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Dino

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LES CORNUS

Editoriale di Marco Travaglio

07 ottobre 2025

Eniente, dopo soli 836 minuti anche Lecornu è venuto prematuramente a mancare, anche se lo tengono attaccato alle macchine per altri due giorni. Strano, perché per fare un’ottima riuscita aveva proprio tutto: è un “moderato riformista” e, com’è noto, “si vince al centro”; l’ha scelto Macron, il liderino amato dalla la gente che piace (soprattutto in Italia) e odiato dal suo popolo (notoriamente “populista”); non lo voterebbero manco i parenti stretti e questo fa curriculum nell’Occidente che, a furia di esportare la democrazia, l’ha quasi finita; pretendeva, come i predecessori, di governare la Francia contro i 9/10 dei francesi con un governo quasi uguale a quello appena sfiduciato, per salvare la poltrona al mini-Napoleone dell’Eliseo, il genio incompreso che programma il futuro di Russia, Ucraina, Ue e Nato senza sapere se arriva a Natale. Cosa poteva mai andargli storto? Purtroppo quegli estremisti, populisti, sovranisti e ovviamente putiniani della destra e della sinistra che fanno sempre il pieno di voti non lo hanno capito e, anziché perdere milioni di elettori per portargli l’acqua con le orecchie, l’han bocciato. Ma non disperiamo. Prima di ammettere che forse il problema è lui e tornarsene a casa da Brigitte a suon di sberle, Micron ha ancora parecchie frecce al suo arco: gli basterà attingere al vasto catalogo di opzioni della democrazia 2.0 regnante da 15 anni in Europa.

Modello Italia. Si prende un banchiere o un prof che lavora per qualche banca d’affari, lo si promuove “tecnico super partes” per un “governo dei migliori” che trasformi l’esigua minoranza delle élite in maggioranza oceanica.

Modello Romania. Si va alle Presidenziali e, se vince il candidato sbagliato, si annulla tutto e si arresta il vincitore perché “ha stato Putin”. Poi si rivota a oltranza finché non vince quello giusto.

Modello Georgia. Se vince quello sbagliato grazie al solito Putin, si foraggiano cortei “spontanei” della minoranza democratica contro la maggioranza anti-democratica che pretende di governare solo perché ha vinto.

Modello Moldova. Si mettono fuorilegge i partiti sbagliati, dunque antidemocratici perché telecomandati dalla guerra ibrida russa, così vincono i democratici.

Modello Ucraina. Se vince il candidato sbagliato tipo Yanukovich nel 2004 e nel ‘10, si finanzia una “rivoluzione arancione” per cacciarlo. E, se rivince, si assoldano cecchini per una “rivoluzione rossa” (di sangue) che lo ri-cacci.

Modello baltico-polacco-tedesco-danese-israeliano. Si nomina primo ministro un altro Carneade, tipo Bayrou o Lecornu. Poi si fa volteggiare qualche drone non identificabile su un paio di aeroporti e si dichiara guerra alla Russia fingendo che sia stata la Russia a dichiarare guerra alla Francia.

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Dino

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DEMOCRAZIA CONTRO POPOLO

Editoriale di Marco Travaglio

08 ottobre 2025

La sapete l’ultima? Ce la rivela Repubblica: se Macron è più impopolare di Landru, se consuma più premier che mutande (Borne, Attal, Barnier, Bayrou e Lecornu in due anni scarsi) e se la sua Francia è messa peggio dell’Italia, non è colpa di Macron. Anzi, lui non c’entra: il fatto che continui a nominare primi ministri centristi, tutti noti frequentatori di se stessi per governare contro il popolo che si ostina a votare la sinistra e la destra, è solo un dettaglio. La colpa è di una misteriosa “crisi di governo che lo stringe in un angolo” a sua insaputa. Misteriosa, poi, mica tanto: “È la più importante vittoria di Putin negli ultimi mesi”. Ecco: ha stato Putin. “Non a caso a innescarla è stata l’azione convergente di estrema destra ed estrema sinistra, unite solo dalla fede putiniana in una sciagurata riedizione dell’alleanza giallo-verde tra Conte e Salvini che portò l’Italia sull’orlo della bancarotta”. Quindi ha stato anche un po’ Conte, sul cui primo governo Rep racconta balle. Non solo non portò l’Italia sull’orlo del crac, malgrado le profezie di sventura di Rep e dell’Ue. Ma anzi varò Reddito di cittadinanza e Quota 100 tenendo in ordine i conti: deficit del 2019 all’1,6% del Pil (il più basso dal 2007, contro il previsto 2,2), avanzo primario all’1,7% del Pil (il più alto dal 2013) e spread in calo rispetto a Gentiloni. Chi ha portato il suo Paese sull’orlo della bancarotta è Macron, che sgoverna da ben sette anni.

Ma torniamo a Putin che se la sta prendendo per interposti Le Pen e Mélenchon. I due putribondi figuri si candidano da anni alle elezioni legislative e ogni volta si permettono di prendere molti più voti di Macron. Ma questa, malgrado le apparenze, per Rep non è democrazia: è “anomalia democratica”. Infatti il democratico Macron è riuscito finora a far governare non chi ha i voti, ma chi non li ha: e questa sì che è democrazia. Lo fa “in nome e per conto di 450 milioni di europei” e di “miliardi di esseri umani” che “credono nella democrazia”, vedono nell’Europa “l’unico bastione contro le derive autoritarie e imperiali” e trepidano per “la sopravvivenza stessa dell’Occidente e dei suoi valori”. Come farà Rep a saperlo? O sente le voci come Giovanna d’Arco, o quei miliardi di esseri umani chiamano i centralini di Rep e lasciano detto. Poi, grazie agli hacker russi, sbagliano sempre a votare. Non solo in Francia. In Germania “i neonazisti filo-putiniani di Afd, sostenuti da Trump, aspirano a diventare primo partito” e “in Gran Bretagna la destra anti-europea di Farage nutre le stesse ambizioni”. Strano: da che mondo è mondo, tutti i partiti aspirano ad arrivare ultimi. Invece quelli putiniani sono così antidemocratici che vogliono arrivare primi. Poi dicono che la guerra ibrida non esiste.

