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Inserito il - 04/06/2025 : 06:10:42
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MALATI DI QUORUM
Editoriale di Marco Travaglio
04 giugno 2025
È vero: fa molto ridere la premier Meloni che va a votare ai referendum per non votare i referendum e lo annuncia nell’89° anniversario del primo referendum, quello del 2 giugno 1946 fra Monarchia e Repubblica. Chi ricopre pubbliche funzioni, tantopiù se in ruoli apicali, dovrebbe sempre invitare a votare e mai ad astenersi. Ma c’è qualcosa di ancor peggiore dell’istigazione all’astensione: lo sdegno selettivo di chi accusa chi la pratica, scordandosi di aver fatto lo stesso. Oggi i radicali, promotori del quesito sulla cittadinanza breve agli stranieri, si stracciano le vesti perché Meloni e La Russa si battono contro il quorum. Ma il primo a farlo fu proprio Pannella nel 1985 sulla scala mobile scassinata dall’amico Craxi. Che a sua volta si suicidò nel 1991 invitando ad “andare al mare” sul referendum elettorale. Nel 1999 Mattarella, vicepremier Ppi del governo D’Alema, quando si votò sulla legge elettorale (la sua: il Mattarellum), pose sullo stesso piano voto e astensione: “Ogni elettore può scegliere cosa fare: votare, non votare, votare sì o no”. Il quorum fu mancato per lo 0,42%. Oggi il Pd tuona contro i filo-astensionisti Meloni e La Russa, ma ha fatto spesso come loro.
Nel 2003 i leader dei Ds Fassino e della Margherita Rutelli e il segretario uscente della Cgil Cofferati invitarono a stare a casa nel referendum di Rifondazione sull’art. 18 nelle piccole aziende. Lo stesso fece il Pd sui quesiti anti-trivelle del 2016: Renzi, segretario e premier, definì il referendum “una bufala” esaltando il non voto come “costituzionalmente legittimo”. E il senatore a vita Napolitano (fino a un anno prima al Quirinale) tuonò contro “l’inconsistenza e la pretestuosità di questa iniziativa referendaria: ci si pronuncia su quesiti specifici che dovrebbero essere ben fondati. Non è questo il caso. Se la Costituzione prevede che la non partecipazione della maggioranza degli aventi diritto è causa di nullità, non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria”. Quando poi l’astensione vinse, il renziano Carbone sbeffeggiò col Ciaone chi era andato a votare, pensando di aver vinto lui. Il Ciaone tornò indietro come boomerang otto mesi dopo, quando il referendum costituzionale senza quorum (comunque votò il 65,47%) rase al suolo la schiforma e il governo Renzi. Anziché giocare al “senti chi parla”, dove non vince nessuno, i partiti dovrebbero riformare i referendum: consentendo anche quelli propositivi oltre a quelli abrogativi; aumentando il numero delle firme da raccogliere (oggi online è più facile); e fissando un quorum più basso, per esempio a metà dei votanti alle ultime elezioni politiche. Nel 1946 votò l’89% degli elettori, nel 2022 il 63,9, nel 2024 il 49,6: se n’è accorto qualcuno?
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Inserito il - 05/06/2025 : 02:03:14
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SICURO È MORTO
Editoriale di Marco Travaglio
05 giugno 2025
Da quando Carletto Mezzolitro Nordio giurò al Quirinale e dalla piazza giurò che “la velocizzazione della giustizia transita attraverso una forte depenalizzazione e quindi una riduzione dei reati”, il suo governo ne ha inventati 62 nuovi di zecca, per un totale di 500 anni di pene detentive. Tutti finti, naturalmente, visto che in Italia si scontano in carcere solo quelle sopra i 4 anni. Il ministro sotto spirito si propose anche di “eliminare il pregiudizio che la sicurezza sia tutelata dalle leggi penali”. Quindi non ha letto il dl Sicurezza approvato ieri, che di quel pregiudizio è la caricatura, con 14 nuovi reati e 9 aggravanti. Punisce condotte che non dovrebbero essere vietate (tipo chiedere l’elemosina; coltivare e vendere cannabis light; contestare grandi opere, ma non medie e piccole; sdraiarsi per protesta su strade o ferrovie). E altre che dovrebbero esserlo, ma con pene proporzionate: chi occupa una casa rischia 7 anni di galera e chi resiste all’arresto 7 anni e mezzo: più di un imprenditore condannato per l’omicidio colposo di un lavoratore.
Poi il governo aggrava giustamente le pene per le truffe agli anziani, ma con un’altra norma mutuata dalla Cartabia le rende più difficili da scoprire: vietando di pubblicare nomi e foto degli arrestati, impedisce a molte vittime di riconoscerli. Ricordate il mantra “garantista” sulla presunzione d’innocenza fino a condanna definitiva? I poveri amministratori locali sospesi per la Severino “solo” perché arrestati o condannati in primo grado? I poveri politici messi alla gogna per un avviso di garanzia? Ora basta aver ricevuto una denuncia (meno di un avviso di garanzia) negli ultimi cinque anni per un reato contro il patrimonio o la persona commesso in una stazione, di treno o metropolitana, per subire dal questore il Daspo che vieta l’accesso a stazioni, porti e aeroporti. E chi lo ignora si becca fino a un anno di galera. In compenso agenti e militari, che diversamente dai cittadini comuni devono far rispettare le leggi, non saranno più sospesi automaticamente se saranno indagati per averle violate contro cittadini innocenti. E le loro spese legali le pagherà lo Stato. Cioè noi. Ciliegina sulla torta: le intercettazioni – che per mafiosi e colletti bianchi sono sempre più difficili, per non parlare dei sequestri di telefonini – vengono estese a un reato di straordinario allarme sociale: l’“accattonaggio organizzato”. Queste e altre baggianate fanno dire alla premier Meloni che “ora i cittadini onesti sono più sicuri”. Nelle stesse ore l’ex sindaco di Foggia viene assolto dall’accusa di illecita assegnazione di case popolari perché il governo ha depenalizzato l’abuso d’ufficio. Però la sua sicurezza è aumentata un sacco. Quella dei cittadini onesti un po’ meno.
