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ACHTUNG BANDITEN!
Editoriale di Marco Travaglio
04 maggio 2025
Dopo quattro anni di “approfondite indagini”, i Servizi segreti tedeschi hanno scoperto che Alternative für Deutschland è un “partito estremista di destra”, per giunta “xenofobo”, che “viola la dignità umana” dei migranti, soprattutto islamici. Ma va? Chi l’avrebbe mai detto. Non bastava ascoltare i loro leader? Il fatto nuovo e dirompente sono le conclusioni del report, peraltro quasi tutto segretato: “La concezione prevalente di Afd è incompatibile con l’ordinamento fondamentale di una libera democrazia”. Parole che riecheggiano l’art. 21 della Costituzione: “Sono incostituzionali i partiti che cercano di indebolire o abolire il libero ordine fondamentale democratico”. Quindi l’intero partito è fuorilegge e va messo al bando in base a indagini dei Servizi, per giunta segrete e riguardanti le idee, non precisi reati commessi da singoli (la magistratura non è intervenuta). Ora la palla passa a governo e Parlamento, su su fino alla Corte costituzionale. Che nel 2003 e 2017 già respinse azioni analoghe contro Npd, partito neonazista ben più minoritario ed estremista di Afd.
Alle elezioni di febbraio Afd ha sfiorato il 21% dei voti (secondo posto) e in due mesi ha superato la Cdu nei sondaggi col 26% (primo posto). Quindi la sua messa al bando lascerebbe orfani oltre 10 milioni di elettori. O di più, visto che la sola ipotesi ne moltiplicherà i consensi. E qui sta l’enormità del problema per le democrazie occidentali da quando gli elettori fuggono dalle forze di sistema e verso quelle anti-sistema. In pochi mesi la Romania ha annullato le Presidenziali dov’era favorito il nazionalista euroscettico Georgescu, poi l’ha bandito dalle liste, col risultato di gonfiare le vele del suo simile Simion; la Francia ha visto condannare non solo al carcere, ma anche all’ineleggibilità (sia pur con un verdetto di primo grado), Marine Le Pen, grande favorita alle Presidenziali; e ora governo e Parlamento tedeschi discutono la messa al bando del primo partito non solo dell’opposizione, ma del Paese. Le regole formali del diritto sono salve, ma l’opinione pubblica vede solo la sostanza: in tre Stati Ue chi minaccia di vincere le elezioni con programmi radicalmente alternativi finisce o rischia di finire fuori gioco. Oggi sul Fatto ne parlano anche Di Lorenzo, Padellaro, Tarchi, a cui seguiranno altri pensieri diversi. Perché la questione, per le “democrazie liberali”, è un’alternativa diabolica: bandire le forze “antidemocratiche” con mosse antidemocratiche che potrebbero pure favorirle, o rischiare che le forze “antidemocratiche” sfigurino le democrazie più di quanto le “democrazie” non si siano già sfigurate da sole? Domandarsi perché oggi gli “antidemocratici” piacciono più dei “democratici” non sarebbe una cattiva idea.
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Dino
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MA MI FACCIA IL PIACERE
Editoriale di Marco Travaglio
05 maggio 2025
Giovanhard. “Giovanardi, denuncia-gaffe: ‘Mi hanno rubato l’auto’. Ma era dove l’aveva lasciata” (Corriere della sera, 4.5). La testa invece rimane dispersa.
Il Papa putiniano. “I cardinali devono riparare agli errori del papa su Putin. L’ambiguità di Francesco sulla Russia lascia un’eredità scomoda” (Luis Badilla, Domani, 30.4). Che fosse pure un ortodosso?
Identikit/1. “I furbi cacadubbi che irridono ‘l’antifascismo immaginario’…” (Massimo Giannini, Repubblica, 26.4). E niente, mi sa che si è riconosciuto.
Identikit/2. “Me li immagino Padellaro e Travaglio che ne parlano tra loro, si danno di gomito e sghignazzano” (Gad Lerner, Corriere della sera, 4.5). Ma infatti, dove andremo a finire, contessa.
Identikit/3. “Mi ha colpito un passaggio della prefazione di Travaglio al libro di Antonio. Cito: ‘Oggi l’uomo forte non indossa più l’orbace o la camicia nera: vesta la grisaglia del tecnico’. E indica i due ‘Supermario’, Monti e Draghi. Ma davvero? Ma dai!” (Lerner, ibidem, 4.5). Non saper scrivere è già un bel guaio, ma non saper neppure leggere dev’essere terribile.
Cazzario minimo. “‘Salario minimo, Meloni non perda tempo’. Il Pd si unisce all’appello della segretaria Schlein. D’accordo anche il M5S” (Repubblica, 30.4). Il M5S è d’accordo sulla proposta del M5S per anni osteggiata dal Pd: chi l’avrebbe mai detto.
Vincere da remoto/1. “C’è un Mario Draghi in Canada che può battere Trump: ‘Liberali di tutto il mondo unitevi’” (Antonio Polito, Corriere.it, 28.4). L’unico Paese dove Draghi non lo vota nessuno è il suo.
Vincere da remoto/2. “Il 57% degli italiani vuole un Papa progressista” (Stampa, 4.5). Gli italiani vogliono la sinistra in tutti i Paesi fuorché nel proprio.
Perdere da remoto. “Canada, Liberali in trionfo grazie al ‘fattore Trump’”, “Effetto Trump anche in Australia. Il premier rimonta e stravince” (Corriere della sera, 30.4 e 4.5). L’unico Paese dove Trump vince è il suo.
Sembra ieri. “Assistiamo a una deriva autoritaria con Putin che si proclama antifascista” (Maurizio Maggiani, Stampa, 29.4). A parte il fatto che Putin è lì dal 2000, se si dichiarava fascista era una deriva democratica?
Chi minaccia chi. “Non garantiamo la sicurezza delle delegazioni straniere sulla Piazza Rossa a Mosca: sarebbe meglio se restassero a casa” (Volodymyr Zelensky, presidente ucraino, 3.5). “Parata, Mosca minaccia Kiev” (Corriere della sera, 4.5). Senza parole.
Imbucati al Conclave. “Coordinate per il prossimo Pontificato. Ci vuole ora un papato che non si faccia dettare gli esercizi spirituali dal mondo, ma l’opposto” (Giuliano Ferrara, Foglio, 23.4). “Dal nuovo Papa un segnale al mondo. Dovrà guidare i credenti ed essere riferimento anche per i laici in mezzo a guerre, divisioni, mutamenti nelle relazioni” (Walter Veltroni, Corriere della sera, 29.4). Il nuovo Papa: “Mo’ me lo segno”.
Le centurie di Nostradamus. “La Papessa. I leader della Terra ai funerali di Francesco, a raccogliere i frutti sarà Meloni. Roma sarà davvero Caput Mundi, tutti vogliono incontrare Giorgia” (Riformista, 24.4). “La tela della Meloni e il ruolo da pontiere tra Europa e Usa: ‘L’Italia è centrale’” (Giornale, 28.4). “Giorgia raccoglie i frutti della sua politica estera” (Libero, 28.4). Poi non è successo, ma solo perché lei non ha voluto.
