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Dino

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DIRITTO DI VINO

Editoriale di Marco Travaglio

20 luglio 2025

Siccome un anno fa teorizzò che “il vino potrebbe costituire un buon alibi per eventuali sciocchezze che io potessi dire”, si avvicina il giorno in cui il ministro Carlo Nordio invocherà lo stato di ebbrezza. Perché le sciocchezze che dice sono tutt’altro che eventuali. Solo nelle ultime settimane è riuscito, nell’ordine, a: definire il parere del Massimario della Cassazione sul dl Sicurezza “intervento irriverente, improprio e imprudente” e chiedere accertamenti non si sa bene su cosa (forse non sa che il Massimario esiste dalla notte dei tempi per fare esattamente quello); suggerire alle donne in pericolo di “trovare rifugio in una chiesa o in una farmacia”; minacciare di sanzioni il Pg di Cassazione Piccirillo che l’ha criticato su Almasri perché “si permette di censurare le cose che ho fatto e in qualsiasi Paese avrebbero chiamato gli infermieri” (i magistrati che criticano il ministro sono matti: quelli sani gli leccano i piedi); incolpare dell’affollamento carcerario “quanti commettono reati e i magistrati che li mettono in prigione” (quindi i giudici non devono arrestare chi commette reati, nemmeno i 62 nuovi inventati dal suo governo); definire il sovraffollamento carcerario “una forma di controllo sui suicidi” (se in cella non c’è spazio, uno mica s’impicca); chiedere al Pd di ringraziarlo perché, “con la mia riforma, a Milano hanno tutti evitato il carcere” (sono soddisfazioni); attaccare i pm di Palermo per la “scelta inusuale” di ricorrere in Cassazione contro l’assoluzione di Salvini in primo grado al processo Open Arms per violazioni di norme penali, costituzionali e internazionali: “Non si impugnano le assoluzioni, come in tutti i Paesi civili”.

A parte il fatto che persino negli Usa un procuratore può ricorrere alla Corte Suprema contro assoluzioni in cui ritenga che il Tribunale ha violato il diritto federale, non c’è nulla di strano nell’impugnare un’assoluzione in Cassazione: se il pm vi vede errori di merito, ricorre in appello in punto di fatto; se vede errori di diritto, ricorre in Cassazione in punto di legittimità. Se Nordio vuole impedirlo, deve cambiare la legge e infatti minaccia di “rimediare”: ma così ammette che la Procura di Palermo è nella piena legalità, diversamente da lui che calpesta l’autonomia e indipendenza di un altro potere dello Stato. Viene in mente quel pm veneziano che nel 1995 querelò per un articolo satirico Dario Fo e Franca Rame. Ma i due artisti furono assolti in primo e secondo grado. Allora lui impugnò le assoluzioni in Cassazione, ma anche lì fu respinto con perdite. Sapete come si chiamava? Carlo Nordio. Come il ministro che ora dice: “Non si impugnano le assoluzioni, come in tutti i Paesi civili”. Delle due l’una: o gli levano il ministero o gli levano il vino.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

Editoriale di Marco Travaglio

21 luglio 2025

Minacce. “Così Sala prepara la sua strategia. L’idea di un programma di due anni” (Corriere della sera, 20.7). Una minaccia a cemento armato.

L’amuleto. “Il fatto che prima ancora che si conoscano gli addebiti a Sala ci sia chi, sciacallescamente, ne chiede le dimissioni è un’altra brutale dimostrazione di come il principio costituzionale di presunzione di innocenza sia ormai sepolto sotto una coltre di giustizialista e presunzione di colpevolezza. Solidarietà e vicinanza a Sala” (Piero Fassino, deputato Pd, X, 18.7). Praticamente l’estrema unzione.

Medaglie. “Marco Travaglio è un caso clinico di manipolazione e falsificazione” (Adriano Sofri, Foglio, 18.7). Fa sempre piacere essere insultati da un assassino. È il pensiero che sia a piede libero che inquieta un po’.

L’osservatore romano. “Le periferie romane fanno schifo” (Roberto Gualtieri, sindaco Pd di Roma, 18.7). E lui modestamente ne è il sindaco.

Agenzia Stica**i. “Scrivo seduto sul letto in un hotel di Iglesias, fuori una temperatura texana. Anche la stanza sembra sbucare da un’antica puntata di ‘Dallas’. Perché sono qui? Perché stasera presento il mio libro, l’ho fatto anche ieri sera e lo rifarò domani sera” (Beppe Sevegnini, Corriere della sera, 20.7). Prima regola del giornalismo: la notizia all’inizio del pezzo.

Finis Cinae. “Xi Jinping commissariato? La ‘scomparsa’ del leader, il silenzio dei media di Stato: cosa succede in Cina” (Federico Fubini, Corriere della sera, 14.7). “Xi ‘sparito’, la voce che agita Pechino. Altre ipotesi: problemi di salute” (Giornale, 15.7). “Lavrov vede Xi a Pechino per preparare futura visita Putin” (QN, 15.7). “Xi Jinping, un’agenda fitta di impegni” (Stampa, 17.7). Mi sa che ha le stesse malattie mortali di Putin.

De amicis. “Siria, Israele a sostegno dei drusi. Bombe sui palazzi del governo” (Messaggero, 17.7). “Israele, raid su Damasco per soccorrere i drusi: ‘Il regime è avvertito’” (Repubblica, 17.7). “Israele colpisce il Siria per salvare gli amici drusi” (Libero, 17.7). Che teneri: lo fanno per amicizia.

Doppio deterrente. “I francesi bocciano Macron al 77% e Bayrou all’80%” (Journal du Dimanche, 29.6). “Ha ragione Macron: per essere liberi bisogna essere temuti” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 15.7). Brrr che paura!

L’eternità. “Macron vola da Starmer, i volenterosi insistono: in eterno con l’Ucraina” (Repubblica, 9.7). Se durano sei mesi.

Il precursore. “La nostra Cretinocrazia è stata inventata dai grillini” (Francesco Merlo, Repubblica, 13.7). Dài, Merlo, non ti sottovalutare.

Soddisfazioni. “Pinotti (Pd) e l’incarico deciso da Crosetto: ‘Ci stimiamo da più di 20 anni” (Corriere della sera, 18.7). Una stima a prova di bombe.