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Inserito il - 06/06/2025 : 03:35:25
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CALMA, C’È TEMPO
Editoriale di Marco Travaglio
06 giugno 2025
Se i trombettieri della fu Europa che popolano i talk show e le marcette ventoteniche (a proposito: e la terza?) fossero al governo, farebbero un decreto Sicurezza con un nuovo reato al posto dei 14 inventati dalle destre: il “vilipendio di Ue” (peraltro già incluso nel vilipendio di cadavere). Non avendo ancora elaborato i lutti della vittoria di Trump e della sconfitta di Nato, Ue e Ucraina contro la Russia, si sono autonominati apostoli, apologeti, catechisti e omileti dell’Euro-Verbo: la Buona Novella della beata Ursula e dei suoi beoti discepoli a base di armi, minacce e preparativi di guerra. Con grave sprezzo del ridicolo, della logica e del principio di realtà, non ammettono critiche alla Sacra Unione e ne cantano le laudi da mane a sera: mani giunte, edicole e reti unificate. Ogni pallido dubbio o timida obiezione diventa bestemmia, blasfemia, eresia, seguita da scomunica. La scorsa settimana, quando la pia Kallas pigolò qualche frase di circostanza su quei birbantelli di Netanyahu&C. che sterminano i palestinesi, sacerdoti e vestali dell’Euro-Verbo s’illuminarono d’immenso per il prodigioso Risveglio d’Europa, fingendo di non sapere che a Bruxelles e dintorni si stavano solo parando il deretano per non farsi scavalcare da Trump. Il 20 maggio la Kallas dichiarava: “A Gaza la situazione è catastrofica. Una forte maggioranza vuole la revisione dell’accordo di associazione con Israele”. Ma in due settimane non è accaduto nulla e l’accordo è sempre attivo. Il 9 aprile Macron annunciava che la Francia, come diversi altri Paesi, avrebbe riconosciuto lo Stato Palestinese (mossa simbolica, priva di conseguenze pratiche). Ma in due mesi non è successo niente. Però, dài, lui ha fatto bella figura. Il governo italiano continua a mentire, negando di trafficare in armi con Israele ed esportandovi droni, jet, radar e munizioni. La Germania, in 20 mesi, ha fornito a Tel Aviv armi per 485 milioni e non intende smettere, però il ministro degli Esteri Wadephul le canta chiare: “Bisogna esaminare se ciò che sta accadendo a Gaza sia conciliabile con il diritto internazionale umanitario. Sulla base di questa verifica, approveremo ulteriori consegne di armi, se necessario”. Mentre lui esamina e verifica, pure l’Olanda dà una mano agli stragisti con cani militari e componenti di F-35. L’unico che fa qualcosa è lo spagnolo Sánchez, che la Palestina l’ha riconosciuta un anno fa e ora, con molta fatica, ha annullato l’acquisto di 168 sistemi di tiro e 1.680 missili anticarro Spike LR2 israeliani, ma non i 45 contratti aggiudicati a imprese di Tel Aviv dal 2023. Intanto l’Ue, che la scorsa settimana ha varato in fretta e furia il 17° pacchetto di sanzioni alla Russia, ieri ha già annunciato il 18°: è la famosa Europa “a due velocità”.
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Inserito il - 07/06/2025 : 04:11:50
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ANCHE L’ÉLITE S’INCAZZA
Editoriale di Marco Travaglio
07 giugno 2025
Le balle della propaganda euro-riarmista sono così indecenti da far ribellare pezzi sempre più pregiati dell’establishment. Carlo Messina, Ceo di Intesa San Paolo, dice alla Stampa: “Davvero dobbiamo temere che 150 milioni di russi possano invadere l’Europa, dove vivono 450 milioni di persone? Vedo altre emergenze: i giovani, la povertà… che dovrebbero essere centrali per governi europei e grandi aziende… Non possiamo avere come unico tema di dibattito pubblico l’incremento degli investimenti nella Difesa… Cerchiamo di guardare le cose con un po’ di buonsenso”. Il primo a rompere il fronte fu tre mesi fa Carlo Cottarelli con la forza dei dati: nel 2024 la spesa militare europea a parità di potere d’acquisto ha toccato i 730 miliardi$, il 58% in più dei 462 russi; escludendo i Paesi europei extra-Ue e limitandosi ai 27, si arriva a 574,5 miliardi, il 18,6% più della Russia. Dunque “il 3% del Pil voluto dalla Nato (che intanto è passata al 5%, ndr) equivale a un aumento del 50%”.
Poi ha parlato Fabio Panetta, governatore di Bankitalia: il Rearm Eu da 800 miliardi “si basa su fondi nazionali e prestiti, anziché su spese europee e trasferimenti finanziati con risorse comuni. Questo approccio rischia di accrescere le disuguaglianze tra Paesi e ridurre l’efficacia della spesa”. Serve invece “un programma unitario, sostenuto da debito europeo”, perché “a livello nazionale gli investimenti per crescita e spesa sociale non vanno penalizzati dallo sforzo per la sicurezza esterna”. E comunque “la promozione della cooperazione internazionale e della pace deve restare il cardine dell’azione europea”. Parole che fanno a pugni con la filosofia di Ursula&C. e dei retrostanti Fmi e Bce. Infatti, a parte il Fatto, nessun giornale, nemmeno quelli che di Bankitalia raccolgono pure i sospiri e gli starnuti, le ha ritenute degne di uno straccio di titolo. E ora ecco Messina: riconosce l’esigenza di un “sistema di difesa integrato” (l’opposto del riarmo dei singoli Stati, ’ndo cojo cojo), ma chiede anzitutto “un grande piano di investimenti comuni in tecnologia, energia e infrastrutture”: quello sì garantirebbe all’Ue “un ruolo nelle sfide del mondo globale”. Non certo “riconvertire vecchie fabbriche per costruire armi convenzionali”: “In Italia ci sono 6 milioni di persone in condizioni di povertà assoluta e 10 milioni che non possono permettersi un imprevisto in famiglia da 500 euro… Come spiegare a persone che non arrivano alla fine del mese che la priorità è investire in Difesa?”. Così si “alimentano i sovranismi”, vedi Trump che “ha saputo parlare al forgotten man”: ai dimenticati. Ora aspettiamo con ansia che qualche imbecille iscriva anche il primo banchiere italiano nella lista dei trumputiniani.
