sera, 9.7). Ma tipo Calenda?

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GLI EVASORI PACIFISTI

Editoriale di Marco Travaglio

15 luglio 2025

Torna, a grande richiesta, la “pace col fisco”: il soave eufemismo in dolce stil novo che sostituisce sui media padronali espressioni più rudi, tipo “evasore beccato restituisce il maltolto”, quando c’è di mezzo un Vip. L’altro giorno Ettore Boffano ha rivelato sul Fatto che John Elkann (anche per conto dei fratelli Lapo e Ginevra) ha deciso di versare all’Agenzia delle Entrate 175 milioni di euro tra tasse non pagate e sanzioni, essendo indagato a Torino per truffa allo Stato ed evasione fiscale. Così spera di evitare il processo con la “messa in prova”: cioè a un periodo di lavori forzati socialmente utili. Libero e Giornale hanno ripreso la notizia traducendola in “pace col fisco”, ma senza spiegare chi abbia dichiarato guerra a chi. Per il Corriere Elkann “chiude la vertenza”. Gli stessi titoli alla vaselina riempirono i media quando toccò a star dello sport e dello spettacolo. E quando, vent’anni fa, la Procura di Milano fece sputare una barcata di tasse evase a Intesa San Paolo (270 milioni più interessi), Mps (260), Bpm (170), Credem (53,4), Unicredit (99). Lo Stato recuperò un miliardo di refurtiva, ma la libera stampa fece credere che fosse scoppiata la pace dopo una lunga guerra di trincea. E i banchieri evasori rivendicarono “la correttezza del proprio operato”. Ora il portavoce degli Elkann spiega che hanno sganciato 175 milioni, anzi – pardon – “raggiunto una definizione complessiva delle potenziali controversie attinenti agli oneri tributari su di essi potenzialmente gravanti”, ma “senza alcuna ammissione neppure tacita o parziale della fondatezza delle contestazioni”: solo “per chiudere rapidamente e definitivamente una vicenda dolorosa sul piano personale e familiare”. Non pagavano le tasse e soffrivano pure. Figurarsi ora che devono sborsarle tutte insieme.

Il meglio lo danno Repubblica e Stampa, che hanno Elkann come editore. Due articolini a pagina 17 e 27 con titoli memorabili: “Eredità di Marella Agnelli: intesa tra il fisco e la famiglia Elkann” e “Accordo tra il fisco e la famiglia Elkann per gli oneri sull’eredità di Marella Agnelli”. Come se l’iniziativa l’avesse presa il fisco e non la nota famiglia; e come se le tasse dovesse pagarle Marella da morta, non i nipotini da vivi. Ma nei titoli non si fa alcun cenno all’evasione fiscale: è un accordo, un’intesa sull’eredità per fare pace con quei guerrafondai del fisco a nonna morta. Anzi a donna: il portavoce la chiama “Donna Marella”, sennò poi uno pensa che fosse un uomo. Ora provateci voi, se dovete pagare una multa per divieto di sosta, a dire in giro: “Ho fatto pace col vigile”. Vi rideranno tutti dietro. Perché non siete nel giro giusto. Diceva Trilussa: “La serva è ladra, la padrona è cleptomane”. Il poveraccio che evade è un evasore, il riccastro è un pacifista.