Corrente Gelli. “L’anima perduta della sinistra riformista” (Fabrizio Cicchitto, Libero, 20.7). Quella iscritta alla P2.

Collaboratore d’ingiustizia. “Dalle mazzette ai grattacieli. Perché non è una nuova Mani Pulite… Qui manca la pistola fumante… E vai a capire dov’è il confine, dov’è l’etica e dove il reato… Grattacieli forse fuorilegge o forse solo ipertrofici… Magari si scambiano consulenze per accordi corruttivi, quando sono mere necessità pubbliche… Risacche di populismo… i manettari dei 5Stelle… spaventoso ‘tifo mediatico e giornalistico’ che sbatte in prima pagina colpevoli che ancora non lo sono… l’anno del terrore 1993 con indagati sbattuti a San Vittore e consegnati al tritacarne di noi giornalisti… Il gran discorso di Craxi alla Camera… Noi ribaldi giornalisti l’avevamo ribattezzato ‘Cinghialone’… Prudenza ne avemmo poca, allora… Ma noi siamo cambiati, vivaddio…Biondi, un galantuomo liberale… Nordio, un altro galantuomo liberale…” (Goffredo Buccini, Corriere della sera, 20.7). Guarda che si è capito che ti sei pentito di aver fatto il giornalista una volta, più di 30 anni fa. Però, sii buono, evita il “noi”: parla per te.

L’indipendente. “L’indipendenza di un giornalista è un tratto caratteriale: o uno ce l’ha o non ce l’ha” (Aldo Grasso, Corriere della sera, 20.7). Tipo quello che loda le tv di Cairo sul giornale di Cairo.

Giustizia lampo. “Basta con i pm a caccia di condanne. Nordio: con assoluzioni, zero ricorsi. Secondo gli esperti questa riforma renderà più celeri i processi” (Verità, 20.7). Non c’è più bisogno di celebrarli: basta un modulo prestampato con l’assoluzione fissa.

Il titolo della settimana/1. “Garlasco, omicidio da riscrivere” (Stampa, 14.7). Non si esclude la pista del suicidio.

Il titolo della settimana/2. “Garlasco, un altro giallo su Chiara. ‘È il killer’. ‘No, il medico’” (Messaggero, 12.7). Magari è il medico che l’ha uccisa da morta.

Il titolo della settimana/3. “Il Papa parla con Bibi, non con Hamas” (Libero, 19.7). In effetti, i cristiani nella parrocchia di Gaza glieli ha ammazzati Bibi.

I titoli della settimana/4. “Gualtieri: ‘Metodo Giubileo anche per le periferie’” (Repubblica, 9.7). “Giubileo, la Corte dei Conti: ‘Su 188 interventi, 4 finiti” (Libero, 16.7). Però con metodo.

Il titolo della settimana/5. “Fratelli d’Italia a Roma: ‘Sulla lotta alla mafia non accettiamo lezioni’” (Libero, 19.7). Tranquilli: si vede benissimo.

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SCEMI DI PACE

Editoriale di Marco Travaglio

22 luglio 2025

Evviva, evviva! L’Impero del Bene democratico e liberale che difende con le unghie e coi denti i valori del pluralismo e la cultura del dissenso contro il pensiero unico delle autocrazie, ha sgominato il pericoloso direttore d’orchestra russo Valery Gergiev annullando il suo concerto alla Reggia di Caserta dove, armato nientemeno che di bacchetta, minacciava di lavare il cervello all’ignaro pubblico con opere di chiara propaganda putiniana come l’ouverture de La forza del destino di Verdi, il Bolero di Ravel e la Sinfonia n.5 in Mi minore di #268;Cajkovskij (altro celebre agente della guerra ibrida del Cremlino, morto non a caso 59 anni prima che nascesse Putin). L’abbiamo scampata bella: infatti esultano in stereo l’ambasciata ucraina, il ministro Giuli, il Pd, Azione, Iv e la nota musicologa Pina Picierno, che potrà dedicarsi ai suoi incontri istituzionali con quei galantuomini dei capi dell’Israel Defense and Security Forum, la simpatica congrega di fanatici che teorizza la colonizzazione illegale della Cisgiordania e recluta mercenari per le guerre criminali di Israele. A Caserta è invece confermato (e giustamente) il concerto diretto dall’israeliano Daniel Oren, che non dice una parola contro gli stermini di Netanyahu, ma a cui nessuno (e giustamente) si sogna di attribuirli, né di pretendere che si dissoci dal governo del suo Paese (anche se rischierebbe molto meno di un russo che attaccasse Putin). Insomma, tutto è bene quel che finisce bene. Ora che abbiamo prima invitato e poi cacciato il più famoso direttore d’orchestra del mondo a causa delle sue idee, come ogni autocrazia che si rispetti, ci sentiamo tutti più buoni. Per giunta a rischio zero (salvo penali da pagare). Così Putin impara: la notizia sta già elettrizzando le truppe ucraine, che ora sconfiggeranno su due piedi la prima potenza nucleare del mondo.

Purtroppo, a guastare il clima di perfetta letizia, giunge una ferale notizia: la rossa Bologna ha invitato il pianista Alexander Romanovsky a suonare Chopin. Un altro russo, cioè putiniano? No, stavolta è un ucraino. Ma sarebbe “filo-russo” (come peraltro un terzo degli ucraini, che sono russi o russofoni, incluso Zelensky, nato nella regione di Dnipropetrovsk come lui) perché si esibì davanti al teatro di Mariupol bombardato dai russi. Quindi, su richiesta di Azione e del famoso “liberaldemocratico” Marattin, il Pd ha deciso che non deve suonare più, anche se vive in Italia da quando aveva 13 anni, è nostro concittadino e insegna nei nostri conservatori. Sennò, dice Marattin, “si avalla il fascismo di Putin”, che viene dal Kgb dell’Urss comunista, ma è un fascista ad honorem (da non confondere coi nazisti buoni dell’Azov). È la via omeopatica all’antiputinismo: lo combattiamo imitandolo.