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Inserito il - 08/06/2025 : 03:18:42
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NON ERA VERO NIENTE
Editoriale di Marco Travaglio
09 giugno 2025
La rissa da vaiasse che ha chiuso, per ora, la liaison fra Trump e Musk, al netto degli egotismi e della ketamina, rade al suolo mesi di analisi dei famosi “esperti”. Che, come sempre, non ne hanno azzeccata una.
1. Per due anni hanno ignorato la fine della democrazia Usa sotto Rimbambiden, teleguidato da un’oligarchia di fantasmi mai eletti che pilotava le sue scelte e quindi quelle dell’Ue, nascondeva l’inabilità del presidente e accusava chi la evocava di diffondere fake news trumpiane e/o putiniane. Poi ci hanno raccontato che la democrazia l’aveva uccisa Trump, abolendone i pesi e i contrappesi e inaugurando la tecnodittatura. Ora si scopre che pesi e contrappesi continuano a funzionare: decine di giudici contro gli ordini esecutivi di Trump sui rimpatri dei migranti e sui dazi, che quando li firmava Biden filavano lisci come l’olio; le lobby del pubblico impiego contro i tagli di Musk; il Congresso che giustamente fa le pulci al bilancio; persino la Cia che sa degli attacchi ucraini alla triade nucleare russa, ma li nasconde al presidente.
2. Ci hanno raccontato che Trump è un fantoccio degli oligarchi Big Tech, da Musk a Zuckerberg a Bezos &C., che gli danno ordini e fanno soldi a palate, come se il loro conflitto d’interessi non esistesse quando finanziavano i Dem. Ora si scopre che, tra il più potente e il più ricco del mondo, comanda il primo: quello eletto (il “primato della politica”). E il mega-conflitto d’interessi di Musk ha funzionato all’incontrario, visti i miliardi persi in Borsa e nei fatturati del suo impero.
3. Ci hanno raccontato che Trump ha riunito un’Internazionale sovranista-populista-liberista delle destre-destre, dai Maga trumpian-muskiani a Milei a Meloni&Salvini a Le Pen ad Afd a Vox a Farage a Orbán, col solito Putin dietro la porta, per scardinare l’Ue e controllare il mondo. Ora si scopre che, come già B., Trump non è né di destra né di sinistra: bada al suo elettorato di ceti medio-bassi, esclusi operai, licenziati, minoranze etniche. Tra l’ideologia e gli interessi della base, sceglie i secondi. Nulla a che vedere con la motosega iperliberista da massacro sociale e tagli selvaggi a sanità, pensioni e spesa pubblica cara a Milei e Musk. Che infatti ha rotto con lui proprio su questo. E pure sui dazi, che il globalista Elon detesta perché fa affari ovunque, mentre Donald è un protezionista incallito. Ancora pochi giorni e i sinceri democratici torneranno a guidare Tesla, ad abbonarsi a Starlink, a guardare rapiti verso Marte e proporranno di “ripartire da Musk”, non più sc**o cattivo, ma di nuovo genio buono. Come dice Ennio Fantastichini in Ferie d’agosto: “Voi v’atteggiate tanto, parlate così sofistici… Ma la verità è che nun ce state a capì più un c***o, ma da mo’!”.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
Editoriale di Marco Travaglio
09 giugno 2026
Ollio e Ollio. “Renzi a Calenda a Milano: ‘Due popoli e due stati’” (Repoubblica, 7.6). Uno per Renzi e uno per Calenda.
Un grande vuoto. “Oggi, a piazza San Giovanni, non ci saremo” (Michele Magno, Riformista, 7.6). Ma infatti, in piazza era tutto un passaparola: “Ma ‘ndo sta Michele Magno? E soprattutto: chi c***o è?’”.
Strepitoso successo. “La città che cambia. Giubileo, corsa contro il tempo per chiudere metà dei cantieri. Resta il 54% da finire” (Corriere della sera, 4.6). Con calma, tanto il Giubileo è iniziato appena sei mesi fa e finisce tra soli sei mesi.
Bis. “Gualtieri all’evento del Messaggero: ‘Roma pensi in grande: modello Giubileo bis’” (Messaggero, 5.6). Grazie, ma ci è bastato il primo.
La valanga. “Travolti dalle adesioni. Già oltre duemila firme sotto scrivono l’appello ‘Dalla parte di Israele’” (Riformista, 4.6). Transennate la buca delle lettere.
Gentildamus. “Se confermata dai risultati finali, la vittoria del sindaco di Varsavia Trzaskowski, e di Tusk, sarebbe un duro colpo all’offensiva per esportare i valori Maga in Europa” (Paolo Gentiloni, Repubblica cartacea, 2.6). “In Polonia, al contrario di quanto era avvenuto in Canada e in Romania, il candidato di Donald Trump ha avuto la meglio, contraddicendo i primi exit poll” (Gentiloni, Repubblica web, 2.6). E pazienza, è andata così.