Fategli la carità. “Marco Travaglio è stato intervistato lungamente dalla ex soubrette Heather Parisi, nota ai più anche per le recenti intemerate novax (e altri complottismi assortiti) sui social” (Luca Bottura, Stampa, 4.5). E lui niente, non lo intervista mai nessuno: dev’esserci un complotto.
La Papessa. “Sognando la Papessa. Un Conclave senza donne è straniante” (Viola Ardone, Stampa, 4.5). Ma va’ a ciapà i ratt.
I papessi. “Le foto storiche. Ma sono sempre tutti maschi. Meloni e Von der Leyen assenti” (Gianfranco Pellegrino, Domani, 29.4). Bravo, hai centrato il punto.
Causa-effetto. “La morte del papa frena Carlo Maria Ruffini, che per ora si mette in standby. Ma affida Nicodemo Oliverio un ‘incarico esplorativo’” (Domani, 1.5). Quindi non tutto il male viene per nuocere.
Se ti sputa ti profuma. “Il mea culpa di Tony Blair che manda in tilt la sinistra: ‘Clima, stiamo sbagliando’” (Messaggero, 1.5). Quindi siamo sulla buona strada.
Il titolo della settimana/1. “Romania, lo spettro di Ceausescu” (Stampa, 4.5). Ma pure di Dracula.
Il titolo della settimana/2. “Riforma Nordio, mille emendamenti. Balboni (FdI): ‘Pd, 5S e Avs vogliono il caos’” (Dubbio, 29.4). Ma magari.
Il titolo della settimana/3. “Ettore Gotti Tedeschi: ‘Serve una Chiesa ricca per sconfiggere la povertà’” (Giornale, 4.5). Beati i ricchi, perché di essi è il Regno dei Cieli. Ed è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un povero entri nel Regno di Dio.
Il titolo della settimana/4. “Garantismo 6, giustizialismo 0. Perché il caso Sinner è una finestra su un’Italia invisibile: quella che si ribella al metodo della gogna” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 3.5). Soprattutto quando patteggia la pena.
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GLI AUTO-INCAPRETTATI
Editoriale di Marco Travaglio
06 maggio 2025
L’“incaprettamento” è la sevizia mortale inflitta dalle mafie al traditore: cappio al collo e corda che lega mani e piedi dietro la schiena, così la vittima si strangola cercando di liberarsi. Ma è anche la geniale strategia dei vecchi partiti europei che, tentando di combattere le forze anti-sistema, si incaprettano da soli. Funziona così. I partiti sgovernano con politiche inique, classiste, antisociali e consociative. I cittadini li schifano e si rifugiano nell’astensione o in nuove forze che promettono di cambiare. I partiti, anziché fare autocritica e cambiare politica, insultano gli elettori per convincerli che sbagliano loro: ignoranti, scappati di casa, barbari, antipolitici, populisti, giustizialisti, sovranisti, estremisti, antieuropei, razzisti, fascisti, nazisti. E soprattutto putiniani: dietro ogni voto sbagliato c’è sempre Putin che lava il cervello a decine di milioni di persone a suon di hacker e fake news. Gli elettori, anziché scusarsi per aver sbagliato a votare, si rafforzano nell’idea che sbaglino i partiti: astenuti e anti-sistema crescono. E, quando hanno i numeri per governare, si escogitano mosse antidemocratiche per fermarli e “salvare la democrazia”.
In Italia si buttano giù con colpi di palazzo e ammucchiate “tecniche”: così la gente pensa che sono tutti uguali, che votare non serve e gli astenuti aumentano. In Francia il presidente di se stesso perde tutte le elezioni contro destra&sinistra e sforna governi centristi di minoranza guidati da carneadi senza voti che durano 2-3 mesi, per tirare a campare fino alle Presidenziali, ma ora forse le anticipa a prima del processo d’appello che potrebbe ridare l’eleggibilità alla favorita Le Pen. In Germania, Cdu&Spd si rimettono insieme, ma la destra Afd è contro il loro riarmo, che rischia di non passare: così lo fan votare dal Parlamento scaduto (sempre meglio della Von der Leyen, che il Parlamento lo salta a piè pari); l’Afd balza dal 20 al 26% in due mesi e s’inizia a discutere di metterla al bando perché i Servizi scoprono che è “estremista”. In Romania si annulla il primo turno delle Presidenziali vinto dal nazionalista Georgescu col 20%, per misteriose “interferenze” (Putin, o TikTok, o i rettiliani: è tutto segreto); poi lo si arresta e bandisce con accuse ancor più misteriose; così nel nuovo primo turno vince col 40% un nazionalista più estremista, Simion, e annuncia che Georgescu sarà il suo premier. Gli europeisti, anziché domandarsi perché la gente preferisca i peggiori mostri a loro, ripetono che “ha stato Putin”, sabotano i negoziati sull’Ucraina per non darla vinta a Putin e si riarmano contro Putin, impoverendo vieppiù i popoli europei che continuano a fuggire verso gli anti-sistema. È l’ultima fase dell’euro-autoincaprettamento: una prece.
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CHE BEL DIBATTITO
Editoriale di Marco Travaglio
07 maggio 2025
Non ci sono più parole, ma solo parolacce, per descrivere Netanyahu e il suo piano criminale per rioccupare Gaza e rideportare i palestinesi superstiti non si sa bene dove. Ma il mondo “libero” solo di parole si occupa: da quando Israele ha reagito alla strage del 7 ottobre sterminando 50-70 mila palestinesi e bombardando e affamando gli altri 2,4 milioni, le anime belle discutono animatamente se sia o non sia un genocidio e chi protesta sia o non sia un antisemita. E, mentre qui si chiacchiera, lì la storia è ferma a due anni fa: a parte i morti, gli ostaggi tornati a casa e la tregua violata da Israele, non è cambiato nulla. Com’era prevedibile, la “guerra” asimmetrica dell’Idf ai civili (Hamas non combatte: si nasconde e lancia razzi dai tunnel) è persa: Hamas conserva almeno 25 mila soldati, fra veterani e nuove leve gentilmente offerte da Netanyahu con i suoi massacri. Certo, ci sono anche palestinesi che contestano Hamas, ma l’assenza di speranze e prospettive aiuta il “tanto peggio tanto meglio”. E, con lo stop agli aiuti internazionali, l’unico misero welfare lo fornisce Hamas. Che fino all’8 ottobre ’23 era ai minimi storici del consenso, ma poi ha via via recuperato tra chi non vede altro sbocco che la lotta armata.