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LA FACCIA COME IL SALA

Editoriale di Marco Travaglio

23 luglio 2025

Se rinasco, voglio fare il membro della Commissione Paesaggio di Milano: quella scelta da Sala, il sindaco dalle mani pulite, per approvare grattacieli travestiti da capannoni o bocciarli se sono di uno fuori dal giro. Funziona così: al bando del Comune partecipano 50 architetti, ingegneri, geometri, gente del mestiere. Il sindaco dice: sono tutti bravi, quindi gli 11 fortunati li scelgo io. “Io” si fa per dire, perché se li fa indicare un po’ dai partiti, un po’ dall’Ordine degli Architetti, di cui è segretario l’ex vicepresidente Oggioni, che quando scade si sceglie il successore col presidente dell’Ordine per tener fuori i rompiscatole: tipo l’architetta fissata col “paesaggio nannané nannanà” e l’urbanista che denunciò i magheggi di Boeri sulla Biblioteca europea e “sta stracciando l’anima”: “di passare alle discussioni con ’sti due qua non ci ho proprio voglia”. L’hanno arrestato a marzo. Gli altri posti se li spartiscono i partiti, senza sottilizzare fra maggioranza e opposizione: lo racconta Marco Cerri, che fu raccomandato al sindaco di centrosinistra da FI al posto di un forzista morto (la carica ovviamente è ereditaria).

La Commissione, con i suoi pareri non vincolanti per legge, ha poteri di vita e di morte su tutti i progetti. E pure sulle norme urbanistiche. Voi direte: sarà almeno vietato l’ingresso a chi lavora per i palazzinari. Ingenui: fino ai primi arresti di marzo, il sindaco dalle mani pulite aveva preteso che solo la metà più uno dei commissari non avesse incarichi di libera professione a Milano; gli altri – la metà meno uno – potevano serenamente ricevere incarichi e soldi dai costruttori che dovevano controllare. La famosa modica quantità di conflitti d’interessi per uso personale. Che poi li avevano quasi tutti: bastava non dichiararli. L’ex presidente Marinoni li collezionava, anche su pressione dell’assessore Tancredi. Infatti si vantava del suo “Prg ombra” e attendeva con ansia il decreto Salva-Milano. “Sennò salta tutto”, conveniva un manager “controllato”. Il mio idolo è l’architetto Alessandro Scandurra, altro arbitro-giocatore della Commissione: mentre giudicava mega-progetti urbanistici incassava 3,3 milioni per consulenze dai costruttori interessati, senza dichiararle né astenersi. Una volta bocciò il grattacielo di un concorrente, poi cambiò casacca, diventò il progettista e la commissione approvò entusiasta, consentendogli persino il beau geste di astenersi. Intervistato dalla Stampa, s’è detto “tranquillo”, malgrado la “gogna mediatica”, perché “ho sempre agito nella massima trasparenza”. Come Sala, che non parla dei conflitti d’interessi perché non li vede. Ecco, nella prossima vita voglio essere come loro. Possibilmente senza il trapianto del lato B sul lato A.

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SEPARATE QUESTI

Editoriale di Marco Travaglio

24 luglio 2025

Ennesimo avviso di garanzia a un politico. Ennesima canea di frasi vuote. Passo indietro o no? Giustizia a orologeria o no? Colpevole o innocente? Toti, poi Sala, ora Ricci. E mai che il leader del partito o della coalizione dica: “Ora leggo le carte e valuto i comportamenti a prescindere dalla rilevanza penale. Se sono eticamente gravi e già acclarati, l’indagato deve sloggiare. Se sono scelte opinabili, ma legittime e moralmente neutre, o se le accuse sono controverse e tutte da dimostrare, mi assumo la responsabilità di lasciarlo al suo posto e, se ne condivido la condotta, persino di difenderlo in caso di condanna”.

Toti è vecchia scuola: prendeva soldi da imprenditori che ricevevano concessioni, appalti e licenze dalla sua giunta. Si chiama corruzione: infatti, dopo essersene vantato, ha patteggiato. Chi lo difendeva come una verginella violata dalle toghe rosse dovrebbe vergognarsi, invece governa e separa i pm dai giudici, per non dover separare i politici corrotti dagli imprenditori corruttori.

Sala è della nuova scuola, infatti non risponde di corruzione, ma di falso e induzione indebita: il suo sistema ha reso inutile e quasi ingenua la vecchia mazzetta. I palazzinari si controllano e si autorizzano da soli a violare le leggi tramite i loro progettisti infilati dal sindaco nella Commissione Paesaggio: magari un giorno sapremo cosa spetta ai politici per il disturbo, ma già sappiamo quanto ci rimettono i cittadini tra mancati oneri di urbanizzazione e furti di suolo, aria e cielo.

Ricci è di un’altra scuola, la più antica: il politico che spende e spande denaro pubblico in opere e kermesse effimere per costruirsi un consenso personale, affidati a due associazioni create ad hoc dall’amico del suo factotum – uno con la terza media assunto per i social e gli “eventi” – senza gare né inviti ad altre ditte per scegliere la migliore offerta. Un classico abuso d’ufficio, purtroppo depenalizzato dalle destre su richiesta anche di Ricci e altri sindaci Pd. Che evidentemente facevano tutti come lui. Ora è indagato per corruzione, ben difficile da dimostrare col “ritorno d’immagine”. Ma le responsabilità politiche nella scelta del braccio destro e nella gestione dei soldi pubblici sono note da un anno grazie al Resto del Carlino che ha anticipato i pm. A giugno Manuela Iatì di Far West ne ha chiesto conto a Ricci, che l’ha accusata di essere “al soldo di FdI”. L’unica novità è che ora dovrà rispondere ai pm da indagato. Il Pd ha fatto finta di nulla, l’ha candidato alle Regionali (dopo un solo anno di Parlamento europeo) e ora, alla vigilia del voto, deve decidere precipitosamente che farne, come se le carte non fossero già tutte sul tavolo e l’invito a comparire cambiasse qualcosa. A furia di guardare il dito anziché la luna, rischi di perderli entrambi.