Rigor Pauli. “Gentiloni, il Calmo. Non dice come vota al referendum (ma vota) e fa asse con Fitto. Il suo ‘grande’ futuro” (Foglio, 3.6). Pare che dorma.
Non vale. “Tajani cerca un ‘dialogo’ con Tbilisi. L’eurodeputata lituana del Ppe: ‘Non cedete al governo georgiano’” (Foglio, 5.6). Se passa l’idea che vince chi ha più voti, è la fine.
È fatta. “Kiev, la mossa perfetta. Putin non può più imporre la sua pace” (Stefano Stefanini, Stampa, 7.6). “La Russia ora è più debole” (Messaggero, 3.6). “La guerra è un vero disastro per l’armata russa” (Dubbio, 5.6). “L’operazione Ragnatela ha cambiato la guerra. L’attacco ucraino in Siberia ha spezzato l’attuale ritmo di lanci missilistici delle forze armate di Mosca” (Domani, 7.6). “Il Cremlino è ridotto a una tigre di carta. Ora l’Ucraina può vincere” (Bernard-Henry Lévy, Stampa, 8.6). “Kharkiv, l’attacco più duro” (Stampa, 8.6). “Kharkiv, missili a raffica” (Repubblica, 8.6). “Ondate di missili russi più potenti per terrorizzare l’Ucraina” (Repubblica.it, 7.6). “Attacchi su Kharkiv e Kherson: ‘Tra i più potenti finora’” (Corriere.it, 7.6). Ma vi drogate?
Il passante. “Caltagirone: ‘Nuove regole per cambiare. Rompere con gli interessi particolari’” (Messaggero, prima pagina, 6.6). Per dire gli interessi particolari, c’è persino qualche malalingua che insinua qualche interesse di Caltagirone nel Messaggero.
La confessione. “Zelensky: ‘Chi dà alla guerra più tempo è complice di Putin’” (Ansa, 6.6). Ma quindi Zelensky e l’Ue sono complici di Putin?
La pistola fumante/1. “Ermanno Cappa, l’influente e austero avvocato sulla rubrica dell’amata nipote Chiara – che da sempre lo ‘idealizza’ come preciserà Stasi – è presente come ‘Zio Erman’ o ‘Erman Uff’ con ben cinque numeri. Tre dell’ufficio a Milano e due cellulari. E un secondo apparecchio, ‘apribile e di piccole dimensioni’, avrebbe pure Chiara a sentire la sua collega d’ufficio Francesca Di Mauro” (Repubblica, 1.6). Beh, se la nipote ha memorizzato i numeri dello zio, è ovvio che Stasi non può averla uccisa.
La pistola fumante/2. “E papà Cappa disse a Stefania: ‘Quel cretino lo incastreranno’” (Repubblica, 3.6). Quindi non ci piove: se è cretino, è innocente.
La pistola fumante/3. “Garlasco, ecco gli audio di Sempio: ‘I magistrati vogliono finire in fretta’” (Repubblica, 4.6). Beh, ma allora è chiaro che l’assassino è lui.
Legalizzare la mafia. “La bufala sulla ‘legalizzazione del terrorismo di stato’ e il vero ruolo dei servizi segreti. Parla Mori” (Foglio, 6.6.). Preferiva quando si legalizzava la trattativa Stato-mafia.
Rivedere. “Ora voglio rivedere il codice di procedura” (Carlo Nordio, ministro FdI della Giustizia, Stampa, 6.6). Ecco, bravo, ridagli un’occhiatina, così magari ti ricordi qualcosa.
Il titolo della settimana/1. “Salis, immunità a rischio. ‘È una persecuzione’” (manifesto, 5.6). No, è un processo.
Il titolo della settimana/2. “Due popoli, due stati. Il mantra europeo gradito a Hamas” (Giuliano Ferrara, Foglio, 2.6). Ma non era gradito all’Onu dal 1947?
Il titolo della settimana/3. “L’Europa è davanti a una svolta epocale. Ma il monito di Draghi resta inascoltato” (Alessandro Penati, Domani, 2.6). Oh no, e adesso come facciamo?
Il titolo della settimana/4. “Brusca è libero: ma rimane il pentito che compiace i pm” (Dubbio, 6.6). Perché si ostina a dire la verità.
Il titolo della settimana/5. “Salvini: ‘Ponte sullo Stretto al via entro l’estate’” (Verità, 6.6). Ma si scorda sempre di precisare l’anno.
Il titolo della settimana/6. “Meloni-Macron, lunga vita all’agenda Macroni” (Foglio, 4.6). È sepolta accanto all’agenda Draghi.
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L’ASTICELLY
Editoriale di Marco Travaglio -
10 Giugno 2025
Fra i tanti errori commessi da chi ha promosso i cinque referendum miseramente falliti ieri, non c’è quello di averli promossi. Quando nacque l’idea, i cinque quesiti furono pensati come vagoni da agganciare alla locomotiva dell’Autonomia differenziata: la secessione dei ricchi che avrebbe mobilitato la maggioranza degli elettori, anche al Sud. Rottamata la motrice, per la bocciatura della Consulta alla legge Calderoli, le carrozze sono rimaste senza traino. Ma non si potevano più ritirare i quesiti superstiti: tutti importanti, soprattutto sul lavoro, ma per un numero troppo esiguo di elettori. Che a votare vanno ancora, anche ai referendum, ma solo quando si riesce a mobilitarli su temi cruciali e con campagne chiare: per tagliare i parlamentari (anche se non c’era quorum) nel 2019 votò il 51,1%, contro la privatizzazione dell’acqua e il nucleare nel 2011 il 54,8. Ma il mondo del lavoro è troppo frastagliato per trascinare alle urne un italiano su due contro l’ignobile Jobs Act. E la cittadinanza breve agli immigrati interessa perlopiù ai soliti radicali fuori dal mondo. Però la sconfitta, pur scontata, poteva essere un blasone da anime nobili. Invece è diventata una farsa quando la Schlein e i suoi han cominciato a vaneggiare di “asticelle” per trasformarla in una vittoria e persino in una spallata al governo Meloni (che non c’entra nulla con le norme che si volevano abrogare). Un penoso tentativo di nascondere la tragicomica contraddizione del Pd che chiedeva di abrogare una legge fatta dal Pd.