Nel 2005 un premier duro, a tratti feroce come Sharon ebbe l’intuizione di ritirare le truppe e i coloni da Gaza, per vedere se i palestinesi sarebbero riusciti a darsi una leadership e un autogoverno. La vittoria elettorale di Hamas nel 2006, seguita dal boicottaggio occidentale, innescò la guerra civile fra i suoi miliziani e quelli di Fatah. Ora, 20 anni dopo, non c’è una leadership palestinese credibile e rappresentativa: non lo è (più) Hamas, non lo è mai stato Abu Mazen con la sua cricca screditata e corrotta. E la stessa assenza di alternative credibili affligge Israele. Netanyahu non ha mai avuto una strategia su Gaza e Cisgiordania: non può annettere 5,5 milioni di palestinesi (Israele diventerebbe uno Stato a maggioranza araba) né deportarli (non li vuole nessuno). Quindi continua con la tattica: fra processi e contestazioni di piazza, anche dall’Idf e dai Servizi, tira a campare appiccando guerre ovunque. Se tacciono le armi, è spacciato. Vedremo fino a quando Trump, che l’ha già fermato sulla guerra all’Iran, gli darà mano libera. Col rischio di inimicarsi i regimi sunniti, che su Gaza devono salvare almeno la faccia per non regalare consensi a Teheran. L’unica entità da cui non ci si attende nulla è l’Ue: il Parlamento ha appena bocciato financo la richiesta di discutere della rioccupazione di Gaza. Non solo non fanno nulla, a parte armare Israele, ma hanno paura persino delle parole: qualcuno potrebbe chiedere perché per Gaza i mantra sull’aggressore e l’aggredito e sulla “pace giusta” non valgono.
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IL NOME E TANTO ALTRO
Editoriale di Marco Travaglio
09 maggio 2025
Si parlava di un conclave diviso come non mai, tra cardinali freschi di nomina che neppure si conoscevano, di veleni e controveleni, di veti e controveti fra conservatori, centristi e progressisti. Invece, con la fumata bianca delle 18.06, solo 17 giorni dopo la morte di papa Francesco e 21 ore dopo la prima fumata nera, la Chiesa si conferma l’istituzione più solida su piazza, anche se ha il sistema elettorale più antico e strano del mondo. E, altro paradosso, quella più al passo con i tempi. L’eterno presente dell’èra liquida e il mordi e fuggi dei social trovano una risposta fulminea proprio da una congrega di vecchietti che si parlano in latino e seguono rituali bimillenari: quanto di più distante dalla modernità secolarizzata si possa immaginare. La Chiesa ha i tempi biblici dell’eternità, ma ha eletto il nuovo papa in tempi assolutamente umani: 2 giorni e 4 scrutini. Un voto-lampo che eguaglia quelli di Luciani nel 1978 e di Ratzinger nel 2005: aveva fatto meglio solo Pio XII, eletto al terzo tentativo nel 1939 alla vigilia della guerra mondiale. Ma questo è un record assoluto di brevità, se si pensa che il corpo elettorale non era mai stato così numeroso (133 cardinali), nuovo (110 debuttanti) e globalizzato, dunque eterogeneo (da ben 71 Paesi). E poi c’è il colpo di scena, che conferma il detto “chi entra papa esce cardinale”: un papa non italiano o nero o asiatico, ma statunitense di Chicago.
Ora che i porporati hanno riavuto i loro cellulari, sapremo quanti hanno votato Robert Francis Prevost e gli altri candidati. Di lui conosciamo la biografia uscita sui media in queste due settimane e mezza di Totopapa e Fantapapa: frate agostiniano, missionario in Perù, quindi nordamericano ma anche sudamericano, le polemiche su due preti suoi amici accusati di abusi. Ma quando un cardinale diventa papa non cambia soltanto nome (che pure è splendido, Leone XIV, sulla scia del XIII, il Papa sociale della Rerum Novarum): cambia molto altro. Chi si aspettava da Ratzinger un gesto rivoluzionario come le dimissioni? E quando fu eletto il 76enne Bergoglio, che stava facendo le valigie per ritirarsi in un pensionato, molti elettori pensavano di aver issato al Soglio un vecchio conservatore di transizione, come si era detto anche di papa Giovanni. E furono clamorosamente smentiti. Prevost è ritenuto “il meno americano dei cardinali americani”, anche se Trump non esiterà a metterci il cappello (anzi la mitria) sopra. È certo più riservato e prudente di Francesco, che però lo nominò cardinale e prefetto del Dicastero dei Vescovi, quindi se ne fidava ciecamente. Lui ieri l’ha citato e ringraziato commosso. Ma soprattutto ha ripetuto per ben cinque volte una sola parola: “pace”. “Disarmata e disarmante”.
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PREVOST IMPREVIST
Editoriale di Marco Travaglio
10 maggio 2025
A ogni conclave, vaticanisti e papologi ripetono il detto: “Chi entra Papa esce cardinale”. Poi però sono i primi a scordarselo. Nel 2013 i giornaloni avevano deciso per Scola, vescovo ciellino di Milano e amico di Formigoni che per migliorare il suo curriculum – svelò Rep – “faceva lezioni di filosofia ed etica a Berlusconi, Dell’Utri e Confalonieri” (con risultati eccezionali, specie sull’etica). Davano ordini allo Spirito Santo senza sentire ragioni: “Sarà Scola”. Zero speranze per quel tal Bergoglio che – ridacchiava Rep– “è candidato a racimolare qualche voto al primo scrutinio”. Il fatto che fosse il più votato dopo Ratzinger nel conclave precedente non li aveva insospettiti. Infatti diventò Papa, lasciando la Scola Cantorum con lo scolapasta in testa. Sono più o meno gli stessi esperti tuttologi che tre anni fa giuravano sulla sicura elezione di Draghi al Quirinale: “Sarà Mario”. Infatti non lo votò nessuno (perché portano pure fortuna).
Stavolta lo Scola e il Draghi di turno era Parolin. Youtrend aveva sondato i vaticanisti delle 9 maggiori testate italiane: Parolin 38%, Zuppi 15, Pizzaballa 14, Tagle 13, Aveline 7, López Romero 5, ultimi Erdo e Prevost col 3. Giovedì mattina, dopo la seconda fumata nera, Open sparava: “Pranzo a Santa Marta decisivo per i sostenitori di Parolin papa… fra un piatto di penne e un’orata”. Però il menu forse era giusto. Intanto il sito del Sole 24 Ore, diretto da Nostradamus, annunciava: “Flash, anticipazione: Parolin in arrivo”. Negli stessi istanti Parolin si ritirava e arrivava Prevost. Dopo la fumata bianca, tutti aspettavano l’Habemus papam, tranne il direttore del Sole Fabio Tamburini che lo anticipava urbi et orbi a Radio 24: “Credo di poter dire che tutto fa convergere verso Parolin. Manca ancora il timbro dell’ufficialità, ma il nuovo papa dovrebbe essere Parolin. Ho fondati motivi di ritenere che finirà così”. Si chiama 24 ore perché è sempre in ritardo di almeno un giorno. Paolo Mieli, dopo il bacio della morte a Zuppi (“È il mio candidato secco”), invocava “un papa italiano, europeo e occidentale”, come se esistessero italiani extraeuropei e orientali e la Chiesa fosse una filiale della Nato. Poi è uscito un nord-sud-americano e Mieli ora fa buon viso: “Ora credo nello Spirito Santo. Prevost rinforza l’America, è molto diverso da Bergoglio. Sarà un grandissimo papa, come Giovanni Paolo II”. Che non era né italiano né americano né occidentale. Mattarella e Meloni sono entusiasti per l’appello di Leone XIV alla pace (ripetuta 9 volte in pochi minuti). E che stavano facendo i due mentre veniva eletto? Un Consiglio Supremo di Difesa per buttare almeno altri 10 miliardi l’anno nelle armi e continuare ad armare Ucraina e Israele. È il loro fattivo contributo alla “pace disarmata e disarmante”.