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LINGUINE AI RICCI

Editoriale di Marco Travaglio

25 luglio 2025

Ormai l’Italia è talmente sottosopra che, a pagare il conto delle indagini sul malaffare, è l’unico grande partito non coinvolto: il M5S. Con un gesto forse eccessivo di generosità, aveva accettato di sostenere nelle Marche l’ex sindaco renziano di Pesaro e attuale eurodeputato Pd Matteo Ricci. E, ora che quello è finito indagato, Conte e i suoi si dibattono nell’imbarazzante scelta fra quattro opzioni: 1) mantenergli l’appoggio; 2) chiedere al Pd e agli altri alleati di cambiare cavallo in corsa; 3) correre con un proprio candidato; 4) non presentarsi e lasciare libertà di voto. E da tutte e quattro le opzioni sarà il M5S a rimetterci. Con la 1 la parte più idealista della base gli rinfaccerebbe di ignorare la questione morale quando riguarda gli “amici”, cioè di “essere come gli altri”, e non andrebbe a votare. Con la 2 partirebbe una caccia al nome nuovo e vincente destinata a fallire perché manca il tempo (quello che il Pd ha perso a fare lo struzzo minimizzando lo scandalo e garantendo agli alleati che si sarebbe sgonfiato, anziché valutarlo nel merito con i probiviri, ove mai esistessero e fossero sia probi sia viri). Con la 3 il M5S farà perdere Ricci, raccoglierebbe pochi voti col proprio candidato di bandiera e verrebbe pure accusato di aver fatto vincere il meloniano Acquaroli in una Regione cruciale per la premier. Con la 4 rinuncerebbe alla propria rappresentanza in Consiglio regionale, cioè a fare opposizione.

Il paradosso dei legalitari che pagano pegno al posto degli illegalitari dipende da un sistema mediatico ancor più marcio di quello politico-affaristico squadernato dalle ultime indagini. Anziché chieder conto ai vertici Pd con che faccia possano stampare sulle loro tessere la faccia di Berlinguer e poi difendere i Sala, i Ricci e gli altri cacicchi che dovevano mandare a casa, oppure tacere sugli scandali torinesi, bolognesi, pugliesi e così via che sono l’antitesi dell’etica berlingueriana, i grandi media chiedono ai 5Stelle come si permettano di opporsi a quei sistemi di potere degenerato e di contestarne gli artefici. Meraviglioso il titolo del Corriere, che fa propri i “sussurri” senza nome dei cuor di leone piddini anti-5Stelle: “‘Stanno facendo storie’. Dentro il Pd il timore che il M5S possa sfilarsi” nelle Marche. Quindi il problema non è un candidato che, al di là delle accuse di corruzione difficili da dimostrare, gestiva allegramente centinaia di migliaia di euro pubblici con affidamenti diretti agli amici del suo factotum. Ma quei rompipalle 5Stelle che “fanno storie” sul sistema Sala e sul sistema Ricci, anziché mettere anche loro la testa sotto la sabbia. Sarebbe bello poter dire: faranno giustizia gli elettori. Ma già sappiamo che quei sistemi portano voti a chi li gestisce, non a chi li combatte.

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SEPARATE I BICCHIERI

Editoriale di Marco Travaglio

26 luglio 2025

Per incastrare un politico non c’è più bisogno di intercettarlo: basta intervistarlo. Matteo Ricci, per liberarsi dai guai combinati a Pesaro con gli affidamenti diretti a due società create ad hoc che poi pagavano il suo factotum, assicura che lui non si è “mai occupato di appalti”. Oh bella, ma se fosse vero sarebbe un’aggravante: di che altro dovrebbe occuparsi un sindaco se non di gestire opere ed eventi pubblici, cioè gli appalti, e assicurarne la massima legalità e trasparenza? Debora Serracchiani scopre che Nordio nei primi anni 90 firmava appelli dell’Anm contro la separazione delle carriere che ora ha tradotto in legge costituzionale. E gli rinfaccia l’incoerenza: mossa geniale, se la Serracchiani nel 2019 (sei anni fa, non trenta) non avesse firmato una mozione parlamentare del Pd per la “separazione delle carriere dei magistrati, ineludibile per garantire un giudice terzo e imparziale”. Le stesse fesserie che oggi sostiene Nordio. Il quale dice di non ricordare di aver firmato appelli contrari, poi l’Anm ne diffonde uno del 1994 e Carletto Mezzolitro ritrova la memoria: “Prima auspicavo una magistratura compatta in tempi di stragi e Tangentopoli. Poi ci fu il suicidio di Gino Mazzolaio, indagato in una mia inchiesta. Capii che si stava esagerando con la custodia cautelare e nel 1995 cambiai idea”.

Mazzolaio era l’ex tesoriere della Dc di Rovigo: arrestato per concussione con altri 27 coindagati il 16 marzo 1993 dal gip di Venezia su richiesta del pm Nordio che indagava su tangenti per appalti ospedalieri, 25 giorni dopo ottenne i domiciliari, fece perdere le sue tracce e fu ripescato nell’Adige il 30 aprile. Cioè un anno prima che Nordio, il 3 maggio 1994, firmasse l’appello anti-separazione. Quindi il suicidio non gli fece cambiare idea: semmai la rafforzò. Ma soprattutto: che diavolo c’entra il suicidio di un indagato con la separazione delle carriere? Nordio ha saputo che il povero Mazzolaio si gettò nel fiume perché inorridito dalla scoperta che in Italia pm e giudici appartengono da oltre un secolo alla stessa carriera? Oppure ha le prove che il gip aveva arrestato su sua richiesta Mazzolaio e gli altri 27 perché apparteneva alla sua carriera e non per i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari richiesti dal Codice? E il pm Nordio “esagerava con la custodia cautelare”, cioè chiedeva arresti a casaccio, senza prove, sapendo che il collega gip glieli avrebbe firmati senza leggere un rigo? Se così fosse, ora non dovrebbe fare il ministro della Giustizia. E allora, anziché battersi (a scoppio ritardato) per separare le carriere, avrebbe dovuto chiedere di assolvere tutti i suoi indagati, risarcirli di tasca sua per ingiusta detenzione e autodenunciarsi per il reato di abuso d’ufficio. Invece l’ha abolito.