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VIENI AVANTI CREMLINO

Editoriale di Marco Travaglio

16 luglio 2025

Dopo le rentrée, l’anno scorso, della soprano Anna Netrebko alla Scala e del direttore d’orchestra russo Valerij Gergiev a Ravello, si sperava che la ridicola ondata russofoba seguita all’invasione dell’Ucraina fosse finita. E che si tornasse a ragionare con la testa, anziché col deretano, sulla differenza fra un governo e un popolo. Inclusi gli artisti, ai quali va chiesto solo di esibire il loro talento, a prescindere dalle idee politiche, che sono affari loro (poi vorremmo vederli, i nostri intrepidi dissidenti da divano, sfidare Putin a Mosca rischiando la pelle, visto che passano il tempo a leccare il potere persino in Italia rischiando di moltiplicare stipendi e prebende). Invece le Sturmtruppen han ripreso a delirare. Gergiev, cacciato dalla Scala nel 2022, riaccolto a Ravello nel ’24 e ora invitato a Caserta, non deve esibirsi: l’ha ordinato l’ambasciata di Kiev in stereo coi trombettieri Calenda, Picierno, Sensi, Gelmini&C. Non poteva mancare Rep, che otto mesi fa turibolava la Natrebko “regina della lirica, soprano russa senza confronti, voce da brivido, piglio da diva e carisma ammaliante… scoperta dal geniale direttore Gergiev” e ora pubblica una paginata delirante della povera vedova Navalny. Che rimprovera a Gergiev persino “un concerto di propaganda sulle rovine della storica Palmira in Siria”. Ma Palmira e il suo sito archeologico erano stati occupati e distrutti dall’Isis e la riconquista russa fu salutata in Occidente come un trionfo contro il terrorismo. Persino il “liberale” Giuli vede nel concerto con Gergiev una “cassa di risonanza della propaganda russa”. Scemenze che si aggiungono al corso di Nori sul noto putiniano Dostoevskij annullato dalla Bicocca, ai balletti di Cajkovskij – altro complice del Cremlino – cancellati dai teatri, agli autori russi banditi dalla Fiera del libro per ragazzi, agli atleti russi e bielorussi fatti fuori da Olimpiadi e Paralimpiadi, alla quercia di Turgenev espulsa dal concorso Albero dell’Anno, alla Russia estromessa dalle celebrazioni per la liberazione di Auschwitz (noto merito delle truppe ucraino-americane), al Moscow mule ribattezzato Kiev mule, ai gatti russi squalificati dalle fiere internazionali feline per evitare cybermiagolii da guerra ibrida.

Per la cronaca, a Caserta si esibirà anche il direttore d’orchestra israeliano Daniel Oren che nel 1982, dopo la strage di Sabra e Chatila nel Libano occupato da Israele, fu pesantemente insultato al teatro San Carlo di Napoli. Ma stavolta, per fortuna, nessuno dei fanatici che affibbiano a Gergiev le colpe di Putin si sogna di accollare a lui quelle di Netanyahu. Ora Gergiev e Oren potrebbero proporre agli organizzatori un piccolo ritocco al cartellone e dirigere insieme l’unica opera davvero in linea con i tempi: i “Pagliacci”..

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COLPI DI SOLE

Editoriale di Marco Travaglio

17 luglio 2025

Sarà il caldo, ma le fesserie che si sentono e si leggono meritano un premio per la Cazzata del Giorno. Due candidati, uno comico e l’altro serio.

Il ministro Urso accompagna con la scorta all’aeroporto la moglie e il figlio, che saltano la fila. Qualcuno mugugna, Luca Zingaretti denuncia sui social, il ministro dice che ha deciso la scorta per certe minacce alla moglie. E, anziché fermarsi lì, aggiunge un tocco di insaputismo scajoliano: “Ero accanto a mia moglie, ma ho trascorso tutto il tempo al telefono per preparare un incontro sull’Ilva e non mi sono accorto di nulla”. Ecco, Urso non è multitasking: quando telefona, non riesce a fare altre cose e perde pure la vista. Come Fassino che, vittima del perfido telefonino, si ritrovò pure lui in aeroporto e non s’avvide che la sua mano arpionava dallo scaffale del duty free un profumo Chanel e lo infilava nella sua tasca senza pagarlo. Cose che càpitano ai politici monotasking.