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CERCANSI SOVRANISTI

Editoriale di Marco Travaglio

09 ottobre 2025

Sottraendo Ilaria Salis al suo processo per un voto (quello dell’interessata, si suppone), il Parlamento europeo ha certificato che l’Ungheria non è uno Stato di diritto. Quindi, per coerenza, dovrebbe espellerla dall’Ue e chi la fece entrare nel 2004 (commissione Prodi) dovrebbe ammettere l’errore. Non solo per l’Ungheria, ma anche per altri Paesi dei nove spensieratamente imbarcati nella stessa infornata: Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Cekia, Slovacchia, Slovenia. Il principio circense “Più gente entra, più bestie si vedono” ha prodotto disastri e altri ne produrrà. Tipo la guerra mondiale in cui tentano di trascinarci non l’Ungheria (che anzi è il primo freno), ma i tre Baltici e la Polonia. Estonia, Lettonia e Lituania hanno poco più degli abitanti di Roma, ma controllano in Ue l’Economia (Dombrovskis), gli Esteri (Kallas) e la Difesa (Kubilius); la Polonia il Bilancio (Serafin). E non passa giorno senza che inventino, spesso in combutta con Zelensky, un attacco russo per giustificare il riarmo e l’escalation e regolare vecchi conti. La Merkel ha appena ricordato le responsabilità di baltici e polacchi nel troncare il dialogo Ue-Mosca fino all’agognata guerra in Ucraina. Gli stessi baltici, polacchi e ucraini si opposero ai gasdotti Nord Stream che rifornivano mezza Europa di metano russo a poco prezzo, contribuendo alla nostra prosperità. Quando un commando di terroristi li fece saltare, il primo a esultare fu l’attuale ministro degli Esteri polacco Sikorski: “Thank you Usa!”. Ma si scordò di coordinarsi con Kiev, che tentava di attribuire l’attentato a Putin.

Poi i giudici tedeschi scoprirono che il più grave attacco a un’infrastruttura europea dal 1945 era opera di terroristi di Stato ucraini, con complicità polacche: uno fu individuato in Polonia, ma fuggì in Ucraina su un’auto blu dell’ambasciata di Kiev; un altro è in carcere in Italia in attesa di estradizione; un terzo, Volodymyr Z. (tutto vero), l’hanno arrestato l’altro giorno in Polonia. Ma ora il premier polacco Tusk dichiara che “il problema del Nord Stream non è che sia stato fatto saltare, ma che sia stato costruito”. Chissà se quel fantoccio di Merz gli risponderà, visto che la Germania è in ginocchio anche per quell’attentato. Tusk aggiunge che “non è nell’interesse della Polonia consegnare questo cittadino a un altro Stato”: cioè eseguire l’ordine di cattura internazionale. Che però spetta ai giudici, non al governo: bell’esempio di Stato di diritto. Però Tusk è un noto “liberale”, quindi può fare impunemente come e peggio del “sovranista” Orbán: anche esaltare e proteggere i terroristi. Ma dove sono i nostri “sovranisti”? Che aspettano a fuggire a gambe levate da un’Europa dominata da questi manigoldi?

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GAZA FOR TAJANI

Editoriale di Marco Travaglio

11 ottobre 2025

Le immagini dei gazawi in festa tra le macerie per la fine della mattanza e financo per Trump e quelle dei parenti degli ostaggi israeliani che si abbracciano a Tel Aviv straziano il cuore. E dovrebbero far vergognare i leader europei che non hanno fatto nulla perché accadesse prima: tutti premi Nobel per il miglior attore non protagonista. Ma dovrebbero anche inorgoglire chi in Europa s’è battuto in parlamenti, piazze, scuole, atenei, media e flottiglie per smuovere le coscienze e salvare l’onore dei nostri Paesi: è anche grazie a loro che Trump s’è deciso a costringere Netanyahu ad accordarsi con Hamas, cioè ad ammettere il totale fallimento. Invece chi dovrebbe vergognarsi esulta e chi dovrebbe esultare si vergogna. La Meloni s’imbroda per il “contributo silenzioso” al piano Trump: così silenzioso che nessuno se n’è accorto. Tajani riposta il video, forse fake, di due giovani gazawi che sventolano il tricolore in “segno di riconoscenza e gratitudine nei confronti di quello che ha fatto e farà l’Italia”. Purtroppo il filmato è di un account X pro Pal che dice “grazie italiani per essere insorti contro il vostro governo” in piazza. Tajani, vicepremier del governo che ha trattato quei manifestanti da terroristi e ha continuato ad armare Israele, crede che a Gaza festeggino lui. Anzi, popolare com’è anche là, si aspetta che ora sventolino pure i suoi poster.

In compenso molti pro Pal hanno accolto la notizia che riempie di gioia Gaza e Israele con un misto di fastidio e cordoglio. I talk sembrano veglie funebri: luci semispente, ospiti in gramaglie per la fine della cosiddetta guerra, volti luttuosi, pessimismo obbligatorio. Mancano solo le bandiere a mezz’asta e i De Profundis. Chi vaticinava che Trump avrebbe riempito il mondo di guerre non può ammettere che ne ha fermata almeno una. E se qualcuno pensava di trasformare la denuncia del genocidio in un mestiere fino alla pensione, dovrà trovarsene un altro. È la versione farsesca della sindrome di Rambo, tipica di ogni reducismo: torni dalla guerra, spesso combattuta nel salotto di casa, nessuno ti si fila. Si stava meglio quando si stava peggio, anche perché a stare peggio erano i palestinesi, che ora grazie a Trump non muoiono più e forse ricevono pure qualcosa da mangiare. Se il piano portasse la firma di Biden o della Harris o di qualche altro “buono”, quello sì sarebbe un fatto storico da Nobel. Come per Obama, Al Gore e persino l’Ue. Invece l’ha firmato il puzzone cattivo: quindi è finto, non dura, domani si torna a sparare. Così buoni e cattivi tornano ciascuno nel posto assegnato. E gli orfani e le vedove di guerra ritrovano una ragion d’essere. Possibilmente prima che Trump ci prenda gusto e si faccia tornare strane idee di pace pure fra Russia e Ucraina.