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L’INUTILE E IL VOMITEVOLE

Editoriale di Marco Travaglio

27 luglio 2025

I pacchetti di sanzioni Ue alla Russia sono 18, quasi uno a bimestre nei 41 mesi di invasione dell’Ucraina. Quelli a Israele sono zero in 21 mesi di mattanza nella Striscia di Gaza. Però, ora che i palestinesi ammazzati sfiorano ufficialmente i 60 mila (2.850 al mese, 95 al giorno, 4 all’ora), gli intrepidi governanti europei tirano fuori le palle e le unghie con mosse a dir poco temerarie. Macron, il più spericolato, annuncia per la quarta volta in un anno e mezzo che riconoscerà lo Stato palestinese, ma non subito: a settembre. Tanto c’è tempo e, nell’attesa, potrà annunciarlo e finire sui media un’altra dozzina di volte per non far parlare del suo governicchio in coma e dei suoi consensi da prefisso telefonico. E poi annunciarlo ed eventualmente farlo non costa nulla e non serve a nulla. L’hanno già fatto 147 Paesi del mondo, i tre quarti dei membri dell’Onu, ma lo Stato palestinese non s’è visto: continuerà a non vedersi ora che forse arriva pure Macron. Gaza è un cumulo di macerie e cadaveri, la Cisgiordania è infestata di 500 colonie ebraiche illegali, la Knesset vuole annettere tutto e né Israele né i palestinesi hanno leader rappresentativi disposti a parlarne: dove e come dovrebbe sorgere, di grazia, il famoso Stato?

Comunque l’impavida Meloni spiega che “i tempi non sono ancora maturi”: cioè non ha neppure il coraggio di fare una cosa inutile, figurarsi quelle utili tipo chiedere sanzioni o smettere di fornire armi. E Tajani dice che i palestinesi devono prima riconoscere Israele: non gli hanno detto che lo fece l’Olp di Arafat a Oslo nel 1993, appena 32 anni fa. Ma lui è solo il ministro degli Esteri e non è tenuto a saperlo. In compenso il governo, insieme al Pd e ai centristi, ha appena sgominato un direttore d’orchestra russo, quindi per quest’anno ha la coscienza a posto. Quando tutto sembra perduto, ecco levarsi alta e forte la voce dell’Europa grazie alle due lady di ferro. Von der Leyen tuona tutta d’un pezzo: “Scene intollerabili, situazione umanitaria abominevole”, poi riprende a spruzzarsi la lacca. E Kaja Kallas, inflessibile: “Situazione catastrofica, tutte le opzioni su Israele sono sul tavolo”, poi torna a preparare il 19° pacchetto di sanzioni alla Russia. A grande richiesta tornano a esibirsi i Volenterosi: Merz, Starmer e Macron nientepopodimeno “si telefonano” e poi le cantano chiare a Netanyahu: “Catastrofe umanitaria inaccettabile, deve finire ora”. Non domani: ora. Così impara. Quando ci vuole, ci vuole. Bibi, che un mese fa Merz ringraziò perché “fa il lavoro sporco anche per noi”, ci rimane male. Ma poi si rincuora quando i tre mitomani si dicono pronti a “lanciare su Gaza casse di aiuti dagli aerei”. Così qualche palestinese affamato glielo ammazzano pure loro: il lavoro sporco mica può farlo tutto lui.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

Editoriale di Marco Travaglio

28 luglio 2025

Chi non muore si rivede. “Mistificazione pro-Pal. La grande bufala del bimbo che muore di fame a Gaza. Secondo il Fatto, Osama al-Raqab è vittima della carestia imposta da Israele. In realtà è da 45 giorni nel nostro Paese, dove viene curata la sua fibrosi cistica” (Libero, 27.7). Ecco perché era scheletrito: Israele, per curarlo meglio dalla fibrosi cistica a Gaza, l’aveva messo a dieta; oppure, siccome era malato, aveva pensato che tanto moriva lo stesso.

Ripetizioni. “Mastteo Ricci al M5S: ‘Non prendo lezioni di onestà’” (Sole 24 ore, 25.7). Tranquillo, si era notato.

Orologeria. “Quando le procure indagano a sinistra. Prima il caso Milano ancora irrisolto, subito dopo le Marche. Tempistica singolare” (Stefano Folli, Repubblica, 24.7). Silvio, sei tu?

Lui. “Con la separazione delle carriere il suo sogno oggi si trasforma in realtà: il nostro presidente, dall’alto dei cieli, credo sorrida e guardi soddisfatto il lavoro dei suoi allievi” (Pierantonio Zanettin, senatore FI, 22.7). Ma chi, Gesù?

Alla turca. “Nordio vuole il sistema Turchia” (Vladimiro Zagrebelsky, Stampa, 21.7). Ma perché, Berlusconi era turco?

Gli amuleti. “Sala? Spero non sia un teorema come accadde a mio padre”, “Quel parallelo col caso Toti: il politico ridotto a criminale” (Stefania Craxi e Filippo Facci, Giornale, 18.7). Ma quindi ’sto Sala è proprio colpevole?

Le mele con le pere. “I 5Stelle infieriscono su Sala. L’ira dei riformisti dem: ‘Se iniziassimo a usare il loro stesso metodo con Todde?’” (Giornale, 22.7). Basta aspettare che venga indagata per falso e induzione indebita anche lei.

Saliscendi. “Meloni, mille giorni da premier: il consenso sale al 36%” (Stampa, 27.7). Il governo Meloni, partito col 41% dei voti, è salito al 36% di consensi. Figurarsi se calava.

Dentrofuori. “Pronto il piano carceri. Meloni annuncia: ‘10 mila posti entro il 2027’” (Stampa, 23.7). “Il governo vara il piano carceri: ‘Diecimila fuori in anticipo’” (Repubblica, 23.7). Li mettono fuori per poi rimetterli dentro.

Oscurati. “È incredibile che ‘M’, una serie di questa bellezza, di questa potenza, non abbia ancora una seconda stagione. Chiediamoci perché” (Antonio Scurati, 25.7). Non sarà che tutta questa bellezza e potenza le ha viste solo lui?

Che acume/1. “Augusta Montaruli (FdI): ‘Strana coincidenza: tutti gli indagati dem sono dell’ala riformista’” (Giornale, 24.7). Bisogna assolutamente convincere qualche non riformista a rubare anche lui.

Che acume/2. “‘L’impronta 33 è di Sempio. Rilevati sangue e sudore’. Secondo la perizia della difesa Stasi, l’orma è frutto di una pressione sul muro esercitata con il peso del corpo ” (Messaggero, 28.7). E tutto questo l’han visto da una foto del muro, con gli occhialetti ai raggi X dell’Intrepido.

