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gozzo

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Inserito il - 09/02/2010 : 15:07:21  Link diretto a questa discussione  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di gozzo  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di gozzo Invia a gozzo un Messaggio Privato Aggiungi gozzo alla lista amici  Rispondi Quotando
Vi segnalo un interessante dibattito (in sintesi) ripreso dal corriere.it

Un lusso anche i contratti di serie B. Nessuno pensa al Welfare dei figli

Caro Direttore, il ministro Renato Brunetta ha molta ragione quando avverte che il diritto del lavoro, e in particolare l'articolo 18 dello Statuto del 1970, oggi si applica soltanto ai padri e non ai figli. Gli italiani, però, hanno diritto di sapere che cosa il ministro propone seriamente— e non soltanto con una battuta in un talk show —per superare il regime di apartheid che penalizza la nuova generazione di lavoratori.
È vero: da anni, ormai, a un ventenne o trentenne che cerca lavoro in Italia le aziende offrono di tutto, tranne che un rapporto di lavoro regolare. E anche un rapporto di lavoro di serie B —«a progetto», o comunque a termine— è già considerato, in molte situazioni, un privilegio difficilmente ottenibile, rispetto alla «normalità», costituita dal lavoro di serie C: stage semigratuiti in azienda tutto lavoro e niente formazione, assunzione con partita Iva per mansioni d’ufficio, di cantiere, di negozio, di call center, di magazzino, che erano tradizionalmente considerate come lavoro dipendente. [...]
Dunque: il ministro fa bene ad aprire gli occhi su questa realtà, a riconoscere che il nostro mercato del lavoro e il nostro sistema di protezione sociale non sono affatto «i migliori del mondo». [...]
La disciplina italiana del rapporto di lavoro regolare è vecchia ormai di oltre quarant’anni. È stata scritta quando [...] era normale che un giovane entrasse in un’azienda con la prospettiva di restarci per trenta o quarant’anni.[...] Oggi il tempo di vita di una tecnica produttiva (ma anche di un prodotto o di un materiale) non si misura più in decenni, ma in anni o addirittura in mesi; le imprese nascono e muoiono con un ritmo incomparabilmente più rapido rispetto ad allora.
Così stando le cose, la sicurezza economica e professionale dei lavoratori non può più essere affidata al modello del «posto fisso». Ed è in larga misura inevitabile che le imprese facciano di tutto per eludere, nelle nuove assunzioni, una disciplina della stabilità del lavoro, come quella dettata dall’articolo 18 dello Statuto del 1970, che condiziona lo scioglimento del rapporto di lavoro per motivi economici od organizzativi a un controllo giudiziale che può richiedere due, quattro o sei anni; e al Sud anche otto o dieci. La soluzione, allora, non è togliere l’articolo 18 ai padri, ma riscrivere il diritto del lavoro per i figli, per le nuove generazioni; in modo che esso torni capace di applicarsi davvero a tutti i rapporti che si costituiranno da qui in avanti. E garantire davvero a tutti non l’impossibile «posto fisso», ma quella protezione contro le discriminazioni e quella rete di sicurezza nel mercato, da cui oggi la nuova generazione dei lavoratori italiani è per la maggior parte esclusa.

di Pietro Ichino


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La proposta del giuslavorista Pietro Ichino di riscrivere le regole del lavoro per i figli, oggi penalizzati rispetto ai padri, divide il mondo del lavoro. Il segretario della Uil Luigi Angeletti la condivide ritenendola una «soluzione intelligente e praticabile» e una idea «moderna che rende più efficiente il mercato e difende sul serio le persone». Seguita, per il sindacalista Uil, da una «attenta riforma dei sistemi di protezione nel momento in cui si perde l’impiego puntando sulla sussidiarietà e sul coinvolgimento delle associazioni territoriali». Ma né la Cgil, né il consulente del ministero del Welfare e allievo di Marco Biagi, Michele Tiraboschi, seguono Ichino. Naturalmente da due punti di vista diversi.
Susanna Camusso, segretario confederale della Cgil, crede che in Italia ci sia «un eccesso di legislazione» e che l’approccio giusto sia quello della semplificazione. [...] Semplificare, per la Camusso, significa ridurre il menù a tre situazioni base: il contratto a tempo indeterminato; l’apprendistato legato alla formazione; i contratti a termine solo per la stagionalità come era una volta. «Il fatto che in questi anni - spiega Susanna Camusso - si sia fatta avanti la convinzione che sia vincente la diminuzione dei diritti e dei salari è profondamente sbagliata e la prova è arrivata con la crisi: di certo l’articolo 18 non impedisce alle imprese di licenziare ».
[...]
Per Tiraboschi la proposta di Ichino «lascia il tempo che trova, perché resto convinto che non sono le leggi a creare il lavoro, ma gli investimenti nel sapere e nella conoscenza». Un’altra «falla» nella costruzione giuridica di Ichino, secondo il consulente, risiede nel contratto unico fino a tre anni entro i quali il giovane può essere mandato a casa. «Lascia spazio a troppi abusi - spiega - e poi è uguale per tutti, tende all’appiattimento e non valorizza i bravi».

Quando Tiraboschi parla di sapere e conoscenza, si riferisce soprattutto alla necessità di integrare al massimo la filiera scuola- università-impresa-lavoro per formare giovani secondo le reali necessità del mercato. «È assurdo che ci siano migliaia di giovani laureati in scienze umanistiche, magari col massimo di voti, che finiscono a fare i precari nei call center, infelici e sottopagati »
Roberto Bagnoli


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 Firma di gozzo 
"Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci". (Gandhi)

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crist

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Inserito il - 09/02/2010 : 18:46:36  Link diretto a questa risposta  Mostra Profilo  Visita l'Homepage di crist  Clicca per vedere l'indirizzo MSN di crist Invia a crist un Messaggio Privato Aggiungi crist alla lista amici  Rispondi Quotando
Secondo me in questi articoli è stato fatto un errore concettuale (non so se di proposito o meno):
l'articolo 18 non sta lì a impedire la flessibilità del lavoro e non è per questo il responsabile della diffusione dei contratti occasionali ecc.
L'articolo 18 è di fatto il garante delle libertà sindacali perchè impedisce il licenziamento che non sia suffragato da giusta causa, tutela i lavoratori dall'arbitrarietà dell'impresario e permette di fatto il diritto di sciopero.
Se ci sono dei seri motivi per cui diminuire il personale (per esempio una diminuzione del farbisogno di prodotto) l'articolo 18 non impedisce il licenziamento.
Visto questo l'articolo 18 non va toccato, se non per un ulteriore giro di vite (che secondo me al momento non serve).

La diffusione dei suddetti contratti atipici è da imputarsi alla possibilità che questi danno di pagare di meno il lavoratore e al contempo di sfruttarlo di più e alla possibilità di limitare le libertà sindacali (conquistate con il sangue dai nostri padri e nonni) per mezzo dell'arbitrarietà nel rinnovo.
La responsabilità di questa situazione non è dell'articolo 18 o di un naturale mercato che varia, ma bensì dei vari governi che si sono susseguiti e che hanno approvato o avallato la legittimità di tali forme di contratto.







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