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DONALD, NON FARLO Editoriale di Marco Travaglio
11 Maggio 2025
Secondo il Jerusalem Post, Trump sarebbe così furioso con Netanyahu per i massacri a Gaza e le fregole di guerra all’Iran (mentre gli Usa trattano con Teheran e persino con Hamas) che mediterebbe di riconoscere lo Stato di Palestina. Noi speriamo vivamente che sia una fake news, perché abbiamo a cuore la salute psicofisica dei giornalisti italiani. Che, già molto provati dalla strenua e intrepida resistenza antitrumpiana che combattono ogni giorno dai rispettivi divani a distanza di sicurezza di settemila chilometri, potrebbero non riaversene. Ma come: da quando il puzzone pittato di giallo si riaffacciò sulla scena minacciando di tornare alla Casa Bianca, si sgolano a ripeterci che Trump segnerà non solo la fine dell’America, della democrazia e dell’Occidente (fino all’altroieri così floridi e fiorenti), ma pure del mondo, oltre a spianare Gaza e Cisgiordania col suo compare Bibi, a fingersi pacifista mentre è il più guerrafondaio di tutti (vuoi mettere invece Obama premio Nobel per la Pace, la Clinton, Biden e la Harris) e a scatenare come minimo la Terza guerra mondiale; e quello che fa? Non solo invia aiuti ai gazawi contro il volere di Israele, ma riconosce pure la Palestina? Manca solo che vadano in buca i negoziati su Ucraina e Iran, poi le nostre facce da Ventotene si suicidano in massa come la setta del Tempio del Popolo.
Ove mai lo facesse – ma è appunto un’ipotesi assurda – spiazzerebbe e spu***nerebbe tutti quelli che in Occidente gli danno lezioni di diritto internazionale, democrazia, etica e umanità. Perché la Palestina, riconosciuta dal 70% dei Paesi del mondo, fra cui Russia, Cina, India, gran parte dell’Asia, dell’Africa e del Sudamerica, non esiste neppure come Stato virtuale per quasi tutta l’Europa, oltreché per Canada, Giappone, Australia e Sud Corea. E naturalmente per gli Usa, dove un anno fa Biden pose il veto in Consiglio di sicurezza al suo ingresso nell’Onu. A parte Irlanda, Spagna, Romania, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Norvegia, Cipro, la gran parte dei Paesi europei si guardano bene dal riconoscerlo. Incluse Francia, Germania, Uk e ovviamente Italia. Manca solo che Trump li scavalchi arrivando prima, costringendoli a insani e frettolosi gesti emulativi che ne aggraverebbero la servitù agli yankee. A quel punto papa Leone XIV, che per i partigiani da sofà della Brigata Rimbambiden è stato eletto solo per fare il c**o a Trump, potrebbe persino farsi sfuggire una mezza parola buona sul puzzone. Così le migliori redazioni si farebbero esplodere in blocco e i talk non saprebbero più chi invitare. Quindi Trump non si metta strane idee in testa: la Palestina non esiste e non deve esistere. Se non vuole fermarsi per Bibi, lo faccia per noi.
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MA MI FACCIA IL PIACERE
Editoriale di Marco Travaglio
12 maggio 2025
Lui modestamente lo nacque. “Giuli: ‘A sinistra solo comici’” (Corriere della sera, 11.5). Dài, su, non ti sottovalutare.
Se no? “I volenterosi da Zelensky, ultimatum alla Russia” (Repubblica, 11.5). “Europa, ultimatum alla Russia” (Stampa, 11.5). “Tregua, l’ultimatum a Putin” (Corriere della sera, 11.5). Primo caso nella storia di uno sconfitto che dà l’ultimatum al vincitore.
Non a caso. “Sicuramente si è trattato di una coincidenza. Ma i media del mondo intero hanno notato come, subito dopo la rapidissima elezione di papa Leone XIV, la parata moscovita per gli 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale si è svolta in tono minore. Mentre la cerimonia a Kiev per la stessa ricorrenza ha avuto maggiore vivacità di quel che ci si poteva attendere. Come se i convenuti si sentissero rinfrancati” (Paolo Mieli, Corriere della sera, 11.5). Ma infatti: sicuramente si è trattato di una coincidenza, ma subito dopo la rapidissima elezione di papa Leone XIV, mia cugina si è cavata un callo.
Fiumi di Parolin. “La Chiesa delle due Americhe con Parolin (e la Curia). Quell’alleanza nella Sistina. Il segretario di Stato potrebbe restare” (Massimo Franco, Corriere della sera, 10.5). “Casini: ‘Leone ridarà collegialità alla Chiesa. Parolin è stato il vero king maker’” (Messaggero, 10.5). “Parolin, entrato da front-runner, non è sconfitto: ha preferito Prevost, un Pontefice di cui non si conosce il pensiero” (Alberto Melloni, Corriere della sera, 11.5). E poi l’uva era acerba.
L’ambidestro. “Il Papa progressista fa tremare il mondo Maga”, “Il conservatore Dolan ha avuto un ruolo decisivo nell’elezione” (Stampa, 9 e 10.5). “La regia del cardinale conservatore Dolan, vero kingmaker”, “La sconfitta (a metà) dei conservatori” (Giornale, 9.5). “L’appoggio dei tradizionalisti a Prevost”, “L’ala conservatrice sconfitta” (Corriere della sera, pag. 9 e 11, 9.5). “È il democristiano dell’ala riformista” (Verità, 9.5). “Prevost è l’altra America, non è l’America di Trump. Il primo pontefice americano che il conclave elegge per sabotare il progetto egemonico di questa nuova oligarchia americana” (Corrado Formigli, Piazzapulita, La7, 8.5). “La continuità nella discontinuità” (Vito Mancuso, Stampa, 9.5). “La rivincita della metà liberal e democratica dell’America” (Stampa, 9.5). “Prevost ha votato tre volte alle primarie dei Repubblicani” (Washington Post, 9.5). “I voti per Repubblicani e Democratici. Un pontefice ‘non catalogabile’” (Corriere della sera, 10.5). Questi non stanno per niente bene.