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CHI FERMA CHI

Editoriale di Marco Travaglio

12 ottobre 2025

“Se hai fermato la guerra a Gaza, puoi fermare anche Mosca”. L’ha detto ieri, che Dio lo perdoni, Zelensky a Trump. Come se la guerra in Ucraina si potesse arrestare fermando chi la sta vincendo. E come se le due situazioni fossero paragonabili. A Gaza, in due anni di vani tentativi di annientare Hamas, Netanyahu ha sterminato 67 mila palestinesi. E Trump l’ha fermato (per il momento) per salvare la faccia agli Usa e gli affari con gli Stati del Golfo, oltreché per la sua benedetta ossessione di pacificare il mondo con la paura (la Teoria del Matto). In Ucraina, dal febbraio 2022, c’è una guerra tradizionale fra due eserciti armati fino ai denti e da tre anni esatti (dopo l’invasione russa e l’unica vera controffensiva di Kiev) Mosca non fa che avanzare e Kiev arretrare. Putin controlla quasi il 20% dell’Ucraina (115 mila kmq) e nei primi nove mesi del 2025 ha conquistato 4-5 mila kmq su tutto il fronte lungo 1.350 km, a un ritmo di circa 500 al mese (superiore a quello del 2024). Il che significa che non solo la Russia non si è indebolita per le sanzioni e le armi Nato all’Ucraina, ma si è rafforzata e continuerà ad avanzare. Chi rischia il tracollo sono gli ucraini, falcidiati da perdite impossibili da compensare. Mentre Putin recluta 30 mila volontari al mese e arruola altri 135 mila soldati di leva, la commissione Bilancio del Parlamento di Kiev comunica di aver finito i fondi per gli stipendi dei militari; 1,5 milioni di ucraini si nascondono dai reclutatori per non andare al fronte e almeno 150 mila sono sotto inchiesta per aver disertato; per la corruzione dilagante e i bombardamenti sulle fabbriche, il 60% dei droni prodotti in loco sono difettosi.

Questo è l’unico punto di contatto fra Gaza e l’Ucraina: la presenza di due leader che hanno perso la guerra, ma continuano a raccontare e a raccontarsi di poterla vincere, condannando a morte decine di migliaia di persone e danneggiando il proprio Paese. Uno è Netanyahu. Ma l’altro non è Putin, come racconta e si racconta Zelensky: è lui. Non sappiamo cosa gli abbia risposto Trump quando gli ha chiesto di fermare Mosca (magari fornendo a Kiev i missili Tomahawk da sparare su Mosca e San Pietroburgo nell’illusione che Putin si arrenderà anziché rispondere con ancor più durezza). Ma la realtà è identica da tre anni: è l’Ucraina che deve accettare un compromesso sui territori che lo stesso Zelensky 10 mesi fa ammise di non poter recuperare e su quelli che perderà nei prossimi mesi se costringerà il suo esercito in rotta a combattere ancora. A Gaza la guerra è finita perché Trump ha fermato l’alleato dell’Occidente che la stava perdendo. In Ucraina serve un disegnino per spiegare a Zelensky chi è l’alleato dell’Occidente che sta perdendo?

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MA MI FACCIA IL PIACERE

Editoriale di Marco Travaglio

13 ottobre 2025

I grandi perché. “Perché Francesca Albanese non può dire a Liliana Segre di stare zitta” (Antonio Polito, Corriere della sera, 7.10). Forse perché non gliel’ha mai detto.

Il vero oppositore. “Matteo Renzi a Realpolitik si conferma l’unico oppositore della ducetta” (Dagospia, 9.10). “Voto su Almasri, negata l’autorizzazione a procedere. Niente processo ai ministri, rispuntano i franchi tiratori. In favore del ministro Piantedosi aveva annunciato voto favorevole Italia Viva” (Ansa, 9.10). Il famoso oppositore consenziente.

La vera alternativa. “C’è ancora molto da fare per costruire un’alternativa credibile. Serve un chiarimento con il M5S. Il discrimine sta nella difesa europea e nell’Ucraina” (Paolo Gentiloni, Pd, 11.10). Per essere alternativi alla Meloni bisogna diventare identici alla Meloni.

Figli di NN. “Doppio standard: i droni sull’Europa potrebbero non essere russi, ma i droni sulla Flottilla (sic, nda) sono sicuramente israeliani” (Antonio Polito, X, 24.9). “L’attacco con droni contro le navi della Flotilla in Tunisia è stato ordinato da Netanyahu” (Cbs, 6.10). Pazienza dài, è andata così.

Beati loro. “Trump: ‘La Spagna dovrebbe uscire dalla Nato’” (Corriere della sera, 9.10). Certe botte di c**o càpitano sempre agli altri.

Ascolta, si fa Pera. “Marcello Pera: ‘Quanti danni da Bergoglio. Papa Francesco pauperista estraneo all’Europa’” (Giornale, 8.10). Strano, credevamo che l’Argentina fosse in Europa.

Senza bunker. “Allarme sicurezza sulle alte cariche: non c’è un bunker per Mattarella. In caso di attacco esterno il presidente della Repubblica sarebbe provvisto di adeguate misure di sicurezza. Ma non di un bunker” (Francesco Verderami, Corriere della sera, 11.10). Tutti i milioni di italiani che ne hanno uno sono pregati di prestarglielo.

Vergogna l’è morta. “Dopo le figuracce in tv su Gaza alla Albanese resta la parrucchiera… In caso si consolerà col bigodino d’oro” (Alessandro Gonzato, Libero, 11.10). “Arringhe e presunzione. Il ‘metodo’ Albanese, nostra signora pro Pal… Una smorfia che sembra un sorriso, i capelli argentati, gli occhiali modaioli, una studiata eleganza radical chic sui toni pastello… eccola esibirsi nelle sue faccette, alza gli occhi al cielo, arriccia il naso… Ma aveva quel non so che nello sguardo. Capito cosa?” (Fabrizio Roncone, Corriere della sera, 11.10). Sì, che dovreste vergognarvi.