Più ne ammazzi, meglio è. “No, Gaza non è Srebrenica. Paragonarla fa male alla pace… A Srebrenica il bilancio stimato dell’eccidio è 8.372 morti. Nulla di simile si vede, per fortuna, nel già tragico scenario di Gaza” (Davide Assael, Domani, 24.7). Ma infatti: a Gaza solo 60 mila morti, mica 8.372.

L’informatissimo. “Tutti sanno che Ricci è una persona perbene, lui su La7 ha spiegato di essere estraneo… Ma i 5 Stelle sono sempre quelli di ‘Onestà! Onestà!’ a patto che non si tratti della Appendino e della Raggi… Conte vuole tornare a Palazzo Chigi per la terza volta… Capace di qualsiasi magia pur di soddisfare la propria ambizione… Nel 2013 i 5Stelle decidono che magari è il caso di reclutare qualche giurista. E Alfonso Bonafede – già leggendario dj alla discoteca Extasy di Mazara Del vallo, poi due volte pure Guardasigilli – dice: ‘Io ne conosco uno’… Conte diventa premier e abbraccia i leghisti, poi li molla. Quindi s’accuccia a Draghi. Intanto diventa amico di Trump. E abbraccia Putin” (Fabrizio Roncone, Corriere della sera, 27.7). Ricci è indagato per corruzione, Raggi e Appendino non lo sono mai state. Bonafede è un avvocato dal 2006, non un dj. Conte fu chiamato dai 5Stelle nel 2018, non nel 2013. Non mollò i leghisti, ma ne fu mollato nel 2019 con la crisi del Papeete. Draghi divenne premier sei mesi prima che lui fosse eletto leader M5S. Con Trump era così amico che ci si scontrò sulla Via della Seta e sul golpe Guaidò in Venezuela. Non ha mai abbracciato Putin. E ogni leader di partito del mondo, dalla notte dei tempi, aspira a governare. Ma tutto questo un giornalista del Corriere mica è tenuto a saperlo.

Il titolo della settimana/1. “La linea morbida dell’Ue sulle tariffe per incassare il sostegno degli Usa a Kiev” (Stefano Stefanini, Stampa, 27.7). Che non fa parte dell’Ue. Furba, l’Ue.

Il titolo della settimana/2. “Nobel per la Pace a Zelensky? Dove si firma?” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 9.7). Nel più vicino ospedale psichiatrico.

Il titolo della settimana/3. “Antifascisti di tutto il mondo, dove siete quando si parla di Putin?” (rag. Cerasa, Foglio, 26.7). Col battaglione Azov, ovviamente.

Il titolo della settimana/4. “Il Sud regno degli abusi. Ma i pm si accaniscono solo su Milano, la città più virtuosa” (Facci, Giornale, 26.7). Chissà perché i pm di Milano indagano su Milano e non, per dire, su Termini Imerese. Bisogna indagare.

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FANTOZZI VA IN SCOZIA

Editoriale di Marco Travaglio

29 luglio 2025

È falso che lo strepitoso accordo sui dazi Usa alla Ue siglato in Scozia da Trump con Trump davanti a Von der Leyen manchi di trasparenza. Ecco il verbale dello storico summit.

Ore 10. VdL raggiunge il golf resort di Trump a Turnberry camminando sulle ginocchia, per non sembrare troppo alta. Vorrebbe bussare alla porta, ma le dita le scivolano a causa della sudorazione a mille. L’usciere-parrucchiere-tinteggiatore di Trump sente il fruscio e apre: “Perché non ha bussato?”. E lei: “Non ho le mani…”. Lui le stacca di netto lo strato di lacca dalla cofana (“Sua Maestà è allergico”) e rovescia sul pavimento un pacco di ceci e chiodi invitandola a farci due passi, sempre carponi (“Sua Altezza gradisce le posture penitenti”).

Ore 11. VdL continua a scorticarsi le ginocchia in attesa di Trump, che fa tardi sul green.

Ore 11.30. Arriva Trump in tenuta da golf roteando una mazza in titanio. Ma poi abbassa lo sguardo, vede il sangue sul pavimento e risparmia all’ospite ulteriori sevizie. VdL ringrazia a nome dell’Ue: “Com’è umano, lei”. Lui prende posto su una poltrona in pelle umana (quella di Rutte, che gliel’ha donata con dedica “Al mio Paparino” scritta col sangue). Lei strappa il privilegio di sdraiarsi ai suoi piedi, a pelle di leone.

Ore 12. Inizia, serratissimo e a tratti drammatico, il negoziato. Trump: “Voi europei siete ladri e parassiti”. VdL: “È vero, Maestà, e anche usurai!”. Trump: “Rivoglio tutto indietro. Dazi al 15%”. VdL: “Non sarà poco, Altezza Reale? Facciamo il 20!”. Trump: “No, cara la mia bertuccia, sennò pure quegli invertebrati dei tuoi alleati ti fanno la pelle, e a me servi viva. Non sai i guai quando cambi la servitù al giorno d’oggi”. VdL: “È un bel presidente, un apostolo, un santo! Non so come sdebitarmi, Duca-Conte, ho la salivazione leggerissimamente azzerata”. Trump: “Tranquilla, Cita, troveremo il modo”. VdL: “Idea! Mio Re, vi compriamo anche 750 miliardi di gas e di armi, ovviamente a prezzo quadruplo. E ci metto pure una batteria di pentole antiaderenti per la sua signora, pardòn Regina”. Trump: “Ok, babbuina, ma facciamo prestino ché il golf mi attende. Vuoi tirare pure tu due pallette?”. VdL: “Io non mi permetterei mai di giocare, si figuri se mi permetterei di vincere, Sire”. Trump: “Dimenticavo: come la prenderanno le tre emme?”. VdL: “Mio Signore, emme in che senso?”. Trump: “Macron, Merz e Meloni!”. VdL: “Ah, quelli: parlano, parlano, poi digeriscono pure i sassi. Scattano sull’attenti perfino per me, si figuri per lei!”.

Ore 12.06. Dopo ben 6 minuti di corpo a corpo, VdL accenna a una riverenza da sdraiata. Trump le passa sopra: “Ops, scusa, credevo fosse il tappeto”. “Ma sono qui apposta! Se non l’avesse fatto lei gliel’avrei chiesto io, Santità!”.