L’idea malata era che, superando i 12 milioni di Sì, si sarebbe sorpassata la Meloni. Quindi, siccome hanno votato in 15 milioni (quasi tutti per il Sì, salvo sulla cittadinanza), è stato un trionfo. Peccato che da oggi anche questo referendum sarà archiviato come un flop, mentre tutti rideranno all’idea che Pd, M5S, Avs, +Europa, ma anche Iv e Azione (che invitavano comunque a votare un po’ Sì un po’ No), dati da Ipsos al 49,6%, esultino per il 30. È la solita follia di sommare le mele, le pere e le patate, dimenticando che ogni elezione fa storia a sé. Nel 2016 Renzi invitò all’astensione sulle trivelle, poi votò il 31,1 e lui tra un ciaone e l’altro si illuse che il 68,9 rimasto a casa fosse tutta roba sua: infatti due anni dopo il suo Pd precipitò al minimo storico del 18,7. Ora è ancor più ridicolo appropriarsi di un misero 30% di votanti, dando l’idea che il centrosinistra sia tutto lì. O riattaccare la pippa del “si vince al centro” cara alla destra Pd, ai renziani e ai calendiani, peli superflui che non sarebbero decisivi neppure nei rispettivi condomini. Così com’è una barzelletta la destra che si appropria del 70% di astenuti solo perché Meloni, La Russa&C. spingevano il non voto. Ma questa gente ci è, ci fa, o si droga?
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SHAMPOO LARGO
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11 giugno 2025
Come sempre accade quando un risultato elettorale non collima con le proprie aspettative, la tentazione è prendersela con gli elettori. Nel caso degli ultimi referendum, con quei buzzurri che non hanno votato o hanno votato No a dimezzare i tempi per la cittadinanza agli stranieri. Ora, non è affatto vero che gli elettori hanno sempre ragione. Ma la democrazia si fonda sulla convenzione che ce l’abbiano, perché decidono loro: gli elettori, non gli eletti. Il che vale tantopiù per la democrazia diretta del referendum. Se si chiamano i cittadini a rispondere a un quesito, il peggior modo di offenderli è screditare la loro risposta. O manipolarla come se si riferisse a un’altra domanda. Sulla scheda non c’era nulla che riguardasse il governo Meloni: c’erano quattro quesiti sul lavoro e uno sulla cittadinanza agli immigrati. Al netto della scarsa informazione tv, chi li ha promossi dovrebbe domandarsi perché è riuscito a mobilitare solo il 30,6% degli elettori. E poi spiegare perché, invece di illustrare i motivi per cancellare quelle cinque norme, ha spacciato il voto per un sondaggio sul governo Meloni. Che non c’entrava nulla con le norme da abrogare (il Jobs Act lo fece lo stesso Pd che ora vuole abolirlo e i tempi della cittadinanza il Pd e i radicali hanno avuto molti anni per modificarli). Infatti ora i melones usano quell’assurda propaganda referendaria per fingere di aver vinto dei referendum in cui erano coinvolti solo come guardoni.
Siccome non c’è limite al peggio, Schlein, Boccia&C. insistono a inventarsi un mini-quorum per trasformare i referendum in un test sul Campo largo, altra creatura fantasy ignota ai più. Tra i papaveri del Pd non ce ne sono due che abbiano votato allo stesso modo, per non parlare di Azione, Iv e +Europa. C’è persino chi si indigna perché il 35% dei votanti dice No alla cittadinanza accelerata per stranieri. E sono quasi tutti elettori di centrosinistra, figurarsi se avesse votato pure la destra: uno shampoo epocale. Magari gli elettori non sono illuminati come gli eletti. Ma se gli eletti li chiamano a pronunciarsi, non possono poi trattarli come dei baluba. O fare ridicole polemiche col M5S perché lì hanno lasciato libertà di voto. E dove sta scritto che dovessero dire Sì? E davvero si pensa che, se l’avessero fatto, gli elettori li avrebbero seguiti? Basta uscire dalle Ztl e parlare con le persone normali per sapere che hanno urgenze diametralmente opposte a quelle dell’élite politico-giornalistico- intellettuale che mena le danze. E non sono fascisti, ma sinceri democratici. Si può anche decidere di trattarli da fascisti e rinunciare ai loro voti. Ma non ci si può stupire se la pensano così: conoscere i propri elettori non è obbligatorio, però alle volte aiuta.