Pina Fantozzi. “La solitudine del riformista è ormai un genere letterario, una posizione scomoda in questo momento. È scomodo dover spiegare che fare politica non è sventolare bandiere identitarie, non è assecondare la radicalizzazione se si vuole costruire un’alternativa possibile” (Pina Picierno, eurodeputata Pd, 11.10). Oh, povera riformista scomoda, l’hanno rimasta sola: e adesso come facciamo?

La compagna camerata. “La nostra è una lotta globale e voi siete i nostri alleati. Quelle che avvengono in Europa, come quelle che combattiamo in Venezuela, hanno gli stessi obiettivi, valori e nemici” (Maria Corina Machado alla convention a Madrid dell’estrema destra Vox insieme a Salvini, Le Pen, Wilders, Orbán e Milei, dopo aver sostenuto due tentati golpe a Caracas e prima di chiedere l’intervento militare di Usa e Israele contro il suo Paese, 9.2). “Maria, la dama de hierrro: una pasionaria moderata e centrista” (Repubblica, 11.10). “Machado, la voce della libertà” (Stampa, 11.10). “Il Nobel a Machado è un Nobel alla resistenza democratica” (Roberto Saviano, YouTube, 11.10). “Congratulazioni a Maria Corina Machado, leader dell’opposizione venezuelana, a cui è stato conferito il premio Nobel per la Pace. Un riconoscimento per il suo impegno per la democrazia in Venezuela” (Laura Boldrini, deputata Pd, X, 10.10). Ammazza quante volpi.

Ballusti. “Il Superbonus 110% è una cosa buona fatta dal governo Conte per rimettere in piedi la filiera dell’edilizia che è motore dell’economia” (Alessandro Sallusti, Libero, 8.10.21). “Lo sciagurato bonus del 110 per cento: un buco di quasi 200 miliardi” (Sallusti, Giornale, 11.10.25). Più che altro un buco di memoria.

Il titolo della settimana/1. “Che cosa ci stanno insegnando l’Ucraina e Israele sulle guerre che si possono vincere” (rag. Claudio, Cerasa, Foglio, 11.10). Ci stanno insegnando che sono entrambe perse.

Il titolo della settimana/2. “Lo scenario calabrese e l’ipotesi renziana” (Stefano Folli, Repubblica, 7.10). Quella di non presentarsi proprio.

Il titolo della settimana/3. “Il paradosso di Macron: leader nel mondo, debole a Parigi” (Repubblica, 7.10). Leader nel mondo della fantasia.

Il titolo della settimana/4. “Renzi: ‘Riformisti al 10% o Meloni va al Quirinale’” (Messaggero, 6.10). O lui si ritira dalla politica.

Il titolo della settimana/5. “L’orgoglio di Palazzo Chigi: ‘Così abbiamo costruito la pace’” (Giornale, 10.10). Uahahahahah.

Il titolo della settimana/6. “Putin e la corsa all’immortalità” (Corriere della sera, 10.10). Da Putin moribondo a Putin immortale, è un attimo.

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SENZA SE E SENZA HAMAS

Editoriale di Marco Travaglio

15 ottobre 2025

Il salto sul carro del vincitore, da sport nazionale, è diventato una gag. Per due anni, nei talk e sui giornali, una banda di squilibrati assatanati negava il massacro dei gazawi, o lo giustificava col 7 ottobre, incitava Netanyahu a finire il lavoro fino al definitivo annientamento di Hamas e, se provavi a spiegare che il terrorismo si combatte con l’intelligence e non radendo al suolo tutto e tutti, eri un “antisemita tagliagole e tagliateste”. Ora che Trump ha fatto ciò che noi – anime belle pacifinte e complici di Hamas – speravamo fin dall’8 ottobre 2023, cioè ha costretto Netanyahu a fermare la mattanza, a rinunciare ad annessioni coloniali e guerre contro tutti i vicini, a firmare un accordo con Hamas (così sconfitta da venir promossa a polizia di Gaza al posto dell’Idf), a liberare 1900 detenuti (fra cui tagliagole e tagliateste passati e/o futuri) in cambio di 20 ostaggi e a disertare la firma a Sharm perché Erdogan non lo voleva, ci aspettavamo che la masnada tenesse il punto in lutto stretto. Invece, oplà: finge che gli sconfitti Netanyahu&C., bocciati su tutta la linea, abbiano vinto ed esalta la pace di Trump dopo aver detto che avrebbe portato più guerre. Questa voluttà sadomaso di esultare per non averne azzeccata una è ancor più comica della mestizia degli orfani di guerra, che per 24 mesi hanno maledetto gli americani perché non fermavano Netanyahu e manifestato in piazza affinché lo facesse, e ora si disperano perché l’ha fatto l’americano sbagliato. Così chi aveva ragione lascia il campo libero a chi ha le ha sbagliate tutte.

“Trump libera tutti”, titola Libero di Sechi, quello che “la guerra finirà quando lo decide Israele”, “Bibi deve finire il lavoro fino all’annientamento di Hamas” e pure degli ayatollah col famoso “regime change a Teheran” (ciao, core). Sallusti sul Giornale tripudia per “Il miracolo di Trump”, che ha fatto l’opposto di quel che diceva lui: “Israele può vincere la guerra ad Hamas e continuerà fino a raggiungere l’obiettivo” e “l’Occidente non tentenni”, come “per piegare il Terzo Reich”. Poi c’è l’angolo del buonumore, cioè il Foglio. Il rag. Cerasa titolava “In bocca a Trump ‘pace’ è diventata una parola sinistra”, pubblicava “Appunti sul Vietnam di Trump” e la sua ”Arte delle paci-truffa”, additandolo come colluso a Khamenei: “negozia alla cieca con Russia e Iran” con l’“impreparato Witkoff”, “imbroglia Israele”, “salva il nucleare iraniano”, riserva “il trattamento Zelensky a Netanyahu” e fa “annunci pericolosi su Teheran ed Erdogan”. E Ferrara sputava su “Trump e la banalità dello schifo”. E ora? Tre pagine col discorso di Trump e il sobrio titolo “Vittoria di Israele. Vittoria della pace”. Ma soprattutto del Foglio. Prossima scena: Ferrara che si paracaduta su Gaza per conferire ad Hamas il premio Poliziotto dell’Anno.