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SCENE DA UN MANICOMIO

Editoriale di Marco Travaglio

30 luglio 2025

Forse è inutile pretendere un po’ di logica nel manicomio di questo dibattito pubblico, ma ci proviamo lo stesso.

In un autogrill di Lainate un gruppo di esagitati insulta un francese di religione ebraica e suo figlio, che indossano la kippah, urlando “Palestina libera”, “Assassini”, “Andate a casa vostra” e altre assurdità. Sono indignati per lo sterminio a Gaza, ma anche molto ignoranti, perché lo addossano a due persone che non sono né governanti israeliani (cioè colpevoli dello sterminio), né cittadini israeliani (cioè incolpevoli di tutto), ma francesi di religione ebraica (che, nel caso di specie, equivale alla fede cristiana, islamica, buddista, mormone). Poi si passa alle botte quando il francese, comprensibilmente offeso, trascende minacciando uno dei tizi: “Vieni fuori che ti spacco la faccia”. Quindi no, non si può dire – come fanno politici e media sfusi – che in Italia l’antisemitismo è arrivato al punto che la gente per strada lincia gli ebrei solo perché ebrei. Si può dire invece che questi episodi sono il frutto avvelenato di un mix terrificante: lo sterminio dei palestinesi a Gaza per mano del governo Netanyahu impunito, armato e spalleggiato dai governi europei; la doppia morale occidentale sui crimini di “amici” e “nemici” (se censuri e discrimini scrittori, musicisti e sportivi russi solo perché russi, scambiandoli per il loro governo, qualche somaro parallelo si sentirà in dovere di fare lo stesso con gli ebrei, confondendoli con gli israeliani e con il loro governo); l’ignoranza crassa sulla storia d’Europa e del Medio Oriente a ogni livello.

I commenti alla resa di Ursula von der Leyen in ginocchio da Trump sono quasi tutti insulti al presidente Usa: farabutto, mafioso, estorsore ecc. Come se fosse stato eletto per fare gli interessi dell’Europa e li stesse tradendo. Purtroppo è stato eletto dagli americani per fare gli interessi degli Usa: nulla di strano se li fa, taglieggiando gli altri Paesi per riequilibrare la bilancia commerciale del suo. Traditore è chi è stato eletto per fare gl’interessi dell’Europa e fa regolarmente quelli degli Usa: cioè la VdL e chi sostiene la sua demenziale Commissione (tutti i partiti italiani tranne M5S, Lega e Avs). Non tanto per i dazi, che della doccia scozzese sono il male minore: quanto per l’impegno a non tassare i Big Tech e a investire oltre mille miliardi in Usa per acquistare ancora più armi (per i piani di riarmo Ue & Nato), petrolio e gas liquido (che ci costa il quadruplo di quello russo). Prima di insegnare agli americani da chi devono farsi governare sventolando il manifesto di Ventotene o straparlando di sovranismo, dovremmo prendere qualche ripetizione. Se un fornaio ti chiede di comprare il pane da lui a 12 euro al chilo anziché a 3 da un altro e tu accetti, la colpa è sua o tua?

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RUSSOFOBI COL BRONCIO

Editoriale di Marco Travaglio

31 luglio 2025

Scandalo, orrore, raccapriccio: il ministero degli Esteri russo copia i migliori quotidiani italiani e pubblica una lista di proscrizione con gli “esempi di russofobia”, fra cui alcune perle di Mattarella, Crosetto e Tajani. Il quale convoca l’ambasciatore Paramonov per chiedere “spiegazioni”. Noi vorremmo essere una mosca o – se mosca è troppo russofilo – una zanzara, per assistere allo storico incontro. Tajani redarguisce da par suo il diplomatico russo: “Come vi permettete di darci dei russofobi?”. E quello se la ride: “Pensavamo che per voi l’aggettivo russofobo non fosse un insulto, ma un complimento”. Poi consegna al presunto ministro un paio di volumi della Treccani con la lista degli episodi di russofobia promossi o istigati o tollerati dai governi Draghi e Meloni col consenso o nel silenzio di Mattarella: direttori d’orchestra, artisti, intellettuali e sportivi cacciati-discriminati-perseguitati-insultati in quanto russi, balletti russi banditi dai teatri, corsi universitari su Dostoevskij sospesi, partnership scientifiche fra atenei italiani e russi cancellate, liste di proscrizione contro giornalisti russi e analisti italiani spacciati per putiniani e trascinati al Copasir e/o radiati dalle tv, vagonate di armi inviate all’Ucraina per “sconfiggere la Russia”, mega-piani di riarmo per l’auspicata guerra alla Russia. E, a mo’ di dedica, la lectio magistralis di Mattarella a Marsiglia che l’anno scorso paragonò la Russia attuale al Terzo Reich di Hitler, sconfitto soprattutto grazie al sacrificio dell’Unione Sovietica con 28 milioni di morti.

Tutte cose che parrebbero eccessive anche se fossimo in guerra con la Russia e risultano vieppiù incomprensibili in assenza di dichiarazioni di guerra di Roma a Mosca o viceversa. Anche perché chi le ha volute o avallate denuncia, giustamente, la peste gemella della russofobia: l’antisemitismo di chi confonde il governo israeliano col popolo ebraico. Ieri Mattarella ha attaccato l’“angosciosa postura aggressiva della Russia in Ucraina, un macigno sull’Europa” e poi i morti e la fame a Gaza, solo che lì non ha evocato né angosciose posture aggressive né macigni: ha deplorato, giustamente, la “diffusa tendenza alla contrapposizione irriducibile, alla intolleranza per le opinioni diverse dalle proprie, al rifugio in slogan superficiali e pregiudizi tra cui riaffiora gravissimo l’antisemitismo, che si alimenta anche di stupidità”. Ma lo stesso si può dire della russofobia di chi paragona ai nazisti i russi che li sconfissero, o esclude la Russia dalle celebrazioni per la liberazione di Auschwitz a opera della Russia, mentre finanzia e arma il battaglione Azov e altre nazi-milizie ucraine. Questi russofobi sono proprio dei bei tipi: se li chiami per nome, anziché appuntarsi al petto la sudata medaglia, si offendono.