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VINCERE O PARTECIPARE
Editoriale di Marco Travaglio
12 giugno 2025
Per rendere un po’ meno inutili i referendum falliti, il centrosinistra potrebbe usarli per farsi un’idea dei suoi elettori e di quelli che potrebbe strappare alle destre e all’astensione. Basta incrociare i dati dell’Istituto Cattaneo e le cronache dalla California: la rivolta dei migranti contro le espulsioni trumpiane, la repressione militare disposta dal presidente e la reazione dei Dem che governano lo Stato. Trump è una caricatura vivente che può avere persino una sua utilità: è un pantografo che ingigantisce tutto in scala 100 a 1 e fa vedere meglio come si muovono le cosiddette destre sovraniste e populiste, ergo come si dovrebbe combatterle. La California ricca e democratica è come le nostre Ztl: lì i migranti non sono un problema. Ma gli elettori californiani sono un’inezia rispetto all’America profonda degli esclusi, invisibili, insicuri, persino dei migranti di penultima generazione che temono quelli di ultima perché minacciano il poco che si sono conquistati. Trump, in crisi sull’economia, su Musk e sugli esteri, non vedeva l’ora di spostare lo scontro sul terreno della lotta ai clandestini. E i Dem, prevedibili con i loro tic elitari e woke, sono subito caduti nella sua trappola consentendogli di spacciarli come complici dell’“invasione” selvaggia e violenta e di accreditarsi come tutore dell’ordine. In Italia, alla cittadinanza accelerata agli stranieri, ha detto No il 34,6% dei votanti, quasi tutti di centrosinistra, anche se Pd, Iv, Azione, Avs e +Europa erano per il Sì e solo il M5S lasciava libertà di voto: contrari il 60% dei 5S e il 15-20 dei pidini. Il No, bassissimo nei centri storici delle metropoli (le Ztl), cresce a mano a mano che ci si avvicina a quartieri popolari, periferie e comuni medio-piccoli. Chi fa politica alla De Coubertin, per partecipare senza porsi il problema di vincere, può infischiarsene. Ma chi ripete di voler mandare a casa Meloni & C. dovrebbe occuparsi un po’ più degli elettori e un po’ meno dei campi larghi (difficile spiegare la logica di proporre referendum per fare a pezzi il Jobs Act di Renzi e poi di allearsi con Renzi). Gli elettori, di destra ma pure di centrosinistra, vogliono politiche meno lassiste sull’immigrazione. Quindi, o si rinuncia ai loro voti, o si propone qualcosa di opposto al referendum dei radicali fuori dal mondo. Non si tratta di copiare le ricette delle destre, come i governi di centrosinistra sprovvisti di un’idea propria (l’unica differenza è che, quando Trump respinge i clandestini, si parla di deportazioni e svolta autoritaria; quando lo fanno Obama, Biden, Macron, Starmer, Sánchez e Tusk, si parla di rimpatri). Si tratta di darsi una linea rigorosa e pragmatica e poi spiegarla con parole chiare e comprensibili. Sennò alle prossime elezioni è inutile partecipare.
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NOVITÀ DAL FRONTE EST
Editoriale di Marco Travaglio
13 giugno 2025
Accecati dalla logica binaria da curve ultrà – Impero del Bene/Impero del Male, filoucraini/putiniani, democratici/trumpiani, europeisti/sovranisti, riformisti/populisti – rischiamo di perderci la realtà che, almeno fuori dall’Italia, è in continuo movimento. Nella Germania del cancelliere Merz che promette “l’esercito più grande d’Europa”, butta mille miliardi nel riarmo, straparla di truppe a Kiev con gli altri “volenterosi” e attende con ansia i nuovi euromissili da puntare contro Mosca, un gruppo di deputati dell’Spd sua alleata spacca il Partito Unico della Guerra e firma un documento con la colomba della pace nel logo del partito: no al riarmo, al 5% di Pil in spese militari e agli euromissili Usa, sì a negoziati con la Russia per tornare all’ostpolitik da Brandt alla Merkel. Un nein grosso così alle politiche di Merz&Ursula, ma soprattutto dei socialdemocratici Klingbeil (vice-cancelliere e ministro delle Finanze) e Pistorius (Difesa), che agitano lo spaventapasseri dell’imminente invasione russa per ingrassare Big Arma. I pacifisti Spd chiedono che “il rispetto del diritto internazionale in Ucraina sia legato ai legittimi interessi di sicurezza e stabilità di tutti gli Stati”, inclusa la Russia, e definire “un nuovo ordine senza l’uso della forza”. È ciò che chiede la sinistra alternativa di Sahra Wagenknecht, scomunicata come populista, sovranista e putiniana: se i dissidenti dell’Spd votassero in dissenso, il traballante Merz avrebbe qualche problema in più, con un bell’effetto domino sulle Euro-Sturmtruppen.
Qualcosa si muove anche in Polonia, dove il governo dell’europeista “liberale” Tusk contende ai tedeschi e ai baltici il primato delle fregole guerrafondaie. Dopo la sconfitta del suo candidato alle Presidenziali, vinte da quello di destra Nawrocki (contrario a inviare truppe all’Ucraina e a farla entrare nell’Ue e nella Nato), Tusk ha riavuto la fiducia in Parlamento con un interessante discorso: “So bene cosa significa l’immigrazione illegale per il futuro della Polonia, dell’Europa e della nostra civiltà. Farò tutto il possibile per ridurre l’immigrazione praticamente a zero: ogni giorno effettuiamo deportazioni di migranti” e alla frontiera bielorussa “tutto è monitorato con droni, telecamere e soldati: abbiamo costruito una vera barriera, la cui efficacia è aumentata dal 30 al 98%”. È il muro anti-migranti eretto dal precedente governo di destra “sovranista”, che Tusk si vanta di aver potenziato. Poi annuncia controlli al confine tedesco e la revoca dell’accordo con la Georgia che consente ai suoi cittadini di entrare in Polonia senza visto. Più “deportazioni” per tutti. Fortuna che chi parla è un europeista liberale, sennò l’avrebbero già sbattuto fuori dall’Europa.