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PARISI È SEMPRE PARISI

Editoriale di Marco Travaglio

16 ottobre 2025

Ingenuamente pensavamo che Orazio Schillaci fosse uno dei pochi ministri presentabili dell’Armata Brancameloni. Essendo docente di Medicina nucleare e non avendo partecipato alla fiera della cazzata col resto della truppa, pareva il curriculum giusto per la Salute. Poi s’è scoperto che ha nominato Giorgio Parisi, fisico e premio Nobel, a presidente della Commissione Antidoping scambiandolo per Attilio Parisi, rettore al Foro Italico e medico sportivo. Ma questo è il meno, perché l’errore è degli uffici che hanno inviato la lettera d’incarico al Parisi sbagliato (ed è una fortuna che non l’abbiano recapitata a Heather, o al prodiano Arturo, o al terzino viola Fabiano, o ai dj Marco e Giampaolo, o all’ex candidato sindaco milanese Stefano, o all’ex capo della Polizia Vincenzo, peraltro defunto). Il peggio è la toppa peggiore del buco escogitata dal ministro per tentare di uscirne. Avrebbe potuto, che so, incolpare la buonanima di Totò Schillaci. Invece ha dichiarato: “Non è mai sbagliato coinvolgere un premio Nobel”. Quindi l’ha fatto apposta. Ma non ha spiegato perché non ha coinvolto Carlo Rubbia, anche lui Nobel per la Fisica, ma pure senatore a vita, ergo più addentro alla politica. A meno che Parisi (Giorgio) sia stato preferito perché, essendo uno studioso del caos, poteva trovarsi più a suo agio in quel circo Barnum. Dov’è stato appena partorito il decreto che stipa nella stessa festa nazionale san Francesco e santa Caterina, in condominio. E dove s’incontrano altri cognomi famosi: Zangrillo (non omonimo, ma fratello del dottore di B.), Arianna Meloni (non omonima, ma sorella di Giorgia), Lollobrigida (omonimo di Gina ed ex marito di Arianna), la Rauti (figlia del più noto Pino), la Bernini (omonima dell’artista), Giuli (omonimo di una porzione del predecessore Sangiuliano, detratti il San e l’ano) e persino Filini (dottore in Scienze politiche e non ragioniere, ma sempre fantozziano).

E meno male che questi sono i “professionisti della politica”, mica come gli “scappati di casa” 5Stelle, da tutti dipinti come bifolchi gaffeur malgrado il record di laureati nei gruppi parlamentari. Ricordate la “scappata di casa” Alessandra Todde che un sinedrio golpista dichiarò decaduta da presidente della Sardegna senza averne il potere, tra i frizzi e i lazzi dei soliti lustrascarpe? Nicola Porro scrisse che, persi “i voti degli idioti in servizio permanente”, “la setta di cartapesta” M5S era “estinta” e “dissolta come le scie chimiche” per l’“inettitudine dell’intera truppa parlamentare”. Ieri la Corte costituzionale ha stabilito che non era illegittima l’elezione della Todde, ma la sua decadenza. E pazienza, dài: gli scappati di casa son tornati a casa. I lustrascarpe, invece, restano a piede libero. E a lingua sciolta.

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E UNA FETTINA DI c**o

Editoriale di Marco Travaglio

17 ottobre 2025

Bisogna ringraziarli, questi pazzi scatenati che chiamiamo Ue, perché confessano senza neppure accorgersene: 6.800 miliardi in 10 anni per le armi (1.500 l’anno per ogni europeo, bimbi compresi). E tutti ai piedi di Zelensky che ci chiede “il 2,5% del vostro Pil per un totale di 60 miliardi nel 2026” (e una fettina di c**o vicino all’osso no?) per continuare a perdere la guerra. Fino a un mese fa si davano il cambio nel segnalare ogni giorno terribili sconfinamenti di droni senza vittime né danni, promettendo indagini per dimostrare che erano russi e che l’attacco di Putin era finalmente partito. Poi i servizi polacchi rivelarono che l’unica casa polacca danneggiata dal terribile attacco dei droni pseudorussi l’aveva bombardata un missile polacco. E, dopo 20 giorni di avvistamenti quotidiani, i droni scomparvero dai cieli. E con essi le indagini per dimostrare che erano russi. Tanto ormai avevano ottenuto il loro duplice scopo. 1) Spaventare i popoli europei e far loro ingoiare le leggi di Bilancio dei 27 governi, con decine di miliardi rubati al Welfare per comprare armi, perlopiù Usa. 2) Giustificare il “Muro di droni” inventato da Von der Leyen, Kallas, Kubilius e altri svalvolati per ingrassare le industrie belliche soprattutto tedesche e salvare le altre distrutte dalle autosanzioni Ue.

Il guaio è che la gente continua a schifare il riarmo da 800 miliardi contro nemici immaginari. Così Ursula gli cambia nome per la terza volta: da “ReArm Europe” a “Prontezza 2030” (un ossimoro) a “Preservare la Pace” (con più armi: altro ossimoro). Il prossimo sarà “Diversamente Disarmo” o “Sex Bomb”. Intanto i partiti del riarmo continuano a perdere milioni di voti, aggrappandosi al Lecornu di turno, e quelli anti-riarmo (incredibilmente di destra) a guadagnarne. E ci mancherebbe che non accadesse. Mettetevi nei panni di un polacco che legge l’intervista a Rep del suo vicepremier Radek Sikorski: siccome l’Europa non ha più nemmeno gli occhi per piangere, deve devolvere “45-50 miliardi all’anno a Kiev per i prossimi tre anni”. Cioè la guerra deve continuare fino al 2028, tanto si sa come andrà a finire: “La Russia ha perso la guerra di Crimea nel XIX secolo e quella col Giappone nel 1905”, quindi perderà anche in Ucraina dove avanza da tre anni. Avendo studiato la storia su Tiramolla, gli sfugge la fine fatta da Napoleone e Hitler, quando Mosca non aveva ancora neppure le atomiche. La Merkel ci mette in guardia dai corresponsabili della guerra russo-ucraina: Polonia e Baltici. Tre anni e mezzo fa, in combutta con Biden e Johnson, usarono Kiev per attirare Mosca nella guerra. Ora, siccome l’hanno persa, ci riprovano usando l’intera Europa. Cioè noi. Quando ci decidiamo a farla finita con questi dementi?