Il capitalista. “Buoni auspici per un Papa nato nella culla del capitalismo” (Foglio, 9.5). Giusto: nessuno meglio di lui può sapere quanto fa schifo.
Il pischello. “The Young Pope” (Riformista, 9.5). Ha appena 69 anni.
Il teologo Sallusti. “Per la Chiesa esiste il diritto alla difesa e per difendersi è ovviamente necessario prepararsi per tempo… Attenzione a strumentalizzare le parole del neo Papa, le armi che abbiamo visto sfilare a Mosca non sono giocattolo, i carri armati non sagome di cartone” (Alessandro Sallusti, Giornale, 10.5). Invece le nostre armi e i nostri carri armati sparano fiorellini.
Faccia come il c**o. “Netanyahu si congratula: ‘Il Pontefice promuova la riconciliazione tra le fedi’” (Messaggero, 9.5). Sennò tocca fare tutto a lui.
Er mejo. “Attilio Fontana: ‘In Lombardia la classe dirigente leghista è migliore di quella meloniana’” (Foglio, 10.5). Per dire com’è ridotta quella meloniana.
Ennio Allen. “Come diceva Woody Allen: a volte mi vengono pensieri che non condivido” (Massimo Giannini, Venerdì Repubblica, 9.5). Era Ennio Flaiano, ma fa niente.
Il collezionista. “Il mio appello ai Repubblicani americani: state con l’Ucraina, non con Trump… I combattenti al fronte resistono. Serve un’America bipartisan contro l’Internazionale dei bruti… Ho ricevuto la medaglia ucraina intitolata al vescovo cattolico che nella Shoa (sic, ndr) salvò molti ebrei. Deve essere di ispirazione per tutti… L’alleanza giudaico-cristiana è riaffermata” (Bernard-Henry Lévi, Stampa, 11.5). Altre minchiate?
Extra omnes. “Fermare i leader sostenuti da potenze straniere non è antidemocratico” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 8.5). Tipo Monti, Renzi e Draghi?
La vera America. “Biden attacca Donald: ‘Questa non è l’America’” (Corriere della sera, 8.5). In oltre 100 giorni non ha scatenato neppure una guerra.
Il titolo della settimana/1. “Quel treno per Kiev senza Meloni. La premier si smarca dai Volenterosi” (Stampa, 11.5). Oh no, e ora come facciamo?
Il titolo della settimana/2. “La parata di Putin sulle orme di Stalin” (Libero, 5.5). “Vladimir sulle orme di Stalin” (Domani, 10.5). Il nuovo Hitler è tornato comunista.
Il titolo della settimana/3. “La roadmap Ue: stop al gas russo da fine 2025” (Sole 24 ore, 7.5). “Basta gas russo. Il piano europeo per porre fine alla dipendenza energetica entro il 2027” (Foglio, 7.5). Ma non era entro il 2022?
Il titolo della settimana/4. “Femminicida uscito in permesso di lavoro accoltella un collega, forse uccide una donna, poi si suicida” (dai siti web, 11.5). Ha mancato l’indultino per un pelo.
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LA VERA DROGA
Editoriale di Marco Travaglio
13 maggio 2025
Dopo 38 mesi di invasione russa, le migliori menti d’Occidente sono giunte alla sorprendente conclusione che noi, pacifinti putiniani, sostenevamo dal primo giorno: la guerra Russia-Ucraina si chiude con un negoziato di compromesso fra Russia e Ucraina. Quanti oggi plaudono alla resa di Zelensky alla realtà e la spacciano per un geniale “contropiede” (in realtà è Putin che l’ha invitato ed è Trump che l’ha pressato) sono gli stessi che hanno passato tre anni a demonizzare la diplomazia come “resa”, a vaneggiare di “vittoria ucraina” (contro la prima potenza militare e nucleare), ad allestire summit con tutti i paesi tranne la Russia, a ripetere idiozie tipo “non si tratta col nemico” e “si tratta solo se i russi si ritirano”, a spingere Zelensky a disertare il tavolo di Istanbul il 15.4.22, a vietarsi per decreto di negoziare con Mosca, a mandare al macello i suoi nella controffensiva del ’23 (il cui esito catastrofico era previsto dal generale Milley sin dalla fine del ’22), e a perseverare anche dopo aver ammesso il 18.12.24 di non poter riprendere le regioni occupate. È questa la vera droga che intossica l’Europa, non la coca che qualche svalvolato ha visto sul treno di Macron, Merz e Starmer: il fentanyl del bellicismo che s’è impossessato delle classi dirigenti e intellettuali europee. Questi pazzi criminali travestiti da amici di Kiev hanno sempre fatto il gioco di Mosca allungando una guerra che ogni giorno assottiglia l’Ucraina. E hanno drogato gli ucraini illudendoli a suon di propaganda, miliardi, armamenti e riarmi di potersela tirare da vincitori che lanciano ultimatum a Putin e dettano condizioni a Trump: tutto per non ammettere di essere i primi sconfitti.
Non sappiamo se lo storico incontro Putin-Zelensky si terrà e porterà a qualcosa. Dipenderà dal tasso di bellicismo nel sangue degli sconfitti e dalla loro capacità di ascoltare gli appelli dei due Papi a “disarmare le parole e le menti”. L’unica “pace giusta” è quella possibile in base al campo di battaglia e ai rapporti di forza. Si spera che Zelensky si presenti nel formato realistico di quando Trump lo disintossicò, avvisandolo che aveva perso la guerra e doveva salutare i territori occupati e firmare l’accordo sui minerali. Se invece è quello drogato dai finti amici che non cede nulla, detta condizioni, chiede tregue asimmetriche e spera pure di recuperare col negoziato le regioni perdute sul campo, il tavolo resterà subito deserto. E crescerà il rimpianto per l’altro negoziato di Istanbul, sabotato dalla Nato tre anni e centinaia di migliaia di morti fa, quando Putin non chiedeva territori, ma solo la rinuncia ucraina alla Nato. Quelli che lo fecero saltare dovrebbero evitare di minacciare nuove Norimberga, perché i primi a meritarne una sono loro.