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NON IN NOSTRO NOME
Editoriale di Marco Travaglio
14 giugno 2025
Benjamin Netanyahu, il più efferato terrorista del mondo che governa Israele, è riuscito a rinviare un’altra volta la sua fine politica con l’unico sistema che conosce: la guerra. Solo che ora la sua guerra privata – mascherata da legittima difesa contro l’Impero del Male degli ayatollah che pretendono di avere l’atomica come Israele, ma per l’Impero del Bene c’è chi può e chi non può – rischia di trascinare i suoi alleati nel terzo conflitto mondiale. Che, se dipendesse da lui, sarebbe già scoppiato. In 20 mesi ha aperto sette fronti in casa d’altri come se fosse a casa sua: Gaza, Cisgiordania, Iran, Libano, Siria, Iraq, Yemen. Ma nessuno dei suoi alleati, a parte i fervorini e le condanne a parole, ha fatto nulla per prenderne le distanze. La litania dell’aggressore e dell’aggredito vale per la Russia e l’Ucraina, non per Israele e i suoi vicini: altrimenti Tel Aviv avrebbe subìto sanzioni ben più devastanti di quelle che hanno colpito Mosca. Invece siamo sempre a zero. Si dirà: ma Israele è alleato di Usa e Ue. Vero, ma proprio questo è il guaio: se fosse nostro nemico potremmo cinicamente ignorare i suoi massacri. Ma proprio perché è amico non possiamo: ci rende complici dei suoi crimini e ci infila nel mirino del terrorismo islamico, oltreché dell’Iran&C.. Che, se dovranno scegliere chi colpire, partiranno da chi è più vicino o meno lontano da Netanyahu. Trump, che tentava di risolvere la questione del nucleare iraniano col negoziato, coinvolgendo le satrapie sunnite e dietro le quinte Putin e Xi, prende le distanze dall’attacco. Ma non molla l’alleato fuori controllo che gli bombarda il tavolo (uno dei bersagli è il negoziatore di Teheran) e lo tira per il ciuffo verso la guerra totale. Ma il caso più incredibile sono l’Ue e l’Italia. Anziché inseguire i ridicoli fantasmi dell’invasione russa provocando Mosca con un folle riarmo, dovrebbero prendere atto che la vera minaccia viene da Israele, che ci mette contro il Medio Oriente e il Nordafrica. Quindi chiudere al più presto la guerra in Ucraina; riallacciare rapporti decenti con Russia e Cina; rompere ogni rapporto con Tel Aviv finché sarà governato dal terrorista; e coinvolgere le tre grandi potenze in un negoziato globale che incolli i cocci della guerra mondiale a pezzi prima che sia troppo tardi. Invece, dopo i pigolii tardivi su Gaza, tornano armi a bagagli dalla parte di Bibi. L’Italia, fin dagli anni 70, si è costruita un ruolo di ponte fra l’Occidente e il mondo arabo ed è stata sempre l’ultimo obiettivo del terrorismo islamista. Ora la linea di Meloni, Tajani&C. disegna un bersaglio sulla schiena di tutti noi cittadini. Se questi sovranisti della domenica non hanno osato finora condannare Netanyahu per i gazawi sterminati, lo facciano ora almeno per noi italiani.
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C’ERA UNA VOLTA ISRAELE
Editoriale di Marco Travaglio
15 giugno 2025
Per chi vuole capire cos’era Israele e cos’è diventato con Netanyahu e la sua cricca, è perfetto il film Golda con la strepitosa Helen Mirren nei panni di Golda Meir, uscito due anni fa e ora approdato su Prime. Racconta il dramma della vecchia premier laburista e del suo popolo, colti di sorpresa dall’attacco egiziano e siriano il 6.10.1973, festa di Yom Kippur. Anche allora Israele è in guerra, come dal giorno della sua nascita, 14.5.1948. Ed è solo contro tutti, col timido appoggio degli Usa di Nixon in pieno Watergate. Ma quella per lo Stato ebraico è davvero una guerra di sopravvivenza, la terza e ultima in 25 anni. Dopo gravi rovesci nel Sinai e nel Golan, Israele contrattacca con il temerario Sharon, che attraversa il canale di Suez e marcia verso il Cairo finché Usa e Russia lo fermano per evitare che la guerra diventi mondiale. Sadat, il rais egiziano, passato da vincitore a sconfitto, accetta di negoziare il cessate il fuoco con la Meir chiamandola “premier di Israele”, non più dell’“entità sionista”. “Ha detto proprio Israele?”, domanda lei al messaggero. “Sì, ha detto Israele”. Golda brinda commossa con i suoi: dopo un quarto di secolo, un leader arabo riconosce il diritto degli ebrei al loro Stato nei confini fissati dall’Onu nel ’47. Quindi Israele restituirà all’Egitto le terre strappate sei anni prima nella guerra dei Sei Giorni. La pace la siglerà il successore della Meir, Menachem Begin, ex terrorista sionista e leader del Likud, il 17.9.1978. E Golda morirà in pace tre mesi dopo. Col rimorso di non avere prevenuto l’attacco del Kippur, ma con la serena certezza di avere garantito un futuro più pacifico e sicuro al suo popolo.
Mezzo secolo dopo, al posto di Meir e Begin, siede da 15 anni la loro antitesi: Benjamin Netanyahu, che non fa guerre di sopravvivenza (quella di Israele non può più insidiarla nessuno), ma di aggressione; non scambia territori con pace e sicurezza, ma ruba e attacca territori altrui in cambio di guerre e insicurezza; non mutila le sue vittorie per evitare il conflitto mondiale, ma fa di tutto per scatenarlo accumulando sconfitte; non tratta con i nemici per conviverci, ma ne inventa sempre di nuovi per vivere in guerra permanente, sabotando financo i negoziati avviati dagli Usa e mettendo in pericolo il suo popolo e quelli alleati; non isola Israele perché è aggredito da tutti i vicini, ma perché aggredisce tutti i vicini; non pensa mai al meglio per Israele, ma solo per se stesso, sterminando decine di migliaia di innocenti e incendiando l’intero Medio Oriente per salvarsi la poltrona. Ora, con 200 atomiche in tasca, vuol impedire all’Iran di farne una. Cita le accuse dell’Aiea che non riconosce. E si appella agli iraniani perché rovescino il loro governo di terroristi. Prima che gli israeliani lo facciano col suo.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
Editoriale di Marco Travaglio
16 giugno 2025
Bombe pacifiste. “Israele è determinato a portare la pace in Medio Oriente: per farlo deve disinnescare la bomba iraniana. Oltre 200 caccia israeliani sono stati coinvolti questa notte nei primi attacchi contro l’Iran, sganciando oltre 330 bombe su circa 100 obiettivi” (Aldo Torchiaro del Riformista, X, 13.6). Meno male: pensa se voleva portare la guerra.