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NOTIZIE BOMBA

Editoriale di Marco Travaglio

18 ottobre 2025

La bomba contro Sigfrido Ranucci non è un attentato o un avvertimento a tutti i giornalisti. Magari lo fosse: vorrebbe dire che la democrazia è sana e il “quarto potere” funziona. Ma allora colpirne un singolo esponente sarebbe inutile, perché poi bisognerebbe colpirli tutti; anzi dannoso, perché si scatenerebbe la reazione di tutti. Invece di giornalisti come Sigfrido e gli altri di Report ce ne sono pochi, pochissimi: li conosciamo per nome e cognome perché quelli che danno notizie proibite e fanno domande indiscrete si contano sulle dita delle mani di un monco. La stragrande maggioranza degli iscritti all’Albo nessuno si sognerebbe di toccarla, perché non ha mai dato fastidio a nessuno e ha sempre fatto comodo a tutti. Quindi la bomba – qualunque ne sia la matrice – era contro Ranucci e Report, non contro una categoria popolata di soggetti che Sigfrido si vergognerebbe di chiamare “colleghi”. E chi l’ha piazzata è andato a colpo sicuro, nel senso che intorno a lui c’è quasi il vuoto. Contro Report – da Gabanelli a Ranucci – gran parte della politica si esercita da trent’anni al tiro al bersaglio, dalle destre al Pd alle frattaglie “riformiste” (la Gabanelli, uscita da Report per lavorare al portale delle news Rai, fu messa alla porta nella luminosa èra renziana, che aveva pure Ranucci nel mirino ben prima dell’avvento di “TeleMeloni”). La lista dei politici che chiedono di punire o di chiudere Report, e intanto lo coprono di cause civili e querele, è sterminata, fino alla patetica sceneggiata di Gasparri in Vigilanza con carota e cognac contro Ranucci “per dargli coraggio” (di cui carota e cognac sono notoriamente i simboli), essendo il Gasparri un celebre cuor di leone che denuncia chi lo critica e corre a piangere da mammà per l’immunità quando qualcuno lo querela perchè lui l’ha insultato.

Poi c’è la lista dei grandi gruppi economici e finanziari che, appena Report li sfiora, corrono in tribunale, peraltro con grave sprezzo del pericolo. Infine c’è la pletora di “giornalisti” e “critici televisivi” che, non contenti di leccare il potere, si scagliano pure contro Report perché ha l’ardire di smascherarlo, mettendoli in mutande. Sono gli stessi che ora attaccano Crozza, reo di fare satira solitaria in un Paese che, dopo il giornalismo, ha abolito pure quella. Gli stessi che, quando Assange era recluso in un’ambasciata e poi in un carcere a Londra, fischiettavano o gli davano della spia russa perché, diversamente da loro, faceva bene il suo mestiere. È questo il vero “isolamento” che espone al pericolo alcuni giornalisti, magistrati e figure di contro-potere: non il fatto di avere contro il potere (questo è fisiologico), ma di essere così pochi da sembrare strani o deviati. Quindi più facili da eliminare o silenziare.

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REPORK

Editoriale di Marco Travaglio

19 ottobre 2025

Sono bastate poche ore dalla bomba contro Ranucci perché non se ne capisse più il destinatario, tale è la folla di politici, giornalisti e scrittori che sgomitano per rimpiazzarlo. Longanesi diceva di Malaparte: “È così egocentrico che, se va a un matrimonio, vorrebbe essere la sposa e a un funerale il morto”. Ora questi mitomani, se c’è un attentato, vorrebbero essere la vittima (ma a debita distanza e al calduccio, si capisce). Così la denuncia del gravissimo attacco al giornalista è subito scaduta a rissa da buvette fra Schlein e Meloni, leader di due poli che vantano decine di calunniatori e querelatori temerari di Ranucci. Strazianti le lacrime di Renzi, che denunciò Report e chiese ai giudici di perquisire la redazione che aveva osato mostrarlo in autogrill con lo spione; e del fido Nobili, che diede a Ranucci del “mentitore professionista” e portò alla Camera un dossier falso su di lui.

Poi ci sono i “colleghi” accalcati nel rito collettivo della solidarietà al valoroso giornalista che avevano non criticato, ma insultato, diffamato e chiesto di epurare fino al giorno prima. Di quelle infamie Rep ha stilato un’antologia, ma s’è scordata quelle targate Pd e Iv, e soprattutto le sue. Nel 2017 Sebastiano Messina, all’unisono con la band renziana, accusò Ranucci di essere “no vax” per aver parlato degli effetti avversi di un vaccino col “sinistro latrato degli spacciatori di bufale” e chiese a chi di dovere di “salvare Report da se stesso”. Per Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere, Report avrebbe dovuto sparire da anni: non è “servizio pubblico” né “informazione”, solo “mascalzonate”, “cialtronate”, “inchieste vergognose” di “Ranucci che s’incanaglisce con audio rubati” e “spazzatura spacciata per giornalismo d’inchiesta”, “tragicommedia del giornalismo complottista”, “finto giornalismo d’assalto (togliamo pure giornalismo)” che inventa persino “teoremi su Berlusconi” e la mafia e “scredita il servizio pubblico”. Lo diceva pure Libero: “Ranucci è il virus che divora la Rai” e fa “ricatti e dossier”, senza contare le “Nuove accuse a Report: la pista dei fondi neri”. E il Giornale: “Report, tribunale rosso a senso unico”, con tanto di “pizzini di Ranucci”. E il Riformista: “Esclusivo. Ecco Ranucci: fatture false, latitanti, dossier di fango e super 007 molto amici”, “Macelleria Report. L’agguato a Renzi: roba da America Latina anni 70”. E il Foglio, col dolce stil novo del lottatore continuo Andrea Marcenaro: “Ranucci da decenni mette quintalate di m**da nel ventilatore… Fu tempestivamente inviato a Sumatra per lo tsunami dell’Oceano Indiano: giorno dopo giorno, 250 mila morti… Per Ranucci purtroppo sembrava fatta. È riuscito a tornare”. Anche l’altra notte sembrava fatta, invece niente. Dài, sarà per la prossima volta.