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DENTRO, CIOÈ FUORI
Editoriale di Marco Travaglio
14 maggio 2025
Devo confessare una grave lacuna: non sono mai riuscito a capire perché un condannato per gravi delitti a tot anni debba uscire con largo anticipo per questo o quel permesso. “Certezza della pena” non è un’invenzione dei giustizialisti forcaioli, ma del padre del garantismo Cesare Beccaria. Vuol dire che la condanna scritta nella sentenza definitiva deve corrispondere a quella effettivamente espiata. E, se la pena è la “reclusione”, il condannato deve restare recluso fino all’ultimo giorno previsto dalla sentenza. Solo così la pena ha effetto deterrente: dissuadere il condannato dal riprovarci e tutti gli altri cittadini dal provarci. Altrimenti non solo non scoraggia nessuno dal delinquere, ma incoraggia tutti a farlo, e diventa financo criminogena. L’ultimo caso è quello di Emanuele De Maria. Nel 2016, a Castel Volturno, taglia la gola a una ragazza tunisina di 23 anni e la uccide. Poi fugge all’estero e resta due anni latitante nei Paesi Bassi, fino all’arresto in Germania nel 2018. Siccome siamo il Paese di Bengodi, neppure un omicidio volontario così efferato basta per l’ergastolo: nel 2021 la Cassazione lo condanna a 14 anni e 3 mesi. Ma, se li scontasse tutti, sarebbe già grasso che cola. Invece nel 2023, a cinque anni dall’arresto e a due dalla sentenza definitiva, è già fuori in permesso diurno di lavoro. Su richiesta del generoso carcere di Bollate, il Tribunale di sorveglianza lo manda a lavorare come receptionist in un hotel, visto il curriculum di “detenuto modello” (in cella non ha ammazzato nessun altro). Il tempo di ambientarsi, e De Maria sgozza una collega con la solita tecnica, più altre coltellate ai polsi, uccidendola; poi taglia la gola pure a un collega, che non muore solo per miracolo; infine si suicida. Seguono le solite geremiadi dei politici che hanno approvato o ampliato o mantenuto i demenziali benefici penitenziari (pensando a se stessi) e ora strillano contro i giudici che li applicano. Questi ribattono che hanno applicato le leggi e non potevano certo prevedere la recidiva di De Maria, tantopiù che Bollate vanta il più basso tasso di ricadute d’Italia. I “garantisti” temono una stretta ai permessi e citano le solite statistiche come prova che chi esce di galera in anticipo torna a delinquere molto meno di chi sconta la pena per intero. Naturalmente nessuna statistica può dimostrare una tale sciocchezza: il numero dei condannati non corrisponde a quello dei delitti, che in grandissima parte restano impuniti. Però le statistiche sono una bella consolazione per le vittime dei delinquenti a spasso: “Caro, ci dispiace tanto, ma tranquillo: quello che ha tagliato la gola a te o a tua figlia è una rarità che rientra nel solo 17% dei tagliagole in pena alternativa al carcere. Ora non ti senti già meglio?”.
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CHI NON MUORE SI RIVEDE
Editoriale di Marco Travaglio
15 maggio 2025
Se Putin non andrà a Istanbul, non sarà una sua scelta. Nessuno ricorda più nulla, ma noi abbiamo segnato sul calendario questo titolo del Giornale del 29.5.’22: “Putin ha 3 anni di vita e perde la vista: rivelazione choc della spia. Oltre al cancro e al morbo di Parkinson (‘I suoi arti stanno tremando in modo incontrollabile’), Putin avrebbe seri problemi di vista”. Essendo passati tre anni esatti, finalmente ci siamo: Putin, da tempo ridotto alla più cupa cecità e alla più sfrenata tremarella, è morto. Non sappiamo se di Parkinson o di cancro e – nel caso – di che tipo, visto che ne ha almeno quattro, che cura con i clisteri (Libero) o con bagni nel sangue di corna mozzate di cervo (Corriere): uno all’intestino (Daily Telegraph), uno al pancreas (Libero e Sky), uno alla tiroide (Rep e Libero), uno al sangue (New Lines). Senza contare demenza senile (Stampa), pazzia (Corriere e Rep), neoplasia al midollo spinale (Corriere), diabete (Giornale), Asperger (Ansa), tosse (Giornale e Open) e arresto cardiaco (Tg La7 e Messaggero).
Mentre la meglio informazione occidentale aggiornava quotidianamente il bollettino medico di Putin, ci rassicurava sulle eccellenti condizioni psicofisiche di Biden. E, se qualcuno ipotizzava che fosse rinc*gli**ito vedendolo ruzzolare qua e là, stringere mani di amici invisibili, o confondere la Svezia con la Svizzera, l’Ucraina con l’Iraq, Gaza con Haifa e Zelensky con Putin, o riferire colloqui col presidente tedesco Mitterrand (francese, morto nel 1996), veniva subito zittito dalle migliori penne atlantiste come propalatore di fake news putinian-trumpiane. Il WSJ intervistò 45 suoi collaboratori e tutti dissero che era rimbambito. Ma Rep liquidò lo scoop come “attacco dei repubblicani”. Domani titolò: “Trucchi e fake news a basso costo della campagna di Trump vogliono farlo apparire confuso, lavorando su inquadrature e tagli per dare un’idea falsata”. Poi Francesco Merlo stilò su Rep la diagnosi definitiva: “Non è vero che Biden è rimbambito… È campagna elettorale a favore di Trump sostenere che, all’ultimo momento, salterà fuori il nome democratico vincente… Quando sarà chiaro che non c’è alternativa, gli elettori democratici smetteranno di preoccuparsi per l’età di Biden che giudicano un buon presidente. Presto Biden tornerà a essere rassicurante in faccia al crescente spavento che suscita Trump”. Certo, come no. Ora che il Parlamento studia financo un ddl “Scudo Democratico” per bandire le fake news putinian-trumpiane, si spera che Putin sia morto davvero. Sennò chi ha trascorso gli ultimi tre anni a dare lui per morente e Biden in forma smagliante avrà un solo modo per salvarsi dalla morte civile: dire di avere scambiato le rispettive cartelle cliniche.
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L’APOCALISSE È RINVIATA
Editoriale di Marco Travaglio
16 maggio 2025
Afuria di ripetere che Trump è la fine dell’America, della democrazia e del mondo, si rischia di fargli un favore: ove mai l’apocalisse non si avverasse, lui passerebbe per un trionfatore. Ho già detto prima delle elezioni cosa penso di lui e, se lo ripeto qui, è solo per gli ultrà cretini che danno del trumpiano (o del putiniano) a chi non ripete a pappagallo le loro scomuniche manichee. Trump è il peggior presidente che potesse capitare, esclusi tutti gli altri degli ultimi 30 anni, per un motivo semplice: è un buzzurro e un affarista in mega-conflitto d’interessi, ma diversamente dai predecessori è allergico alle guerre e, sia pur con modi rozzi e sgraziati, è l’unico che prova a farle finire. Vuole spostare il confronto fra potenze dal piano militare a quello commerciale, convinto che il miglior modo di chiudere le guerre e impedirne di nuove sia fare affari insieme. Non è detto che ci riesca, ma ci conviene sperarlo. Il viaggio nel Golfo conferma, nel bene e nel male, tutto ciò che pensiamo di lui. Siccome è una canaglia, se ne frega della democrazia, del diritto internazionale e dei diritti umani, come del resto i predecessori, ma almeno non è ipocrita e non lo nasconde. Nessuna remora ad accordarsi con Putin e pure con Zelensky, a stringere patti trilionari con Bin Salman e i vari emiri, a trattare con Hamas, Houthi e Iran in barba a Netanyahu, a consacrare Erdogan come dominus di tutti i negoziati e quindi a levare le sanzioni alla Siria del jihadista filo-turco Al Jolani. Essendo costoro, per motivi politici o religiosi o d’immagine, nemici di Netanyahu, Trump non se l’è proprio filato. È l’israeliano che ha bisogno di lui, non viceversa: il legame indissolubile è fra Usa e Israele, non fra Donald e Bibi. Che ormai è così sanguinario e fuori controllo da imbarazzare gli Usa e soprattutto i loro alleati-partner vecchi e nuovi: possibile che venga presto scaricato in favore di uno meno impresentabile.