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MODALITÀ OPOSSUM

Editoriale di Marco

01 agosto 2025

Il via libera di Conte a Matteo Ricci nelle Marche è forse obbligato, ma rischioso. Dalle carte finora rese pubbliche – l’invito a comparire come indagato per corruzione – si evince che la vecchia giunta Ricci a Pesaro affidò senza gara appalti ed eventi a due associazioni create ad hoc da amici del suo braccio destro che poi lo “ringraziarono” con 100 mila euro. Ma non emergono elementi che dimostrino la sua consapevolezza o complicità nello scambio. E nessuno sa se i pm che lo accusano di concorso in corruzione quegli elementi li posseggano e li tengano nel polsino o no. Giusto prendere tempo per leggere le carte disponibili e attendere gli interrogatori: se i Ricci-boys avessero accusato l’ex sindaco che li scarica di essere connivente con loro, non solo il M5S avrebbe dovuto mollarlo, ma forse persino il Pd avrebbe estratto la testa dalla sabbia. E scelto una linea un po’ meno indecente del “Ricci si dice estraneo, quindi è estraneo” (oste, è buono il vino?). Ma i Ricci-boys hanno fatto scena muta. E nessuno può sapere quando parleranno e cosa diranno: confermeranno la sua difesa insaputista (“Non so nulla perché non mi occupavo di appalti”) o la smentiranno, magari sollecitati da qualche asso uscito dalla manica dei pm? Nel primo caso, Ricci ha la strada spianata, elettori permettendo. Nel secondo, la partita chiusa ieri si riaprirà con la richiesta di rinvio a giudizio quando non ci sarà più nulla da fare: se sarà prima delle elezioni, i 5Stelle inviteranno a non votare Ricci; se sarà dopo, usciranno dalla giunta (come in Puglia da quella di Emiliano, neppure indagato), oppure il Pd si ricorderà di avere un Codice etico che impone le dimissioni ai rinviati a giudizio per corruzione.

Quindi Conte sostiene Ricci come la corda sostiene l’impiccato: appoggio condizionato e a tempo. Il che rende ancor più assurde le decisioni del Pd di candidarlo e, con l’aggravarsi dello scandalo, di confermarlo: Ricci, eurodeputato da appena un anno, tale doveva restare per onorare il mandato degli elettori fino al 2028. Ora invece, se sarà eletto presidente delle Marche, passerà mesi o anni appeso agli umori dei suoi ex fedelissimi. Queste sono le ragioni, non penali ma politiche, che avrebbero dovuto indurre il Pd, a conoscenza del caso fin dall’inizio, a scegliere un altro. Invece Schlein&C. si sono finti morti in modalità opossum. Come a Milano, dove mesi di inchieste giornalistiche e poi l’avviso a Sala e le richieste d’arresto per il resto del Sistema Milano non sono bastati per affrontare una questione morale (non penale) grande come un grattacielo. Così ieri gli arresti sono arrivati. Ma l’opossum, dopo essersi finto morto per sfuggire ai predatori, si rimette in piedi. Nel Pd ancora tutto tace: più che tanatòsi, è rigor mortis.

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FA FINE E NON IMPEGNA

Editoriale di Marco Travaglio

02 agosto 2025

Oggi trovate col Fatto il rapporto di Francesca Albanese, relatrice dell’Onu sui territori palestinesi occupati: una delle rare personalità al mondo che alle parole fa seguire i fatti e ne paga le conseguenze. Abbiamo deciso di pubblicarlo pensando a un bambino di Gaza condannato a vivere nell’ultimo girone dell’Inferno, ad arrostire in fila per ore sotto il sole cocente per strappare, se è fortunato, una ciotola d’acqua sporca e un piatto di brodaglia mista a sassi e sabbia (i famosi “aiuti”), a zigzagare fra le bombe dei droni e le raffiche di mitra dell’Idf e/o della Ghf. Cosa penserebbe se, come pena accessoria, gli toccasse pure vedere i nostri tg o leggere i nostri giornali? Dopo il primo anno di silenzi, quando i morti han superato quota 50 mila è partita in Europa la gara a scaricarsi la coscienza, a costo e a rischio zero. Giornalisti e intellettuali hanno iniziato a usare parole sempre più estreme: pulizia etnica, anzi apartheid, anzi genocidio, anzi tutt’e tre le cose, tié; Netanyahu assassino, anzi macellaio, anzi nazista, anzi tutt’e tre le cose, così impara. Per il bambino di Gaza e per il governo Netanyahu non cambia un bel nulla, ma vuoi mettere come si sente fico chi si riempie la bocca di tutti quei bei paroloni? Gli mettono pure un sacco di like sui social.

Anche i politici hanno escogitato una trovata che fa fine e non impegna: annunciare o invocare il riconoscimento dello Stato di Palestina, che non è nato quando lo riconoscevano 147 Paesi e continuerà a non nascere quando e se lo riconosceranno pure Francia, Germania, Uk, Canada e altri trafelati neofiti. Però vuoi mettere quanto sembrano coraggiosi Macron, Merz, Starmer e gli altri parac**i? Senza quella magnifica dichiarazione d’intenti, dovrebbero fare qualcosa di concreto per salvare i palestinesi superstiti, costringere Netanyahu a fermarsi e creare le condizioni perché lo Stato palestinese possa un giorno nascere davvero. O almeno spiegare perché non fanno nulla: 18 pacchetti di sanzioni alla Russia e zero a Israele, che diversamente dalla Russia è nostro alleato e non ha le risorse naturali, industriali e diplomatiche di Mosca per resistere a embarghi economici e militari. Invece ora, se qualcuno osa fare domande, possono rispondere: “Ma io ho detto che riconoscerò lo Stato palestinese, che volete da me?”. Intanto Netanyahu & C. continuano a massacrare i palestinesi di Gaza al ritmo di cento al giorno, a inzeppare la Cisgiordania di colonie illegali e a frenare il calo di consensi in Israele perché gli alleati parlano, tuonano, strepitano, ma non fanno una mazza. Però ora il nostro bambino, mentre fa lo slalom fra le bombe e le raffiche di mitra, sa che qui è pieno di gente che riconosce il “genocidio” e lo “Stato palestinese”. E può morire tranquillo.

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