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MA MI FACCIA IL PIACERE

Editoriale di Marco Travaglio

20 ottobre 2025

Digiuno intermittente. “A Gaza non ne ho visti tanti dimagriti” (Mario Sechi, direttore di Libero, 12.10). E quei pochi non obesi erano chiaramente a dieta.

Più Europa. Giornalista: “Lei ha affermato che la Russia dovrebbe contribuire alla ricostruzione dell’Ucraina. Ritiene che Israele dovrebbe pagare la ricostruzione di Gaza?”. Portavoce della Commissione europea: “È una domanda sulla quale non ho commenti da fare” (conferenza stampa a Bruxelles, 15.10). Solo confessioni.

Polli del Balcone. “In questi mesi mi sono chiesto se la violenza interminabile di Israele fosse giustificata. A convincermi che lo fosse è stata l’aggressività cieca e furiosa esplosa nelle nostre piazze” (Ernesto Galli della Loggia, 12.10). Disse il lupo all’agnello.

Sinceri democratici. “Poi arriva una signora Albanese, dice le cose più infami e continua a circolare” (Giuliano Amato, presidente emerito della Consulta, Foglio, 13.10). Ma infatti, possibile che non l’abbiano ancora bombardata?

Il giovin virgulto. “Crozza, brutte caricature svuotate di ogni finezza satirica… questo fortunato e ora noioso pensionato d’oro della comicità” (Aldo Grasso, Corriere della sera, ??.10). Per la cronaca, Grasso ha 77 anni e Crozza 65.

Partito d’azione. “Calenda: ‘I miei azionisti sono i cittadini’” (L’Identità, 16.10). Quindi urge class action per danni.

Lo storico. “Non ho visto Flotille che vanno verso il Mar Nero, quelle sono acque neutrali e poi ucraine e c’è un blocco russo. Per lo scopo politico per cui si è andati verso Gaza, vorrei vedere una barchetta, un canotto verso l’Ucraina” (Paolo Mieli, Radio 24, 15.10). Forse perché in Ucraina non c’è la carestia, milioni di profughi sono stati accolti in Europa e i Paesi Ue mandano armi e aiuti per decine di miliardi. Però dài, una barchetta o un canotto te li puoi permettere, no? Facciamo così: tu ti imbarchi e noi spingiamo.

Zitti zitti. “Siamo orgogliosi del contributo silenzioso ma costante dell’Italia all’accordo su Gaza” (Giorgia Meloni, premier FdI, 14.10). “Le vittorie silenziose di Kiyv” (Foglio, 14.10). Talmente silenziose che non se n’è accorto nessuno.

Palle a pallini. “Una perizia segreta sull’impronta n.42. La scarpa a pallini può essere di Sempio” (Giornale, 13.10). Ma pure di Rosa e Olindo, un piede per ciascuno.

A Ze’, che te serve? “Zelensky chiama ancora Trump: ‘Dammi i missili’” (Repubblica, 13.10). Mo’ me lo segno: serve altro?

Non c’era, ma ha vinto. “La Toscana resta a Giani. Renzi terzo partito” (Messaggero, 14.10). “La Casa Riformista di Renzi secondo partito della coalizione” (Domani, 14.10). “La Toscana sorride a Giani e ai renziani” (Riformista, 14.10). “Gambe che crescono. Renzi ci spiega cosa significa il buon risultato di Casa Riformista in Toscana” (Foglio, 14.10). “La ‘Casa Riformista’, nuova formula del centrismo di Renzi, ha ottenuto una discreta percentuale” (Stefano Folli, Repubblica, 14.10). Facendosi chiamare Lista Giani.

Patrioti per il terrorismo. “Sigonella 40 anni fa: quel ‘No’ di Craxi all’America fu un atto patriottico. Lo lego al Risorgimento” (Stefania Craxi, senatrice FI, Dubbio, 15.10). Infatti fece fuggire Abu Abbas, il capo della banda che aveva appena assassinato un anziano ebreo paralitico sulla nave Achille Lauro, che scappò a Baghdad per festeggiare il Risorgimento chez Saddam Hussein.

Povera stella. “La giustizia spaventosa su Castellucci. Nel processo sul crollo del Ponte Morandi di Genova i pm chiedono 18 anni e 6 mesi per l’ex ad di Autostrade” (Foglio, 15.10). Ma infatti: per soli 43 morti.

Strani fenomeni. “Quanta eurofobia in giro per il mondo” (Giuliano Ferrara, Foglio, 18.10). Strano, proprio ora che l’Ue è così credibile.

Ennio Longanesi. “Già Flaiano raccontava… happening dove ‘ogni cretino è pieno di idee’” (Francesco Merlo, Repubblica, 17.10). Citazione perfetta, a parte il fatto che è di Longanesi.

Il titolo della settimana/1. “Cosa succederebbe se Putin morisse?” (Julius Fitzke, Repubblica, 18.10). A parte il fatto che è morente da più di tre anni, ma se invece morissi tu?

Il titolo della settimana/2. “La diplomazia di Meloni convince Africa e Asia” (Giornale, 16.10). Ci ha parlato lei al telefono.

Il titolo della settimana/3. “Scarpinato, M5S e Pd in trincea: ora è un merito il conflitto d’interesse” (Dubbio, 10.10). Il bieco interesse a combattere la mafia.

I titoli della settimana/4. “La pace illegittima di Trump e Netanyahu”, “La parola ‘pace’ vuol dire solo fine delle ostilità”, (Domani, 11 e 16.10). Si stava meglio quando a Gaza ne ammazzavano 200 al giorno.

Il titolo della settimana/5. La nuova Yalta. Netanyahu, Trump e Meloni protagonisti del vertice a Sharm” (Riformista, 11.10). Dove Netanyahu non era neppure invitato e la Meloni non ha toccato palla.

Il titolo della settimana/6. “Il Pd vota con il centrodestra per salvare Mulè dalla causa per diffamazione mossa da Donno (M5S), accusato di aver picchiato un assistente” (Notizia, 17.10). In realtà furono i deputati di destra a picchiare Donno. Ma ora il Pd recupera e si unisce alla festa.