Bombe democratiche. “Israele attacca l’Iran. Guerra al male. Un avvertimento ai regimi in nome della democrazia” (Alessandro Sallusti, Giornale, 14.6). In pratica, li avvertiamo che siamo peggio di loro.
Bombe anti-rappresaglia. “Dalla parte di Israele contro la rappresaglia atomica dei mullah” (Foglio, 14.6). Diavolo di un Bibi: ha bombardato l’Iran per difendersi dalla rappresaglia iraniana che è arrivata dopo.
Il piccolo chirurgo. “Israele contro l’Iran: l’attacco è chirurgico” (Daniele Capezzone, Libero, 14.6). È il chirurgo che è ubriaco.
Ha stato l’Iran. “L’Iran risponde a Israele. Medio Oriente in guerra” (Repubblica, 14.6). Ma è tornato Sambuca Molinari?
Cicciobomba pacifista. “Intercettato da Karaoke Reporter, il ministro della Difesa Guido Crosetto ha cantato lo storico brano di Gianni Morandi ‘C’era un ragazzo’: ‘È una canzone contro la guerra che tutti odiamo. La faccia ascoltare a Putin!’” (Repubblica.it, 10.6). Come forma di tortura?
Povero Fubini. “L’Armata si muove verso Dnipro. E prepara un ‘attacco implacabile’” (Corriere della sera, 9.6). Ma sempre con gli homeless ubriachi a dorso di mulo e sui motorini.
Timidoni. “Parla Toti: ‘La politica difenda Occhiuto, con me il centrodestra è stato timido’” (Foglio, 13.6). Lui intanto patteggiava due volte timidamente per corruzione.
L’ora di punta. “Tappetino, cucchiaio e 35 impronte. In due scatoloni i reperti di Garlasco. L’avvocata di Stasi: ‘Sulla scena del crimine forse altre due persone’” (Corriere della sera, 11.6). “Il delitto di Garlasco, nuova pista ‘Ferite da taglio, erano in due. L’ipotesi che la vittima sia stata colpita con più armi’” (Messaggero, 12.6). Praticamente è stato uno squadrone della morte: si fa prima a dire chi non c’era.
Umorismo penale/1. “Laser e droni nella villa del delitto. E i Ris misurano i passi di Chiara. Non si cerca nessun Dna. I sopralluoghi servono a capire la posizione del killer e a verificare se l’impronta 33 è stata lasciata sul muro da chi ha colpito la ragazza” (Giornale, 10.6). Beh, allora è ovvio il perché dei droni.
Umorismo penale/2. “Garlasco, un delitto tutto da riscrivere” (Libero, 10.6). Non si esclude l’ipotesi del suicidio.
Umorismo penale/3. “Garlasco, tre verità diverse sul Dna trovato tra le unghie. Nella prima indagine il Ris non individuò tracce genetiche, mentre nel 2014 vennero isolati due profili maschili ‘inutilizzabili’. Uno ora è attribuito a Sempio” (Messaggero, 9.6). Càpita, se la vittima ha tre mani.
Umorismo penale/4. “Com’è finito il mio Dna sulle mutandine di Yara? Vorrei saperlo anch’io” (Massimo Bossetti, Belve Crime, Rai2, 10.6). Si sa che i Dna vanno sempre a zonzo.
Rutte libero. “La Nato ha bisogno di aumentare la difesa aerea e missilistica del 400%. Oppure parleremo tutti il russo” (Marc Rutte, segretario generale Nato, 10.6). Facciamo 500 e un bacio sopra.
Il brodino. “Referendum, delusione a sinistra. Ma in 14 milioni avvertono Meloni” (Domani, 10.6). Che detestano le leggi di Renzi.
Con e senza. “Renzi: senza le forze di centro si perde” (Repubblica, 10.6). Ma soprattutto con.
Chissà. “Ogni tanto penso a come i Cinque stelle… abbiano potuto finire nelle grinfie… di Giuseppe Conte” (Mattia Feltri, Stampa, 14.6). L’avranno mica eletto gli iscritti Cinque stelle per tre volte in tre anni?
Solo. “Bibbiano, l’ex sindaco Carletti riprende la tessera Pd. Ma Schlein rimane in silenzio. I vertici nazionali l’han lasciato solo” (Dubbio, 10.6). A farsi depenalizzare il reato da Nordio.
Pervertiti. “Nordio e il sequestro del telefono: ‘È una perversione da evitare’” (Messaggero, 13.6). Ma infatti, lasciamoglielo il telefonino, sennò come fanno a delinquere in santa pace?
Il titolo della settimana/1. “In carcere a 94 anni per vecchi reati fiscali” (Giornale, 11.6). Bei tempi quando i vecchi frodatori diventavano premier.
Il titolo della settimana/2. “Marina Berlusconi: ‘Giustizia, avanti sulla responsabilità civile dei magistrati’” (Corriere della sera, 13.6). Tipo quelli corrotti da Previti che scipparono a De Benedetti la Mondadori che ora lei presiede.
Il titolo della settimana/3. “Ilaria Salis: ‘La revoca dell’immunità sarebbe vendetta politica’” (Stampa, 14.6). No, sarebbe un processo a un’imputata che si è fatta eleggere per l’immunità.
Il titolo della settimana/4. “Da 25 anni Libero dalla parte giusta della storia” (Mario Sechi, Libero, 14.6).a Siccome non glielo dice nessuno, se lo dice da solo.
Il titolo della settimana/5. “Perché gli ucraini esultano per l’attacco israeliano all’Iran” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 14.6). Perché adesso, a trascinarci nella terza guerra mondiale, sono in due.
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