Adriano Sofri e il vasto harem amichettista di lottatori continui&affini la menano da giorni contro Violante che non vuole rivelare chi, dopo il suo arresto nel 1988 per l’omicidio Calabresi del 1972, lo convinse che era colpevole con l’impegno a non svelare la sua identità. Ma poi Sofri&C. furono processati in base non a un anonimo, ma a un esecutore materiale del delitto, Marino, che confessò di aver rubato e guidato l’auto del killer Bompressi su mandato di Pietrostefani e Sofri. E i tre vennero condannati in via definitiva dopo 7 gradi di giudizio più 2 di revisione, davanti a ben 69 magistrati e 30 giurati. Già è bizzarro che un pregiudicato per omicidio chieda a un estraneo di rivelargli chi è l’anonimo che lo crede colpevole. Ma, se è così curioso, gli basta dare una ripassatina alle 7 sentenze su 9 a lui sfavorevoli: prove e testimoni con nomi e cognomi. Se poi gli restasse tempo, a proposito di segreti e trasparenza, potrebbe completare un suo strano racconto del 2007 sul Foglio: quello della visita a domicilio che gli fece Federico Umberto D’Amato (capo degli Affari Riservati del Viminale, depistatore di Piazza Fontana, piduista e mandante della strage di Bologna), nel 1975-76, per proporgli “un mazzetto di omicidi con mutua collaborazione e sicurezza dell’impunità”. Perché mai, se Sofri era estraneo al delitto Calabresi, uno così informato chiese proprio a lui di commetterne altri senza timore di essere denunciato o registrato? Perché Sofri non lo svelò subito dimostrando la criminosità dello Stato che diceva di combattere, ma attese 31 anni (e la morte di D’Amato)? Glielo domandò l’ex Lc Erri De Luca: “Mi sorprende che tiri fuori una notizia del genere solo ora e senza circostanziarla. Spero di conoscere i dettagli in una seconda puntata”. La stiamo ancora aspettando.

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CEMENTO MORI

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18 luglio 2025

Non è che Beppe Sala deve dimettersi perché è indagato per falso e induzione indebita (la vecchia concussione per induzione): è che non avrebbe mai dovuto diventare sindaco. Lo candidò nel 2016 il Pd renziano, che se ne infischiò bellamente del suo passato di city manager della giunta di centrodestra Moratti e dell’inopportunità di mandare a Palazzo Marino l’ad e commissario di Expo che dava gli appalti senza gare. Infatti Sala fu subito indagato per falso per aver taroccato le carte del mega-appalto per la Piastra, poi condannato in primo grado e salvato in appello dalla prescrizione. Ciononostante, o proprio per questo, fu ricandidato e rieletto nel 2021. E si scelse l’assessore all’Urbanistica Giancarlo Tancredi, direttore comunale uscente della Pianificazione e valorizzazione aree, in barba alla delibera dell’Anac che vieta agli alti dirigenti pubblici di assumere ruoli politici per l’evidente conflitto d’interessi: ora su Tancredi c’è una richiesta di arresto. Poi Sala confermò a presidente della commissione Paesaggio Giuseppe Marinoni, già indagato per aver taciuto le consulenze da costruttori e progettisti di lavori esaminati dalla sua commissione: ora anche Marinoni ha una richiesta di cattura. E Sala è (di nuovo) indagato per falso perché, conoscendo i suoi conflitti d’interessi, ne attestò l’assoluta assenza. Il tutto per garantire il Partito Trasversale del Cemento fatto di politici, dirigenti, tecnici, costruttori, immobiliaristi, faccendieri, banchieri, archistar e archipippe che infesta Milano (e non solo) deturpando l’ambiente, trasformando catapecchie in grattacieli e case di tre piani in torri di venti, ingrassando i privati amici di destra, centro e sinistra a spese dei cittadini, che ci rimettono miliardi di oneri di urbanizzazione mai pagati perché mai richiesti.