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CASSANDRA APPENDINO

Editoriale di Marco Travaglio

21 ottobre 2025

Chiara Appendino ha un po’ ragione e un po’ torto. Ha torto sui tempi delle dimissioni da vicepresidente M5S: se era contro le alleanze col Pd nelle Marche, in Calabria e in Toscana, doveva darle prima, quando furono decise (in Toscana dopo il voto degli iscritti); e, se non lo fece per non danneggiare il suo Movimento, non si capisce perché l’abbia fatto proprio ora che Roberto Fico è impegnato in una battaglia campale e cruciale in Campania. Ma ha ragione perché una parte importante degli elettori 5Stelle detesta il Pd e quando le si chiede di votare per un candidato del Pd appoggiato dal M5S sta a casa. Molti, anche se in misura minore, si astengono anche se il candidato è un 5S sostenuto dal Pd: quando la Todde vinse in Sardegna, M5S e lista Todde restarono sotto il 12%; quando Tridico ha perso in Calabria, M5S e lista Tridico si sono fermati poco sopra il 14%. Sempre molto sotto le elezioni Politiche. Ma lì Conte ebbe la fortuna di esser costretto da Letta a correre da solo. In ogni caso i magri esiti nelle regioni non dipendono solo dall’alleanza col Pd: alle Regionali il M5S è da sempre più debole per un suo difetto (non è radicato sui territori) e un suo pregio (non compra e non scambia voti per favori). Il resto lo fa l’elezione diretta a turno unico, che fa ragionare gli elettori in termini bipolari e schiaccia le terze forze. Infatti, mentre cala nelle Regioni, nei sondaggi sulle Politiche il M5S contiano cresce da quando un anno fa si definì “progressista indipendente”. Cresce proprio per ciò che l’Appendino gli rimprovera di non fare: distinguersi dal governo e dal Pd, che sulle cose importanti (Patto di Stabilità, Von der Leyen, riarmo, Ucraina) vanno sempre a braccetto. E crescerebbe ancor di più se il sistema mediatico non oscurasse la sua indipendenza per accreditare il finto derby tra Meloni e Schlein, che si sfidano ogni giorno a paroloni e parolacce per poi votare insieme sui fondamentali.

Sul gattopardismo affaristico e consociativo dei dem, la Appendino può tenere dei corsi, avendone conosciuto e combattuto (e una volta battuto) la quintessenza, incarnata da uno dei peggiori Pd d’Italia: quello torinese, che se la batte con quello milanese, romano e calabrese. Quindi, anziché scomunicarla per il suo grido d’allarme intempestivo ma fondato, i fedelissimi contiani dovrebbero ascoltarla e riflettere. E poi fare di tutto per tenerla nel gruppo dirigente: non c’è nulla di male o di strano se, al vertice di una forza politica, accanto a chi spinge sul “progressismo”, c’è anche una Cassandra o un grillo parlante (con la g minuscola) che spinge sull’“indipendenza”, rappresenta gli elettori dubbiosi, li fa sentire rappresentati e coinvolti, e magari li convince pure a tornare a votare. Buttala via…

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LA LEGGE RANUCCI

Editoriale di Marco Travaglio

22 ottobre 2025

Finché esisterà la criminalità, sarà impossibile impedire che un giornalista libero venga intimidito con un attentato. Ma, a parte indagare su chi l’ha ordinata e piazzata, un modo per trasformare la bomba contro Sigfrido Ranucci in un clamoroso autogol ci sarebbe: allontanare il bastone del potere dalla testa dei giornalisti liberi, nella speranza che il loro numero – oggi piuttosto esiguo – aumenti. E diventi impossibile intimidirli tutti. Una proposta di pronto intervento l’ha lanciata Francesco Storace, politico e giornalista di destra un tempo noto come “Epurator” (più per posa che per indole) e ora approdato a posizioni talvolta ragionevoli: chi ha fatto causa a Report la ritiri subito. Ma la sua idea è caduta nel gelo dei tanti esponenti di centrodestra e centrosinistra che dovrebbero levare le grinfie dal collo di Ranucci. Quindi serve una legge, che fra l’altro c’è già: quella di un solo articolo che attende da cinque anni di essere approvata in Parlamento. La presentarono l’allora senatore M5S Primo Di Nicola e altri eletti. Non prevede per i giornalisti la licenza di calunniare o di diffamare, né alcun altro privilegio. Stabilisce che può essere condannato a risarcimenti in sede civile solo chi lede la reputazione di qualcuno “in malafede o per colpa grave” (non per errori o sviste, facilmente rimediabili con rettifiche e scuse); ma se poi il giudice dà ragione al giornalista, è quest’ultimo che va risarcito: chi l’ha citato in giudizio senza motivo deve pagargli i danni per non meno della metà della somma richiesta. Tizio chiede un milione al cronista Caio e perde la causa? Tizio deve versare a Caio almeno mezzo milione.

Così chi spara cifre stratosferiche per spaventare i giornalisti e se ne vanta sui media per non rispondere delle proprie azioni e dirottare l’attenzione su quelle del cronista ci penserà due volte prima di rifarlo: più chiede e più rischia di sborsare. E magari si tornerà al bon ton di un tempo, quando i potenti rispondevano ai giornalisti che li interpellavano per avere la loro versione dei fatti e poi, se non erano soddisfatti, chiedevano una rettifica anziché trascinarli subito in tribunale. Naturalmente, con questa classe politica e questa maggioranza, le speranze che questa legge veda la luce sono pari a quelle di sopravvivenza del famoso gatto in tangenziale. Ma, siccome sull’attentato a Sigfrido è intervenuto anche il capo dello Stato, si può sperare che la norma arrivi almeno al voto. E lì ci sarà da divertirsi, perché ciascuno dei 600 parlamentari dovrà mettere la faccia pro o contro quella che potremmo chiamare “legge Ranucci”. Così finalmente vedremo chi, fra i salici piangenti last minute per la libertà di stampa, è sincero e chi ha nascosto il bastone dietro la schiena per ritirarlo fuori alla prima occasione.

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