Questo caotico e frenetico vortice di vertici, negoziati, abboccamenti e avvertimenti spegnerà la “guerra mondiale a pezzi”? Mistero. Al momento gli unici successi in tema di guerre sono stati la tregua a Gaza (poi rotta da Israele) e quella fra India e Pakistan (che per ora tiene), oltre al tormentato avvio dei negoziati russo-ucraini a Istanbul (non ci sono Putin e Zelensky, ma meglio così: più basso è il profilo delle delegazioni, minori sono l’odio reciproco e le rispettive esigenze di propaganda). Anche sui dazi, dopo la folle partenza di Trump che Biden in un raro lampo di lucidità ha paragonato a chi “prima spara e poi prende la mira”, la Casa Bianca è atterrata su posizioni più ragionevoli, incassando l’accordo con Londra e l’avvio dei negoziati con Pechino e l’Ue. Non è la fine delle guerre, ma neppure la fine del mondo.
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IL PACCO GENTILONI
Editoriale di Marco Travaglio
17 maggio 2025
Quando, nel 2016, Gentiloni detto Er Moviola subentrò a Renzi come premier dopo la disfatta referendaria, una nota conduttrice televisiva mi confidò divertita: “Per il nostro talk show è una perdita inestimabile. Non come prima scelta: come panchinaro. Quando un ospite ci dava buca all’ultimo, telefonavamo a Gentiloni e lui rispondeva all’istante a qualunque ora e si presentava in studio nel giro di cinque minuti. Come se fosse già nei paraggi in attesa di una chiamata”. Il tempo di svegliarsi momentaneamente dal letargo esistenziale ed era subito lì. Paolo Gentiloni Silveri, conte di Filottrano, Cingoli, Macerata e Tolentino è stato maoista, verde, portavoce di Rutelli, democristiano margheritico, ministro delle Comunicazioni di Prodi perché piaceva a Confalonieri, infine pidino. Nel 2013 provò a fare il sindaco di Roma, ma alle primarie arrivò terzo su tre col 15% (dietro a Marino e a Sassoli). Tutti pensarono che la sua carriera politica fosse finita senza essere iniziata. Ma mai disperare: divenne renziano, dunque ministro degli Esteri al posto dell’altro ectoplasma Mogherini. Infine premier al posto di Renzi e da quel momento, con gran sorpresa sua e di chi lo conosceva, non si fermò più: presidente del Pd e commissario europeo agli Affari Economici grazie a Conte, che infatti detesta e contribuì a rovesciare nel 2021 per regalarci Draghi.
Cinque mesi fa finì il lungo pisolino europeo e rientrò in Italia fra i rulli di tamburi e le trombette dei giornaloni, che rischiarono di svegliarlo proponendolo come “federatore del Campo Largo”, qualunque cosa significhi. Poi si scoprì che il Campo Largo era come l’Agenda Draghi – una creazione fantasy – e che nessuno ambiva a farsi federare da lui. I giornaloni, ansiosi di trovargli una collocazione (ha appena 70 anni e non sia mai che vada in pensione), lo proposero come candidato premier, per la gioia dei bradipi e dei ghiri, un po’ meno degli elettori. Infatti non se ne parlò più, anche se Rep e Corriere ci sperano ancora: essendo un ottimo anestetico locale, potrebbe rappresentare la via ipnotica al progressismo. Lui, nell’attesa, iniziò a scrivere per Rep, ma ovviamente nessuno se ne accorse. E ora si dà al lobbismo, come speaker della società di consulenze aziendali European House Ambrosetti. Le regole europee vietano per due anni agli ex commissari di fare lobbying nel proprio settore. Ma il cosiddetto Comitato etico della Commissione gli ha dato il via libera dopo soli cinque mesi. E dal Pd e dai media non s’è levato neppure un pigolio per commentare l’ennesimo caso di commistione incestuosa fra politica e affari. C’è chi può e chi non può. E Gentiloni può. Oppure, essendo in letargo prima, si presume che ci resti anche dopo.
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ALLA LARGA DAL MINI-CLUB
Editoriale di Marco Travaglio
18 maggio 2025
C’erano un francese, un tedesco, un inglese e un polacco… Come se non bastassero l’odio fra i capi russi e quelli ucraini e le enormi difficoltà del negoziato appena partito a Istanbul, ci sono pure i Volenterosi (simpatico eufemismo che sta per sabotatori guerrafondai): un mini-club di mitomani con enormi problemi in patria che, per darsi una ragione di esistere, scorrazzano da Londra a Parigi, da Kiev a Tirana, per parlare di cose che non li riguardano e progettare piani che resteranno lettera morta. Intanto il formato “Volenterosi” esiste solo nelle loro teste malate, non nel diritto internazionale. E poi la fregola bellicista di inviare truppe in Ucraina – il fondamento della loro esistenza, dopo il rifiuto a inviare soldati dal resto dell’Ue – è incompatibile con la prima condizione irrinunciabile per la Russia al tavolo di Istanbul, tre anni fa come oggi: Ucraina fuori dalla Nato e Nato fuori dall’Ucraina. Quindi niente truppe di Paesi Nato, tantomeno di due potenze nucleari come Francia e Regno Unito, a fare il peacekeeping.
La Meloni, spaventata dal forte movimento pacifista, dalle resistenze della Lega e dalla volubilità di Trump, ha detto fin da subito che l’Italia non invierà truppe. Infatti non si capiva cosa ci facesse ai primi due raduni del club, con la faccetta malmostosa di chi avrebbe voluto essere altrove. Invece si capisce perché abbia disertato l’inutile treno per Kiev e l’inutilissima adunata albanese. Infatti i giornaloni atlantisti la attaccano proprio per la sua assenza e prendono per oro colato le balle di Macron, che nega la ragione fondante dei Volenterosi – inviare truppe in Ucraina – e smentisce persino i suoi reiterati appelli fin dal 26 febbraio ’24 (“La Russia non deve vincere, non è escluso in futuro l’invio di truppe di terra”). La Meloni fa benissimo a tenersi a debita distanza e a ricordare cosa vogliono Macron, Starmer, Merz e Tusk. Ma fa malissimo a trincerarsi dietro l’“unità occidentale”, che non esiste (nell’Ue e nella Nato ciascuno va per conto proprio); e a non tentare di costruire un fronte alternativo, non solo con i governi di destra a lei più affini, ma anche con Paesi ragionevoli come la Spagna (Sànchez ha già smontato le fesserie sul riarmo contro l’imminente invasione russa: “Non vedo truppe di Mosca alle porte”). Von der Leyen, Kallas e i Volenterosi boicottano i negoziati col riarmo tedesco, polacco e baltico; con nuove sanzioni a Mosca e nuove armi a Kiev in piena trattativa; con la minaccia francese di schierare testate nucleari in Germania e Polonia; e con l’idea di un tribunale speciale tipo Norimberga per processare Putin &C. con cui si dovrebbe cercare un’intesa. Perché il governo italiano, dopo averci detto da che parte non sta, non ci dice da che parte sta?