Quel sistema consociativo il Fatto, con Gianni Barbacetto, l’ha denunciato per anni in perfetta solitudine, mentre tutti i media turibolavano il magna-magna alla milanese e candidavano Sala a leader del Pd, o del Centro, o a federatore di “campi larghi”, “tende riformiste” e altre minchiate. Ecco perché solo i 5Stelle chiedono le sue dimissioni, mentre il Pd, i centristi e le destre lo coprono (e quando ti difendono Fassino e Renzi hai un bel problema); perché la Lega gli aveva apparecchiato un “Salva Milano” extra large per esportare il “modello Sala” in tutta Italia; e perché Nordio ricorda al Pd che, senza la sua schiforma, a Milano “sarebbero già tutti dentro”. Come ai tempi di Tangentopoli, destra e sinistra di giorno fingevano di farsi la guerra e di notte si spartivano la torta. Il punto di contatto fra ieri e oggi è il “riformismo”, come i fini dicitori chiamano in dolce stil novo l’orgia tra politica e affari fino all’approdo più naturale: San Vittore.

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COSCA LARGA

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19 luglio 2025

Chi ha davvero bisogno di “vicinanza e solidarietà” non è Beppe Sala, che già vanta un mega-collegio di difensori d’ufficio e di portafortuna (da Renzi a Fassino) grande come un grattacielo. È la povera Elly Schlein, eletta 30 mesi fa dalla base per ripulire il partito dai “cacicchi e capibastone”, che invece la tengono in ostaggio senza farle toccare palla e la costringono pure a baciare la pantofola al sindaco inquisito. Solo tre giorni fa lodava in tv lo spagnolo Sánchez che caccia gli indagati in nome della “questione morale”, diversamente da “questa destra che fa la garantista con gli amici e la giustizialista con gli avversari”. E ora si ritrova a difendere Sala con questa destra che fa la “garantista” per il Partito Trasversale del Cemento. Il mantra è che non basta essere indagati per doversi dimettere. Sacrosanto: si leggono gli atti e si decide se la condotta del politico inquisito è difendibile o meno. E basta leggere gli atti – peraltro anticipati da anni di inchieste del Fatto – per sapere che Sala dovrebbe sloggiare (e da un pezzo) anche se non fosse indagato, per l’impressionante quadro di conflitti d’interessi, affari, malaffari e asservimenti della politica a interessi privati che sarebbero indecenti anche se non fossero reati. Come nel caso Toti, solo che allora Elly sfilò per farlo dimettere, mica gli telefonò vicinanza e solidarietà. È la “questione morale”, non penale, denunciata da Berlinguer a Scalfari del 1981. Ed è il macigno che ostacola qualunque campo largo o alleanza stabile del centrosinistra. Come può una forza legalitaria, sociale e ambientalista qual è il M5S, e per certi versi anche Avs, coabitare con un partito che quasi in ogni regione e metropoli ha messo su sistemi di potere come quello lombardo, ligure, toscano, emiliano, campano, pugliese, calabrese? Può anche deciderlo dal vertice, per i normali compromessi della politica. Ma gli elettori non lo seguono e non votano. La somma non fa il totale. E chi non capisce che Renzi (applauditissimo alla Festa dell’Unità perché difende il modello Sala della città per soli ricchi, perfetto emblema del renzismo), Calenda e altre zavorre fanno perdere più voti di quelli che portano, è il miglior puntello al governo Meloni.

L’alterco in Senato fra 5Stelle e dem parla da sé. La 5S Sironi ricorda le battaglie contro il Sistema Sala e il Salva-Milano di Salvini votato dal Pd. E la dem Malpezzi le si avventa contro accusandola di tradimento: “Se siamo alleati, non ci si comporta così”. Come se le alleanze (peraltro teoriche: a Milano il M5S è all’opposizione) fossero cosche fondate sull’omertà. Infatti Patuanelli la gela: “Se siamo alleati, dovreste chiedere a Sala di dimettersi”. O magari commissionare a un archistar un bel carcere verticale con l’ora d’aria in altura.

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