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Inserito il - 19/05/2025 : 05:39:47
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MA MI FACCIA IL PIACERE
Editoriale di Marco Travaglio
19 maggio 2025
Monsier le Menteur. “C’è stato (da parte di Giorgia Meloni, ndr) un errore di interpretazione. Abbiamo discusso di un cessate il fuoco in Ucraina, non dell’invio di truppe. Bisogna essere seri nell’informazione. Guardiamoci dal divulgare false informazioni, bastano quelle divulgate dai russi” (Emmanuel Macron, presidente francese, 16.5). “Se è necessario siamo disponibili a mandare truppe in Ucraina assieme ad altri attori. Non vorrei dare altri dettagli per non informare anche Putin, ma ci sono delle pianificazioni che dovrebbero rimanere classificate” (John Healey, ministro della Difesa britannico, 16.5). Quindi il ministro della Difesa britannico è un agente segreto russo.
Giuliano La Prostata. “Giuliano Amato: ‘Io, laico, vedo un Leone che difende la tradizione. Mi battei per le radici cristiane e mi chiedo: se fossero state approvate?’” (Giornale, 12.5). Ma va a ciapà i ratt.
Eurovision Song. “Ue, la spinta di Mattarella. Draghi, una scossa per risvegliare l’Europa” (Corriere della sera, 15.5). “Arriva la scossa di Mattarella a Draghi” (Repubblica, 15.5). “Draghi e Mattarella, scossa all’Europa” (Stampa, 15.5). “Mattarella e Draghi, la scossa all’Europa” (Messaggero, 15.5). “Draghi e Mattarella, doppia strigliata. Sveglia all’Europa” (Domani, 15.5). “Draghi suona la sveglia all’Europa” (Foglio, 15.5). “Mattarella e Draghi danno la scossa all’Ue”, “Mattarella e SuperMario: la ‘frustata’” (Dubbio, 15 e 16.5). Scossa batte sveglia 5 a 3, seguono spinta, frustata e strigliata a quota 1.
Legibus solutus. “Il divieto che non c’era. Con l’offerta di incontrare Putin, Zelensky smonta la propaganda russa sul suo decreto del 2022” (Luciano Capone, Foglio, 15.5). No, smonta la propaganda atlantista sulla “democrazia” ucraina, visto che non rispetta neppure le leggi fatte da lui.
Pina Fantozzi. “Non trovo corretto che uomini delle istituzioni invitino a non andare a votare. Io ritirerò solo due schede” (Pina Picierno, vicepresidente Pd del Parlamento europeo, Corriere della sera, 13.5). Cioè che invita a non andare a votare 3 referendum su 3. Gli uomini delle istituzioni non possono, ma le donne sì.
Questo qui. È magnifico come certi utili idioti del putinismo tentino di piegare alla loro narrazione tossica persino Leone XIV. Rassegnatevi: questo qui è occidentale e non sente latrati ai confini russi…” (Goffredo Buccini, X, 13.5). “Prevost manterrà un profilo atlantista” (Stampa, 16.5). Segretario generale della Nato subito!
Le parole per dirlo. “Salomé Zourabichvili, la presidente georgiana spodestata a dicembre…” (Buccini, Corriere della sera, 17.5). È il suo modo di dire che ha perso rovinosamente le elezioni (col 37,7% contro il 54 del vincitore): si era scordata di abolirle.
Modestamente lo nacque. “Gli utili idioti di Putin sono pericolosi, gli idioti odiati da Putin no” (rag. Claudio Cerasa, Foglio, 16.5). Poi c’è l’idiota inutile.
Svolta-fotocopia. “Il Papa ha utilizzato parole incoraggianti, che lasciano intendere una direzione di marcia coraggiosa. Ha chiesto ‘una pace autentica, giusta e duratura’ per l’Ucraina” (rag. Cerasa, Foglio, 12.5). “Parole nette e chiare, lontane dal tempo in cui ‘anche la Nato ha abbaiato alle porte del Cremlino’. Una diversità di toni e di linguaggio…una presa di distanza” (Michele Magno, Riformista, 13.5). Infatti sono la citazione testuale del penultimo Angelus di Francesco nella Domenica delle Palme.
Il mare col cucchiaino. “Albania, il Cpr è operativo: arrivano 23 migranti” (Giornale, 13.5). Ma non saranno troppi?
Troppo sociale. “Una buona destra sociale è costretta a fare anche quello che i nostri avversari non fanno più” (Alessandro Giuli, ministro FdI della Cultura, Stampa, 13.5). Tipo abolire il reddito di cittadinanza e negare il salario minimo?
Slurp. “John Elkann-Giovanni Soldini compagni di viaggio” (Stampa, 17.5). “Elkann e Soldini, dialogo tra due amici di vela” (Repubblica, 17.5). Ma questo Elkann non avrà mica qualcosa a che fare con Stampubblica?
Nostradamus. “L’analista Galeotti: ‘A Istanbul soltanto teatro. Mosca e Kiev puntano solo a compiacere Washington. Non ci saranno colloqui diretti’” (Repubblica, 15.5). Disse il profeta il giorno prima dei primi colloqui diretti tra Mosca e Kiev.
Il titolo della settimana/1. “Simion vede Salvini, poi Meloni. Così FdI e Lega influenzano il voto” (Stampa, 15.5). Meglio quelli che l’avevano abolito per non far vincere Georgescu.
Il titolo della settimana/2. “Jobs Act, i quesiti non siano una resa dei conti col passato” (Giorgio Gori, Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Pina Picierno, Lia Quartapelle, Filippo Sensi, Repubblica, 13.5). Se no?
Il titolo della settimana/3. “Quel legame tra Donald e Leone XIV” (Mario Sechi, Libero, 13.5). Due gocce d’acqua.
Il titolo della settimana/4. “È Putin l’Attila di Leone XIV” (Matteo Matzuzzi, Foglio, 13.5). Ma anche un po’ Alarico, Genserico, Teodorico, Odoacre e Clodoveo.
Il titolo della settimana/5. “La rivincita dei pacifisti seri” (Alessandro Sallusti, Giornale, 12-5). Quindi, non essendo né l’una cosa né l’altra, lui non c’entra.
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